Sepolti da una valanga nera

Malgrado la grandiosa prestazione neozelandese, quest’Italia è stata troppo lontana da sé stessa per essere vera, uscita di partita prima con la testa che con il corpo

Ange Capuozzo Italia Nuova Zelanda

Ange Capuozzo in Italia-Nuova Zelanda – ph. Sebastiano Pessina

LIONE – Al terzo calcio di rinvio dell’incontro in quindici minuti Brodie Retallick, che fino a quel momento aveva sempre tenuto il pallone in occasione della prima carica degli avanti dopo il primo punto d’incontro, gioca un pop pass a distanza ravvicinata dal muro difensivo, pescando il taglio con eccezionale angolo di corsa di Ardie Savea.

Il capitano degli All Blacks trova impreparato il suo omologo azzurro, Michele Lamaro, e vola in campo aperto a grandi falcate, percorrendo sostanzialmente la distanza dai propri 22 metri a quelli avversari. Qui, prima di essere placcato, riesce a servire Beauden Barrett.

La difesa azzurra cerca un modo di adattarsi, ma attende troppo nell’intervenire sul numero 15. A un giocatore così non puoi lasciare il tempo di pensare, perché poi quello prende e illumina: nella circostanza con un passaggio lungo e preciso tra le braccia di Mark Telea, che sull’out di sinistra riceve, batte la morbida e sbilanciata difesa azzurra e segna.

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Meta dalla fine del mondo, come dicono i francesi, meta da cento metri in prima fase. È una vera e propria valanga che travolge l’Italia, già scossa dall’aver precedentemente subito 14 punti in 15 minuti. È la fine della partita intesa come un confronto tra due squadre: da una parte ci sono gli All Blacks con tutto il carico terrificante di talento, forza e meraviglia che la loro aura porta con sé, dall’altra un’Italia che è come un pugile suonato che spera solo di riuscire ad arrivare al gong. Una di quelle sere in cui si rimpiange di non poter gettare l’asciugamano, come nella nobile arte.

È inevitabile pensare che dietro il disastro di venerdì sera ci sia un aspetto mentale, emotivo o in ogni caso di natura psicologica. Qualcosa che Michele Lamaro e compagni hanno faticato a riconoscere a caldo, dopo l’incontro. Per quanto la prestazione degli All Blacks sia stata di primissimo livello, la pochezza della prestazione azzurra è stata tale da rendere evidente che quella vista in campo non è l’Italia a cui siamo adusi.

Il capitano azzurro ha detto in conferenza stampa: “Sono mancati i fondamentali. Sono mancate le basi.” Certamente è stato così, ma le motivazioni di queste carenze non possono non essere cercate nella testa e nel cuore più che nel fisico e nelle abilità tecniche dei giocatori della nostra nazionale, che hanno dimostrato più di una volta di essere capaci di offrire ben di meglio al cospetto di squadre altrettanto forti.

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Non a parziale giustificazione, ma per indagare fino in fondo le ragioni della Caporetto di Lione, merita sottolineare come questo gruppo di giocatori non si fosse mai trovato in queste condizioni. Sì, è vero, l’Italia ogni anno affronta al Sei Nazioni l’Irlanda e la Francia, due squadre dello stesso calibro della Nuova Zelanda. Però il Torneo è affare diverso: c’è una maggiore rotazione di giocatori, una minore urgenza di raggiungere il risultato. Mai, tranne pochi esempi, questa generazione di Azzurri si era trovata ad affrontare una delle migliori squadre del mondo che aveva bisogno di un risultato netto e decisivo per ottenere qualcosa di vitale. E questo fa la differenza, è l’innesco della valanga che arriva a travolgerti.

Non c’è troppo tempo per razionalizzare e rimettere insieme con ordine i cocci di questo 96-17. Il prato di Lione attende di nuovo gli Azzurri fra una settimana per una partita dello stesso livello: una delle migliori squadre al mondo costretta a ottenere un risultato vitale. Metteteci anche il carico da undici: è la squadra padrona di casa. Chissà che arrivarci a fari spenti, senza troppo hype attorno e senza sostanziali aspettative non faccia bene agli Azzurri. Per tanti motivi, c’è bisogno di un’ultima partita del girone che permetta al sole di tornare a splendere sull’Italia ovale.

Lorenzo Calamai

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