Fare l’arbitro di rugby, un vero lavoraccio

Marco Pastonesi ci racconta storie e aneddoti legati a una figura criticata e imprescindibile. A partire dal tardo XIX secolo…

ph. Sebastiano Pessina

La regola dei dieci metri: ogni volta che un giocatore protesta, l’arbitro fa retrocedere la sua squadra di dieci metri. Non sono tanti, quei dieci metri, pensa chi non gioca a rugby. Provate a chiedere a uno che gioca a rugby se non sono tanti, quei dieci metri. Vi risponderà che non sono tanti, quei dieci metri, ma tantissimi. Infatti, nel   rugby, non si protesta mai. O quasi mai. E gli arbitri sono sempre rispettati. O quasi sempre.

Il primo incidente arbitrale che si ricordi risale addirittura al 1884. Era il 1° marzo 1884, e al Rectory Field di Blackheath si giocava Inghilterra-Scozia. Arbitro: George Scriven, irlandese, che fino a un anno prima era il capitano dell’Irlanda. Scriven concesse una meta agli inglesi, gli scozzesi protestarono, Scriven si prese dieci minuti per decidere che quella era meta, alla fine della partita gli scozzesi stabilirono che contro gli inglesi non avrebbero mai più giocato. Fu quel caso a provocare un tale caos – caso è anagramma di caos, e non sarà certo un caso – da portare alla formazione dell’International Board, cioè una federazione internazionale che potesse dirimere le questioni più scottanti.

Il più celebre incidente arbitrale che si tramandi è quello del 1905. Era il 16 dicembre 1905, e all’Arms Park di Cardiff si giocava Galles-All Blacks. Arbitro: Dewar Dallas, scozzese, che due anni prima aveva giocato con la Scozia contro l’Inghilterra. Fu il match della meta fantasma segnata da Bob Deans, centro neozelandese. Deans giurò di averla fatta, quella meta, prima di essere trascinato fuori dall’area da un gallese, e lo giurò anche sul letto di morte.

Ma Dallas, che quel giorno arbitrava in scarpe da passeggio e che sul punto contestato giunse con comprensibile ritardo, annullò la segnatura. Dallas aveva ventisette anni, ed era più giovane di ben otto dei trenta giocatori in campo.

Ci sono stati arbitri casalinghi, ma nessuno come RW Jeffares. Era il figlio del segretario della Federazione irlandese, e fu chiamato a dirigere proprio l’Irlanda contro gli All Blacks a Dublino, nel 1935, perché l’arbitro ufficiale, lo scozzese Allan, non era riuscito ad arrivare allo stadio per una tempesta. Gli All Blacks vinsero 17-9.

Ci sono stati arbitri pignoli, ma nessuno come il colonnello John Brunton, incaricato di dirigere Galles-All Blacks a Swansea, il 29 novembre 1924. Quando gli dettero un pallone, Brunton disse che non andava bene e lo rifiutò. Stessa sorte toccò anche al secondo, e poi al terzo pallone. Finalmente il quarto pallone gli sembrò all’altezza della situazione.

Ci sono stati arbitri fragili, ma nessuno come il francese Robert Calmet. Stava dirigendo Inghilterra-Galles a Twickenham, il 28 febbraio 1970, quando fu   involontariamente coinvolto in una ruck, s’infortunò e fu costretto ad abbandonare il campo. Più tardi gli diagnosticarono la frattura di una gamba. Il suo posto venne preso da uno dei giudici di linea, l’inglese Johnny Johnson. Il bello – bello: dipende dai punti di vista – fu che quando Calmet uscì dal campo, l’Inghilterra stava vincendo 13-3, poi la partita finì con la vittoria del Galles 17-13.

Ci sono stati arbitri tenaci, ma nessuno come il francese Alain Cuny. Ma non sempre la tenacia è una qualità. Cuny stava dirigendo Galles-Scozia, il 7 febbraio 1975, quando subì un infortunio muscolare a una gamba. Ma non volle lasciare il campo, anche se era costretto ad arbitrare quasi da fermo, lontano dalle azioni. Tant’è che la partita diventò caotica. Il Galles vinse 28-6. Ma quello rimase l’unico match internazionale di Cuny.

Ci sono stati arbitri sorprendenti, ma nessuno come quel John Cail che diresse Yorkshire-New Zealand Maori nel tour del 1888-1889 in Gran Bretagna. A un certo punto i trenta giocatori in campo si fermarono quando videro che l’arbitro era scomparso fra gli spettatori alla ricerca dell’orologio che aveva smarrito. Poi la partita ricominciò e i Maori vinsero 10-6. Non è dato sapere se Cail ritrovò l’orologio.

Ci sono stati arbitri grandi e grossi, ma nessuno così alto come l’australiano Montagu Arnold, che diresse New South Wales-Queensland nel 1882. Arnold era alto quasi due metri, e sul campo svettava su tutti. Si raccontava che fosse stato scelto per guardare i giocatori dall’alto in basso e imporre un po’ di disciplina.

di Marco Pastonesi

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