Placcare, placcare e ancora placcare: Simone Favaro, il gladiatore azzurro senza Sei Nazioni

Un infortunio terrà lontano il terza linea del Benetton dalla prima parte del torneo. Brunel lo aspetta, noi lo abbiamo intervistato

ph. Sebastiano Pessina

E’ fermo per infortunio da alcuni mesi e non ha fatto in tempo a recuperare per la prima fase del Sei Nazioni. Non è uno dei giocatori più “glamour” della nostra nazionale ma la sua assenza è di quelle che si fanno sentire, e noi di OnRugby siamo suoi grandi tifosi.
Per Simone Favaro rimanere fuori dal Sei Nazioni e vedere i suoi compagni che si ritrovano e si preparano per il torneo deve essere una grande sofferenza: “E’ il mio lavoro purtroppo. E’ una situazione che si è venuta a creare sul campo dove gioco, non ci posso far niente. C’è grande dispiacere ovviamente, ma auguro solo il meglio a tutti i miei compagni e allo staff”.

 

Nei giorni scorsi in una intervista – ci pare di ricordare sul Corriere della Sera – il ct Jacques Brunel parlando del difficile novembre di test-match ha detto che alla nazionale sono mancati terribilmente i placcaggi tuoi e di Francesco Minto
Mi fa molto piacere, davvero tanto, significa che ho lasciato qualcosa di positivo al coach. Ognuno gioca le proprie carte e sono consapevole che quello è uno dei miei pregi ma so anche di avere alcuni limiti, se così vogliamo definirli. Ma mi fa molto piacere.

 

Che spiegazioni ti dai delle difficoltà riscontrate dall’Italia nei tour di giugno e di novembre? Ci sono delle caratteristiche che li accomunano in qualche maniera? In tanti, per esempio, hanno rilevato l’alto numero di errori individuali
Innanzi tutto abbiamo cercato di cambiare un po’ il nostro gioco. Poi abbiamo sofferto davvero tanto, anche a livello di club, il cambio delle regole della mischie che erano una dei nostri punti di forza e le novità ci hanno sfavorito. Poi c’è un altro aspetto…

 

Quale?
Nella nostra storia non siamo mai stati abituati a stare in alto. Credo sia una cosa inconscia: arrivavamo da un grandissimo Sei Nazioni e questo ci ha portato non dico a sederci un po’ – è una brutta parola e conosco bene tutti i ragazzi che ci mettono sempre voglia, fatica, cuore – però è una situazione nuova e non è immediato farci l’abitudine.
I migliori risultati li abbiamo dati quando non eravamo nell’interesse di nessuno. Adesso tutti hanno delle aspettative quando gioca l’Italia e il nostro massimo lo abbiamo dato quando queste non c’erano. Non è semplice spiegarlo, certe cose se sei fuori dal gruppo fai fatica a comprenderle, bisognerebbe stare dentro per capirle.
In più è cambiato anche l’atteggiamento dell’avversario che sa che ora quando gioca contro l’Italia non può abbassare la guardia e questo ha modificato il loro atteggiamento in campo verso di noi. Intendiamoci, c’è anche demerito nostro, ma non solo quello e i nostri sbagli vanno pesati il giusto senza esagerarli. Responsabilità nostre? Certamente, ma anche merito degli avversari.

 

Cosa ti aspetti da questo Sei Nazioni? Facendo un rapido giro sui media stranieri, soprattutto quelli britannici, sembra che abbiamo già fatto nostro il cucchiaio di legno… Inizieremo da Cardiff, la tana della squadra che ha vinto gli ultimi due tornei: non è l’inizio più facile immaginabile, ammesso che esista un inizio facile al Sei Nazioni
L’anno scorso abbiamo vinto la prima partita contro la Francia e non è che la Francia fosse una squadretta quando si è presentata a Roma. Al di là del calendario direi ben venga, ben venga il fatto che nel resto d’Europa pensino che siamo a terra e ben venga il fatto che dimentichino che questo stesso gruppo di giocatori ha giocato quello che probabilmente è il miglior Sei Nazioni della nostra storia…
Per noi sarà un torneo complicato, difficile, però il Sei Nazioni è nel nostro dna. Vedremo sul campo e lì si parte sempre dallo 0 a 0 e starà a noi giocare bene. Io non credo proprio che il nostro torneo sarà un disastro. Sono positivo, amo quello che faccio, so che non sarà facile ma magari sarà il momento buono per rialzarsi.

 

Momento difficile anche per il tuo club, un Benetton Treviso che sta vivendo una stagione molto complicata
La nazionale è lo specchio del movimento e le due franchigie portano 20 e passa giocatori ogni volta e quindi se le due celtiche non vanno bene è normale che la nazionale ne risenta. I casi in cui i club vanno male e la nazionale va bene sono davvero rari anche a livello internazionale.

 

Per Treviso è la fine di un ciclo?
Non credo ci sia il tempo per far finire un ciclo, credo che bisogna sempre avanzare. Non è stato sicuramente il Benetton delle aspettative, questo è poco ma sicuro, ma è ancora una stagione lunga e possiamo raddrizzarla almeno un po’.
I motivi delle nostre difficoltà sono diversi: si è ridotta la rosa, infortuni ce ne sono stati diversi e importanti, c’è stato il cambio dell’allenatore. Poi c’è da fare un discorso simile a quello fatto prima per la nazionale: per gli avversari non siamo più una sorpresa e contro di noi ora giocano a tutta. Non voglio sembrare uno che cerca alibi o che si mette sulla difensiva ma credo che quello che dico sia vero. Ovviamente abbiamo commesso anche molti errori ma se gli avversari sono un minimo acuti sanno che devono giocare contro di noi senza risparmiarsi, il tempo delle sorprese è finito.
Ti posso anche confermare, sempre da giocatore, che il cambio dell’allenatore ha sicuramente pesato ma non siamo davanti a un ciclo finito, dobbiamo rilanciarci ma non credo siamo da buttare via. Qui ci sono tanti giovani che faranno bene.

 

L’incertezza sul futuro pesa? Il fatto di non sapere se si verrà confermati o meno, se si giocherà il Pro12 o l’Eccellenza, che tipo di competizione europea…
A questa domanda ho una risposta molto personale: penso che io devo fare il giocatore di rugby e basta. Quel tipo di incertezza a me non pesa, credo pesi molto di più ai dirigenti della società che su questa cosa devono lavoraci, programmare il futuro. Io prendo la cosa nella maniera più positiva: il mio contratto è in scadenza e questa situazione mi deve spingere a dare il meglio, a dare ancora di più per riconquistare la conferma.

 

Prima parlavi delle regole della mischia che sono cambiate. L’impressione è che vi siete fatti trovare impreparati più di altri club europei: pensavate che le nuove regole fossero meno impattanti o che il tempo di adattamento fosse più breve?
Oh dio, faccio la terza linea e a me non cambia assolutamente niente, devo spingere sul culo di un pilone. A me è cambiato poco, però è innegabile che è stato un impatto meno dominante e sì, penso che le altre squadre siano arrivate un po’ prima e forse noi lo abbiamo un po’ sottovalutato perché abbiamo subito veramente tanto il cambio delle regole. Poi non so cosa sia cambiato per un pilone, ma questo dovete chiederlo a loro.

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