Conor O’Shea: “Il sistema è stato trascurato per troppo tempo”

Il CT dell’Italia ha parlato a lungo della nazionale e del movimento durante la presentazione del Sei Nazioni 2019

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Conor O’Shea e Sergio Parisse alla presentazione del Sei Nazioni 2019 (ph. Reuters)

Londra – Con il lancio ufficiale, tenutosi ieri all’Hurlingham Club di Londra, si è ufficialmente aperto il conto alla rovescia verso l’inizio del Sei Nazioni 2019, che per l’Italia inizierà sabato 2 febbraio al BT Murrayfield di Edimburgo.

Conor O’Shea, head coach dell’Italia, e Sergio Parisse (capitano e, molto probabilmente, al suo ultimo Sei Nazioni) hanno rappresentato la nazionale maschile, rispondendo alle domande poste loro dai media presenti (nei prossimi giorni pubblicheremo la seconda parte con l’intervista a Parisse).

“Vogliamo cercare di dare continuità alle nostre prestazioni, cosa che negli ultimi mesi siamo riusciti ad avere a tratti. Abbiamo battuto la Georgia e chiediamo scusa per averla battuta – dice O’Shea, tra l’ironico e il polemico –  e il Giappone in trasferta, oltre alle Fiji, ma non abbiamo battuto nazionali che occupano il livello più alto del rugby mondiale”.

– Leggi anche: come vedere le partite del Sei Nazioni 2019 in tv e streaming

“Abbiamo però anche giocato delle ottime partite, quando non siamo riusciti a vincere – penso alla prestazione contro la Scozia nello scorso Sei Nazioni o quella contro l’Australia in novembre in cui abbiamo giocato un rugby davvero di alto livello ma non siamo stati premiati dal risultato.”

“La sfida che ci siamo posti è di raggiungere quei livelli di cui parlavo prima e di diventare costanti – continua O’Shea – Sappiamo di avere tutto quello che serve, abbiamo le possibilità di farlo e vogliamo, in ogni partita, raggiungere un alto livello di intensità e di prestazioni e vogliamo farlo diventare un’abitudine. Se riusciremo a farlo, saremo ancora più competitivi e raggiungeremo prima i nostri obiettivi. Dobbiamo restare concentrati sul mettere in campo una prestazione di grande intensità, facendo bene quello che dobbiamo fare contro la Scozia”.

“Non siamo stupidi, conosciamo quale sia la grandezza di questa sfida ma vogliamo vincere perché siamo competitivi e vogliamo sempre il meglio, ma per farlo dobbiamo diventare costanti, come detto e prepararci al meglio”.

Verso la Scozia e oltre

L’Italia giocherà in un BT Murrayfield esaurito in ogni ordine di posto, in quella che diventerà la quattordicesima gara consecutiva in cui i Dark Blues hanno riempito la Highland Cathedral. O’Shea non crede, però, che questo metta ulteriore pressione sulle spalle dei suoi ragazzi, anzi “giocare in uno stadio esaurito è quello che rende il Sei Nazioni speciale per tutti. Siamo entusiasti di poter giocare in uno stadio cosi ma ancor di più dobbiamo cercare di mettere in campo la prestazione che ci aspettiamo, una prestazione di cui poter esser orgogliosi: quando lasci il campo avendo dato tutto. Poi, dopo la sfida contro la Scozia, dovremo cercare di dare tutto anche contro le altre avversarie che affronteremo. Non c’è pressione, c’è entusiasmo”.

L’head coach della Nazionale parla anche del rapporto con le franchigie [nonostante non voglia, in questa occasione, scendere nei dettagli della ristrutturazione del rugby domestico italiano, perche’ “non siamo lontani, ma oggi non voglio parlare di questo, voglio parlare della Scozia e del futuro. Ci sono alcune cose da fare ma adesso concentriamoci sulla Scozia”].

Le franchigie italiane (Benetton Rugby in testa, perché ha sfiorato il passaggio ai quarti di finale di Challenge Cup oltre ad essere in lotta per un posto nei playoff di Pro14) stanno facendo bene, meglio degli anni scorsi e i giocatori arriveranno con un diverso stato d’animo, ma possiamo dire che l’Italia, quest’anno, arriva al Sei Nazioni pronta per andare a sfidare la Scozia ad armi pari al BT Murrayfield?

“Ogni gara è decisa dal momentum. Se dai a Finn Russell, Stuart Hogg o Tommy Seymour e Huw Jones il momentum, ti faranno del male. Ma se li metti sotto pressione, le cose possono cambiare. Ogni squadra dovrà confrontarsi con gli infortuni – spiega O’Shea – Noi abbiamo fuori elementi come Minozzi, Polledri, Bellini, Sarto e Violi, ma se guardiamo allo stato di forma di Tommy Allan o Jayden Hayward, abbiamo giocatori che possono fare del male se vengono messi nelle condizioni di potersi esprimere al meglio”.

“È il Sei Nazioni, sono sicuro che nel corso della gara avremo occasioni di creare il nostro momentum. È vero che siamo lontani da casa ed è sempre dura, ma noi vogliamo scendere in campo e imporre il nostro gioco. Vogliamo essere noi a dettare agli avversari cosa fare, non viceversa, perché se li aspettiamo non andiamo da nessuna parte”.

Su una possibile rotazione dei giocatori, O’Shea dice che “abbiamo piani per questo Sei Nazioni di cui abbiamo discusso coi nostri giocatori per una rotazione, ma noi abbiamo in mente adesso solo la Scozia”.

“Qui non siamo l’Irlanda che si sta preparando per vincere la Coppa del Mondo, qui non siamo l’Inghilterra che ha in programma di vincere la Coppa del Mondo, questo è il Sei Nazioni e noi siamo l’Italia che andrà a sfidare la Scozia. Vogliamo vincere per noi e per i nostri tifosi. Noi vogliamo dare sempre tutto quello che possiamo”.

L’head coach, come detto, non ha voluto parlare a Londra della struttura del rugby italiano, pur ammettendo alcune cose. “A novembre ci siamo seduti ad un tavolo con le franchigie parlando del lavoro da fare, di come ci alleniamo in entrambe le franchigie con la nazionale. Abbiamo discusso dei possibili cambiamenti, anche piccoli, così possiamo cominciare adesso la prossima fase del nostro processo di crescita anziché aspettare fino a giugno”.

“Il focus è soprattutto sugli allenamenti, che vogliamo strutturare in maniera diversa in modo da mettere più pressione, stress e intensità sui giocatori ogni volta che si allenano, in modo che possano essere in grado di reagire e fare quello che viene richiesto a questo livello, dove fitness, intensità e capacità di esecuzione [O’Shea usa “ability”] dei top-team è diversa. Abbiamo finalmente la capacità di avere tutto sotto controllo e di usare tutti i dati che ci vengono offerti dalla tecnologia e possiamo monitorare i progressi. Con un budget limitato facciamo quello che possiamo un passo alla volta”.

O’Shea poi continua: “Il rugby non è cambiato, è lo stesso sport di cent’anni fa. Quello che è cambiato, invece, è l’intensità, il fitness, le capacità, il livello delle skills è cambiato. A volte, quando porti qualcuno dall’esterno, dice magari le tue stesse cose ma, secondo «il principio del maestro di scuola», è la stessa cosa ma con una voce diversa. Magari i ragazzi si sorprendono e capiscono meglio il concetto, anche perché Il rugby non è ‘rocket science'”.

“Io ho empatia per i ragazzi (che sono un gruppo di giocatori ambiziosi), io voglio che loro ottengano i risultati sia per i tifosi che per se stessi perché vedo quello che fanno, vedo l’impegno che ci mettono e vedo che a volte vanno anche contro il pronostico. A volte vorrei che si mettessero da parte preconcetti da parte di persone che pensano, andando alla partita, cose come «questa maglia contro quest’altra maglia e questo vince» e certe decisioni vanno contro di te. Dobbiamo lavorare per cambiare tante cose. È una sfida che ha tante sfaccettature e noi vogliamo solo vincere questa sfida incredibile”.

Un cronista chiede a O’Shea se l’Italia non possa prendere esempio dalla struttura dell’Irlanda, ma O’Shea porta invece un altro paragone piuttosto interessante: “Non possiamo prendere come esempio l’Irlanda, perché là c’è una struttura diversa che esiste da molto tempo, mentre noi abbiamo una squadra nazionale e due franchigie [come la Scozia]”.

“L’Irlanda ha sempre avuto moltissimi talenti e una struttura che permette loro di esprimersi al meglio, mentre in Italia c’è sempre stato del talento ma non la struttura per poterlo sviluppare. Questo è quello che stiamo facendo ora: stiamo cercando di costruire la struttura che mancava. Ci possono volere anni, ma il risultato si ottiene come è successo con la Scozia. Questo non vuol dire che noi non scenderemo in campo per vincere ogni gara e che non possiamo giocare contro la Scozia per vincere. Poi penseremo a discutere le decisioni arbitrali. Possiamo imparare da tutti, dall’Irlanda come dalla Scozia – ma credo che la Scozia sia un termine di paragone più consono per noi”.

Le voci sui sostituti

Il contratto dell’head coach scade al termine del Sei Nazioni del 2020 e ci sono già stati rumors in giro per l’Europa (ultimi, dalla Francia) in merito al nome del successore di O’Shea come guida tecnica dell’Italia. Conor non si dimostra preoccupato, anzi dice che “mi stupirei del contrario. Io sono stato in contatto col presidente Gavazzi ma non per me, ma per il rugby italiano. Lo dico da un po’ e l’ho detto anche a Sergio: tra dieci anni vorrei trovarmi in uno stadio con lui, bere una birra guardando un’Italia vincente e poter pensare che siamo stati parte del motivo per cui hanno fatto ripartire il processo che qualcuno doveva far ripartire. Il sistema è stato trascurato per troppo tempo.”

“Sinceramente, l’unica preoccupazione che ho verso la gara contro la Scozia è di guidare questa squadra nel Sei Nazioni, oltre la Coppa del Mondo e ancora oltre – chiude O’Shea – Quello che ho detto al presidente è che il mio successore deve essere scelto quando sarà il momento giusto. E quel momento arriverà quando il presidente non vedrà la stessa energia che abbiamo adesso. Ricordo lo scorso anno una telefonata con lui, in cui mi chiedeva di «non perdere la mia energia» e lui lo sa”.

Il lavoro con Wayne Smith

“Siamo davvero fortunati di poter lavorare con Wayne Smith – continua l’head coach – Lavoriamo a stretto contatto con lui e membri del suo back-up staff. È venuto con noi due settimane nel tour in giugno, era già venuto lo scorso anno per qualche settimana e sarà con noi per un paio di settimane in luglio durante la preparazione per la Coppa del Mondo”.

“Per me è davvero una gran cosa poter collaborare con qualcuno che sa cosi tanto di rugby. Wayne porta la conoscenza del rugby su un altro livello. È un ottimo consigliere da avere a disposizione, ma la cosa migliore è che può parlare direttamente ai giocatori perché parla italiano (ha lavorato, giocato e allenato in Italia, ndr). Ha grandi amici in Italia e quando viene con noi è semplice comunicare con lui. Il suo lavoro è stato soprattutto dietro le scene, dal punto di vista dell’intensificare i nostri allenamenti e mettere le nostre skills sotto pressione durante la preparazione. I suoi consigli ci saranno utili sulla strada verso la Coppa del Mondo”.

Matteo Mangiarotti

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