Fiamme Oro: intervista a Simone Favaro, tra ovale, sogni e corso d’agente

Abbiamo parlato con il flanker della crescita delle Fiamme Oro e del suo percorso professionale

fiamme oro simone favaro

ph. Luigi Mariani

Nel weekend di Top 12 appena andato in archivio, la grande protagonista del quarto turno di campionato è stata, senza ombra di dubbio, la squadra della Polizia di stato, capace di vincere a Calvisano 8-7. Abbiamo raggiunto uno dei grandi referenti del successo delle Fiamme Oro nel bresciano, Simone Favaro, con cui abbiamo parlato della partita e del suo momento in generale.

Simone, sabato avete incamerato una vittoria storica per il team, al termine di una gara quasi perfetta da parte vostra. La cosa che più ha colpito, osservando il match, è stata l’organizzazione e l’unità d’intenti del gruppo, nonostante ci siano diversi nuovi innesti. Il tutto sublimato dalla tua segnatura, in fin dei conti decisiva.

Assolutamente. In una vittoria per 8-7 i protagonisti sono stati tutti i 23 ragazzi scesi in campo. Dal primo all’ultimo. La partita è stata combattutissima, ma la squadra, nel complesso, ha fatto tutto al meglio. Vero, io ho segnato e per una volta posso dire di essere stato il ‘metaman’ del giorno (sorride, ndr), ma alla fine ho solo schiacciato un ovale ben rifinito da tutti i miei compagni. Mai come stavolta la vittoria l’ha portata a casa il gruppo, lavorando bene sia in attacco che in difesa.

A vedervi da fuori avete lasciato un’impressione molto positiva anche nei punti d’incontro…

Anche da dentro, te lo confermo. Ma non mi limiterei ad un singolo aspetto del gioco. Siamo una squadra che vuole continuare a crescere in ogni situazione, allenamento dopo allenamento, gara dopo gara. Vincere, in tal senso, ti aiuta, perché ti gratifica e ti sprona a continuare così. Sabato abbiamo dimostrato di poter fare un buon lavoro sotto tanti punti di vista. Anche se, per come sono strutturate le Fiamme Oro, anno dopo anno c’è un ricambio massiccio in squadra, qui si sta creando una filosofia di lavoro importante, un’identità definita. Sono contento di tutto ciò anche e soprattutto per i ragazzi giovani in squadra che stanno dimostrando di avere veramente grandi qualità. Devono continuare a lavorare così, crederci, perché possono fare tanta strada, e porsi l’obiettivo della nazionale maggiore.

Allenarvi regolarmente con giovani rampanti come Jacopo Bianchi, Giovanni D’onofrio e altri punti di riferimento dell’Under 20 dello scorso anno immagino sia un bello stimolo anche per i più esperti…

La loro intensità, la loro energia è un grande stimolo. Vederli crescere da vicino, da un lato trasmette a noi esperti responsabilità, ma al tempo tesso porta anche tanta serenità. Mi aiutano, per esempio, ad uscire dalla mia routine ovale abituale, a spezzare quella sorta di monotonia che si crea ad una certa età. Per questi ragazzi, comunque, il meglio deve ancora venire.

La pausa del campionato arriva forse nel momento sbagliato per voi. Ora una settimana di riposo, poi il Continental Shield. Che valore darete alla “terza coppa”?

A prescindere da chi scenderà in campo, giocheremo in Europa dando sempre il 110%. Certo, probabilmente ci sarà anche un pizzico di spazio in più per chi ha disputato meno minuti in Italia, ma ormai le rose nel rugby di alto livello sono composte da una quarantina di atleti, ed ogni match lo preparano in trenta, tra ragazzi in campo, panchinari e altri 6/7 che devono tenersi pronti sino all’ultimo in caso di necessità. Il percorso di maturazione complessiva del gruppo che stiamo portando avanti, quindi, deve coinvolgere capillarmente tutta la rosa, dal primo all’ultimo ragazzo. In ogni partita, che sia Europa o campionato, i 23 in distinta devono giocare al meglio delle possibilità di cui dispongono, altrimenti non avrebbe senso parlare di crescita.

Ad un anno abbondante di distanza dalla tua scelta ovale, ma anche e forse soprattutto di vita, ti senti sempre più coinvolto nel progetto Fiamme Oro, dentro e fuori dal campo?

Proprio in queste settimane sto portando avanti il corso da allievo agente, e ti confesso che è molto interessante, oltre che, ovviamente, utilissimo per sviluppare al meglio le caratteristiche e le abilità che servono alla figura professionale che io e gli altri andremo a svolgere. Nella vita, quando prendo una strada cerco di perseguirla nel modo migliore possibile, a prescindere dal fatto che sia l’amore della mia vita o meno. Anche perché solo vivendo da dentro e quotidianamente una particolare realtà, un individuo capisce se la strada intrapresa è quella corretta per lui o meno. Ecco, nel mio caso i presupposti perché questa sia la mia vita ci sono tutti. Condivido pienamente i valori che animano il lavoro che sto imparando ed apprezzo il tipo di richiesta lavorativa del poliziotto. Sono molto carico su questo fronte, esattamente come quando anni fa decisi di fare del rugby un lavoro, anche se l’ovale non è per sempre. Poi, il rapporto con il corpo è davvero molto bello. C’è una relazione positiva, a livello biunivoco. Io sono felicissimo qui con le Fiamme e viceversa.

Simone, manca un anno alla Coppa del Mondo nipponica. Nel profondo del tuo cuore, almeno un pochettino, ci credi a una tua presenza in Giappone?

Questa è una bella domanda (sorride e sospira, ndr). Dal punto un punto di vista, definiamolo cinico, anche nel profondo del mio cuore non dovrebbe essere così. Più che una speranza, al massimo, un sogno, proprio perché nel rugby non si sa mai. Voglio essere professionale, responsabile e propositivo ogni volta che scendo in campo. Prendo tutto con il massimo impegno. Non voglio impiegare il mio tempo a credere, voglio impiegare il mio tempo a fare. Sarà solo quello che farò che potrà dare una risposta. Poi, che questa risposta mi porti in Giappone o su una strada a fare servizio d’ordine, cambia poco, l’importante è che abbia dato il mio massimo. Con tutta onestà non ci credevo nemmeno per il mondiale inglese, quando ero stato inizialmente scartato, ma poi, alla fine, sono andato in Inghilterra.

Matteo Viscardi

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