Jacques Brunel: dopo due anni quanto è pieno il bicchiere azzurro?

Risultati altalenanti sul campo ma il tecnico francese ha riaperto porte e finestre che il rugby azzurro aveva chiuso da tempo

ph. Sebastiano Pessina

Sono due anni abbondanti ormai. Da quell’inizio novembre del 2011 sono passati un paio di Sei Nazioni, due serie di test-match autunnali e altrettanti tour estivi. Il contratto che lega Jacques Brunel alla nazionale italiana è ancora lungo ma si può tracciare un bilancio con una certa “ciccia” al suo interno. Intendiamoci, anche dopo i primi 12 mesi in tanti si sono esercitati su quel campo – lo abbiamo fatto pure noi, era l’articolo/intervista con cui OnRugby ha “debuttato” sul webma un anno fa eravamo ancora in una sorta di luna di miele con il nuovo ct, cosa che ora non si può più dire. Non che i rapporti tra l’allenatore azzurro e il mondo rugbistico italiano non siano buoni come all’inizio, anzi, ma il tempo e i risultati lavorano per far sì che i giudizi diventino meno comprensivi e benevoli in maniera aprioristica. Per dirla fuori dai denti dopo due anni non si può più dire “è appena arrivato” oppure “si deve ancora ambientare”. Se così fosse la cosa sarebbe preoccupante. Anche se il tifoso-medio italiano non ha la pazienza tra le sue principali caratteristiche.

 

Qui a OnRugby il lavoro svolto dal tecnico transalpino lo giudichiamo in maniera ampiamente positiva. Poteva fare e ottenere di più? Sì, forse, ma col senno del poi e con le dita comodamente appoggiate su una tastiera siamo bravi tutti. La verità è che Jacques Brunel ha cercato di dare una svolta alla mentalità italiana e – complice anche il lavoro fatto nelle due franchigia celtiche – la cosa è stata ottenuta. Non era scontato.
L’Italia ora cerca di giocare, non sempre ci riesce ma in campo c’è un dettaglio chiamato “avversari”. A volte è fin troppo spavalda e non capisce che nell’arco di una gara di 80 minuti ci sono dei momenti in cui bisogna chiudersi e far marciare il pacchetto di mischia come un po’ di anni fa. E’ un lavoro di cesellamento continuo fatto nella testa di chi compone il gruppo azzurro, non sempre facile, ma che faticosamente sta dando risultati anche se poi il campo non sempre conferma la bontà di quell’operazione. Un ko, specie su brutto, ha la capacità di demolire più velocemente di quanto una vittoria sappia costruire. E Brunel è lì che non demorde e ogni volta che l’Italia deve rialzarsi (negli ultimi mesi è successo troppo spesso) fa qualche passo indietro e prova subito a ripartire.
Alcune partite non sono state affrontate al meglio, magari anche con la formazione sbagliata, ma tutti facciamo degli errori e Brunel la faccia ce l’ha sempre messa. Senza mai dimenticare che il bacino da cui pescare e fare delle scelte per lui è molto più ristretto che quelli a cui possono attingere i suoi colleghi.

 

No, il bicchiere mezzo vuoto per quanto riguarda Brunel non riguarda i risultati del campo degli ultimi mesi. Tutti abbiamo negli occhi il brutto novembre appena concluso o il tour di giugno ma stiamo parlando dello stesso gruppo di giocatori e dello stesso allenatore che negli ultimi due anni ha messo paura all’Inghilterra sia a Roma che a Londra e che ha visto scappare via per un nulla un pareggio che sarebbe stato persino troppo stretto con l’Australia.
No, Brunel ha invece lasciato più a desiderare nel suo ruolo di coordinamento del movimento d’élite. Si è mosso e si muove tantissimo su tutto il territorio come il suo predecessore non ha mai fatto: franchigie, squadre d’Eccellenza, accademie e nazionali giovanili, persino realtà territoriali delle serie minori sono state oggetto di viaggi, incontri e seminari, ma l’impressione è che poi non sia riuscito a scolpire e a manipolare il movimento come avrebbe voluto e desiderato. I risultati in questo senso sono stati inferiori alle attese. Bisognerebbe capire perché, ma qui entriamo nei delicati e non sempre lineari equilibri federali: se si volevano dare a Brunel le chiavi dell’intero alto livello bisognava anche dargli carta bianca da subito, ma così non è stato (basta pensare che uno staff davvero “suo” lo avrà solo da luglio quando in azzurro arriverà anche De Carli).
Una soluzione ci sarebbe: rinnovare subito il suo contratto sino al Mondiale 2019 come qualche settimana fa ha chiesto anche Paolo Ricci Bitti dalle pagine de Il Messaggero. Perché in giro ci saranno anche tecnici migliori di lui, ma mica poi troppi. E uno così bisogna tenerselo stretto e metterlo nelle condizioni migliori per lavorare. Ecco il lavoro vero da fare è quest’ultimo, ma è una cosa sulla quale il francese può fare poco.

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