Tra ovale e passioni: intervista a Marco Lazzaroni

L’avanti biancoverde si racconta, parlando non solo di palla ovale

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ph. Ottavia Da Re

Reduce da un tour de force di cinque settimane, che lo ha condotto in tre continenti (Europa, Africa ed America) per via degli impegni con Nazionale e Benetton Rugby, Marco Lazzaroni si è preso un “turno di riposo” nella sfida di sabato vinta dai suoi Leoni contro gli Harlequins, godendosi lo spettacolare successo biancoverde dalla tribuna di Monigo, in attesa del ritorno da azzannare al Twickenham Stoop.

Pur non essendo in distinta, non poteva perdersi un duello così importante per nessuna ragione al mondo, da grande appassionato ovale (ha anche un tatuaggio a ‘sfondo rugbistico’, un tribale maori sul piede fatto in Nuova Zelanda, al mondiale Under 20 2014, in compagnia di alcuni compagni), ancor prima che da giocatore del club. “Per quanto mi riguarda, il rugby non si limita ad essere la mia professione, con annessi e connessi al campo, tra partite ed allenamenti, ed in palestra. Cerco sempre di aggiornami a 360 gradi sulle questioni ovali. Non so mai dove finisce il lavoro e inizia la passione, e viceversa. Quando ho tempo libero finisco sempre per lavorare. Ad esempio, guardo tutte le partite di rugby che ho a disposizione. Ho visto praticamente tutti i test di novembre, seguo molto anche Super Rugby e Premiership inglese, perché voglio scoprire costantemente cosa propone il panorama mondiale, sapere cosa si sta muovendo dentro e fuori dal campo”, mi spiega il ragazzo nativo di Udine, una delle città simbolo del Friuli Venezia Giulia, regione che sta regalando, negli ultimi anni, grandi sportivi in varie discipline (dal nuoto al biathlon, passando ovviamente per il rugby), della quale Marco Lazzaroni si sente un figlio orgoglioso.

“Il Friuli è una regione un poco a sé stante, a livello amministrativo pure autonoma – mi racconta -. Non ci sono grandissime città. Crescere in un posto così, quasi sempre in città e cittadine a misura d’uomo, probabilmente ti porta meno distrazioni e per certi versi ti garantisce più tranquillità per pianificare al meglio i tuoi progetti (e lavorarci sopra). Poi noi siamo gente che si rimbocca le maniche. Ci sono tantissime persone dedite al lavoro, che non hanno paura di fare sacrifici. Sanno che prima (e più) semini, prima (e più) raccogli. Non è un caso che la popolazione sia riuscita a rialzarsi da due catastrofi come il terremoto del ’76 e l’alluvione dei primi ’00 con grande dignità ed in tempi celeri. Crescere in un contesto simile credo che possa darti una spinta in più”, racconta con voce fiera, facendo emergere tutto il senso di appartenenza che lo contraddistingue.

Durezza mentale

Dopo la crescita impetuosa delle ultime stagioni, Lazzaroni sta vivendo un inizio di stagione contraddistinto da tante partite giocate con la maglia di Treviso (10 in tutto), ma pochissime (2) da titolare, Una situazione, tuttavia, che non scalfisce l’ex Mogliano. “Se guardo alle ultime due stagioni, tra minuti giocati e prestazioni, verrebbe da dirti che questo è un brutto anno. Ma se faccio un’analisi più profonda, non sono soddisfatto – anche se non lo sono mai, per carattere (ride, ndr) – ma tranquillo si, perché mi sto allenando al massimo, ed ampliando il mio bagaglio esperienziale. In questo momento mi sto concentrando sugli interventi da ‘grillotalpa’, e sulle linee di corsa, sia in attacco, che in difesa, cercando di trovare la traiettoria più veloce ed efficace possibile per arrivare a placcare, o per incidere in un punto d’incontro”, dettaglia, prima di parlare di cosa significhi partire come riserva.

“Iniziare dalla panchina non è facile per quanto mi riguarda, perché, potendo giocare 4 ruoli e mezzo (seconda linea e flanker, più raramente numero 8), non sempre so in che posizione dovrò subentrare. Quindi è una questione prettamente tecnica. Sebbene il sistema in touche, grazie al lavoro di Marco Bortolami, sia molto chiaro e ormai ben oliato, comunque alcune giocate da prima fase, soprattutto quando abbiamo chiamate speciali, specifiche contro l’avversario di turno, non sono banali da memorizzare e metabolizzare per ognuna delle posizioni in cui potrei ritrovarmi a scendere in campo”, chiarisce, prima di confidarmi come lavori con grande intensità a casa, tra studio al PC e preparazione mentale.

“Oltre ad ovviare a questa sfida con tanto lavoro sul campo, corroborato da un costante studio video, una volta a casa, cerco di preparami al meglio dal punto di vista mentale. Prima di ogni gara mi focalizzo su 3 obiettivi personali: vincere tutte le collisioni che affronto (ruck, difesa e palla in mano), quindi sintetizzerei con ‘fisicità’, che è una mia prerogativa. Poi gli altri due variano in base alle partite. Talvolta mi fisso sui turnover, cercando di essere incisivo nei punti d’incontro), in altri periodi ho concentrato le mie attenzioni sull’essere un ball carrier efficace”.

Durezza fisica

Nella vita, ancor prima che nel lavoro, di Marco Lazzaroni, gli sport di lotta hanno sempre avuto un ruolo speciale, sin dall’infanzia, e sono tornati prepotentemente in auge in tempi recenti, permettendogli di migliorare sul campo da gioco. “Ho iniziato con il Judo da piccolissimo, proseguendo fino agli 11 anni. Gli sport di corpo a corpo aiutano molto nel ‘fighting on the contact’. Ti permettono di sapere esattamente dove spingere o tirare, in un preciso istante, per destabilizzare il tuo avversario diretto, un qualcosa di estremamente utile sia in difesa che nei punti d’incontro”, racconta, prima di parlarmi della sua recente passione per il pugilato, spiegandomi i vantaggi che ne ha tratto, quasi immediatamente.

“Ho iniziato a fare boxe per lavorare sulla reattività dei miei appoggi, perché essendo un ragazzone piuttosto grande, era un aspetto che sentivo la necessità di limare i difetti, implementando qualche lavoro adeguato. Spesso, cambiare schema motorio, tra l’altro, può aiutare nel farti salire di colpi su uno skills. Sul ring, inoltre, oltre a concentrarti sugli appoggi, devi anche schivare i colpi dell’avversario e quasi senza rendertene conto, vai a stimolare ulteriormente pure il fronte cardio. Tutte componenti non banali per il proprio fitness. Vorrei sfatare anche il falso mito della ‘violenza’ nella boxe. Il pugilato è un’arte nobile di fatto, ancor prima che a parole”, sentenzia.

Un perfezionista che cura ogni dettaglio

Portare a termine buoni allenamenti, studiare adeguatamente l’avversario e reggere mentalmente la pressione durante i match sono tutte condizioni necessarie, ma non sufficienti, soprattutto nel rugby moderno, per poter competere ai massimi livelli. Ci sono, infatti, numerosi aspetti ‘accessori’, che finiscono spesso per determinare realmente la piccola differenza tra un team e l’altro. “Al giorno d’oggi, alimentazione corretta e personalizzata, sonno qualitativo e fisioterapia sono elementi essenziali, per un atleta, nell’ottica di un recupero efficiente dopo una partita. Perché l’aspetto difficile del rugby, e dello sport in generale, non sta nello sfoderare una singola grande prestazione, ma è quello di riuscire a performare stabilmente ad alto livello, soprattutto all’interno di un calendario fittissimo come quello di un rugbista internazionale, senza avere variazioni repentine di rendimento tra un match e l’altro”.

Parlando poi dell’applicazione del club su tal fronte, Lazzaroni puntualizza cosa succede regolarmente alla Ghirada: “Ogni settimana facciamo un check su peso, liquidi corporei, varie percentuali di grasso. Così ognuno di noi ha a disposizione dei test molto ravvicinati per sapere come sta. Abbiamo alcuni pasti collettivi in cui siamo controllati, e poi a livello individuale ognuno di noi deve essere conscio di quali siano gli alimenti corretti in base anche al momento. Io ad esempio mangio tanta carne. Sono piuttosto maniaco sull’aspetto proteico, sull’integrazione. Stiamo seguendo una linea guida. Il gap tra una squadra e l’altra del nostro campionato è estremamente ridotto. Si tratta di un delta risibile, che viene delineato spesso da dettagli. Ecco perché è fondamentale riuscire a farsi trovare sempre il più vicini possibili al 100 percento”.

Gli studi ed un’intrigante possibilità di post carriera

In questi anni, caratterizzati ovviamente dal focus primario sull’attività agonistica, il ragazzo di Udine sta mantenendo vive, nel modo più concreto possibile altre sue passioni di peso, che potrebbero tramutarsi in qualcosa di più, al termine di una carriera che, tuttavia, si prospetta ancora lunga. “Proprio in queste settimana sto studiando per diventare Sommelier di terzo livello, a gennaio del prossimo anno sosterrò l’esame, mi sto preparando al meglio. Frequento anche la facoltà di viticoltura ed enologia. Ho iniziato da poco, dopo aver vinto un bando dell’università di Udine che mi permette di avere dei tutor, non riuscendo a frequentare, e delle libertà sugli appelli, per poter coniugare sport e studi”, mi racconta entusiasta.

“Una dozzina di anni fa, mio padre ha fatto un investimento di famiglia, prendendo ettari di vigneto a Buttrio (UD). Una cosa nata quasi per gioco, ma che potrebbe avere risvolti interessanti anche per il mio post carriera. Nel corso di questi anni di ovale, sto anche cercando di costruirmi competenze solide e cultura a livello eno-gastronomico, da affiancare alla passione, trasmessa da mio padre, che è già di alto profilo”.

La nazionale, tra XV e Seven

Prima di salutarci, non può mancare un accenno alla nazionale azzurra per il presente ed il futuro prossimo (“sono stato chiamato in gruppo da Conor O’Shea per le partite di novembre. Significa che tutto sommato qualcosa di buono l’ho fatto in questo avvio di stagione. Cerco sempre di fare il massimo con il Benetton per ritagliarmi il mio spazio anche a livello internazionale”), con vista anche su quella che è stata l’esperienza estiva col 7s.

Un’avventura che il friulano ha gradito oltremodo. “Ho avuto l’opportunità, grazie ad Andy Vilk, che mi ha trasmesso la passione per questa disciplina fantastica, di tornare a partecipare con la maglia della nazionale azzurra ad un torneo Seven a distanza di anni (la prima nel 2015). Un’esperienza fantastica, che consiglio a tutti i giocatori. Cambia il tuo modo di vivere e percepire il rugby: cambia tutto, dal tipo di fatica all’approccio mentale. Il fatto di avere una fase a gruppi con 3 gare ravvicinate ti costringe, nel bene e nel male, a resettare subito la testa dopo ogni sfida. Questo tipo di approccio andrebbe portato anche nelle partite a XV, riuscendo a dimenticare e metabolizzare in fretta gli errori quando le cose stanno andando male, da un lato, a mantenerti con i piedi per terra e con la massima concentrazione, invece, anche quando il match sta procedendo alla grande. Dal punto di vista tecnico, poi, è un codice ovale a dir poco propedeutico per il XV. Per un giocatore come me, che va spesso per linee dirette ed è legato al’aspetto fisico del gioco, è un toccasana. Mi pone di fronte sfide interessanti sia in difesa, dove devi presidiare spazi molto più ampi, che in attacco, dove hai la necessità di lavorare al meglio sulle linee di corsa, razionalizzandole e rendendole il più efficaci possibili, oltre all’impegno che questo sport ti richiede per ciò che concerne l’accuratezza sui passaggi, molto spesso complessi, perché da eseguire a velocità altissima e con grande gittata”.

Matteo Viscardi

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