Rugby Championship 2018: la seconda giornata in cinque punti

La mischia argentina torna competitiva, il Sudafrica torna sul pianeta Terra mentre gli All Blacks hanno ormai preso il volo

ph. Reuters

Se il dominio degli All Blacks oramai stenta a fare notizia, la buona nuova è che dietro i rapporti di forza fra le altre formazioni del Rugby Championship 2018, dopo la seconda giornata disputata sabato, sono piuttosto fluidi, e le loro sfide nelle prossime settimane potrebbero riservare spunti davvero interessanti.

Mentre i campioni del mondo in carica navigano con grande vantaggio sulle immaginarie imbarcazioni degli avversari verso i lidi nipponici della prossima Rugby World Cup, Australia, Argentina e Sudafrica hanno tutte e tre ancora qualcosa da aggiustare prima del mondiale, cosa insolita a poco più di un anno dall’inizio del torneo.

In particolar modo le ultime due, che hanno recentemente cambiato allenatore, sono costrette ad eseguire un esercizio di costruzione di meccanismi e gioco che non prevede passi falsi.

Il Rugby Championship 2018 si prende ora una pausa di un fine settimana, e tornerà in campo il prossimo 8 settembre. Nell’attesa di rivedere in campo le squadre, cinque spunti di riflessione che scaturiscono da questa seconda giornata.

Mischia argentina

Finalmente una buona prestazione in mischia chiusa da parte dei primi otto uomini dei Pumas. Era necessario, vitale un riscatto degli avanti argentini dopo le difficoltà dimostrate in tempi recenti, compreso il primo turno di questo torneo.

A Mendoza è arrivata una prova soddisfacente, che ricostruisce la fiducia della squadra in un fondamentale nel quale, nel corso del tempo, ha perso la propria posizione di forza acquisita grazie a una decennale tradizione.

Che Creevy e compagni avessero voglia di mettersi alla prova nel raggruppamento ordinato lo si è visto quando, in avvio di secondo tempo, il capitano ha scelto di trasformare un calcio di punizione in attacco in una mischia.

Del confronto ad armi pari in questo fondamentale si è quindi nutrita la squadra per una partita che li ha visti vincere la battaglia fisica, contro un Sudafrica che non ha lesinato, specie nella seconda frazione, il tradizionale rugby afrikaans degli scontri frontali. Al ritorno in campo il prossimo 8 settembre, la mischia argentina se la vedrà contro i colleghi neozelandesi, che hanno distrutto l’Australia anche in questa fase. Un’ottima occasione per misurarne ancora i progressi.

I problemi di placcaggio di Sudafrica e Australia

Le difese di Sudafrica e Australia sono entrambe costate la sconfitta alle due squadre. Che gli Springboks potessero patire senza la palla in mano era un rischio già individuato in partenza: già nelle precedenti uscite del Sudafrica di Erasmus non era stata certo questa fase a stupire in positivo, lasciando agli attaccanti avversari la possibilità di creare e esplorare spazi soprattutto all’esterno della linea difensiva.

Ad aggravare la situazione una pessima prestazione al placcaggio: il 64% è una cifra davvero insufficiente per il rugby internazionale. Sudafrica e Argentina hanno sbagliato all’incirca lo stesso numero di placcaggi, 36 contro 32, ma su una base assai diseguale (169 placcaggi tentati per i Pumas, appena 90 per gli Springboks), visto com’è andato il secondo tempo.

Un po’ diverso il discorso per l’Australia. Le mete che hanno segnato la partita sono arrivate soprattutto da palloni di recupero, e i Wallabies hanno dimostrato in alcune fasi del match quello che avevano già messo in mostra nell’incontro di Sydney: una difesa che quando funziona riesce a mettere sotto pressione qualsiasi avversario costringendolo all’errore.

Il problema è la continuità di questo atteggiamento, che con il passare dei minuti si perde ed ha delle evidenti lacune in alcune individualità. Troppi i placcaggi sbagliati da Marika Koroibete, uno dei terminali offensivi più pericolosi dei suoi, che però mette sul piatto 6 errori al placcaggio. Lo stesso numero lo fa registrare Kurtley Beale, tradizionalmente il termometro della squadra australiana: se va male lui, probabilmente andranno male anche gli altri.

Post scriptum: sapete chi invece di placcaggi se ne intende? David Pocock ne ha fatti registrare 18 senza errori.

I Wallabies non sono morti

Giocare due volte consecutive contro gli All Blacks in questo momento è uno dei mestieri più ingrati nel rugby internazionale, citofonare Francia per maggiori informazioni.

Ha ragione Steve Hansen, lo ha detto chiaro e tondo: questa squadra in nero è speciale, sta vivendo un momento di dominio assoluto e totale come forse nemmeno le iterazioni iridate e la squadra vincente del 2005 avevano fatto. Perdere di trenta punti, subirne quaranta, rappresenta attualmente lo standard del mondo ovale.

Nonostante questa edizione dei Wallabies sia meno convincente di quella del Rugby Championship dello scorso anno, gli australiani rimangono la squadra più quotata per battere le altre due e arrivare al secondo posto al termine del torneo.

Se Cheika sarà bravo a gestire un ambiente che si fa arroventato intorno alla squadra, se i giocatori saranno in grado di essere impermeabili alla pressione, allora il tasso di talento e la classe della squadra potranno fare la differenza contro Argentina e Sudafrica.

La migliore Australia è una squadra che rivaleggia con Irlanda e Inghilterra per il titolo di sfidante numero uno agli All Blacks, per il secondo posto nel ranking mondiale. Qualche infortunio (quanto mancano Kerevi e Kuridrani, oltre naturalmente all’assenza di Folau, che però dovrebbe essere pronto per l’8 settembre) e una profondità preoccupante nella rosa ne limitano il potenziale a questo Rugby Championship, ma la squadra ha appena attraversato l’inferno, e può solo risalire, a rivedere le dantesche stelle.

Beauden Barrett è clamoroso, ma i suoi soci non sono da meno

Il mediano di apertura degli All Blacks ha segnato 30 mete in 66 presenze. Di queste, 21 le ha segnate nelle 30 presenze da mediano di apertura titolare fra il 2016 e oggi. Ha segnato, in media, una meta ogni 56 minuti. Bernard Foley, che fra i mediani di apertura delle migliori nazionali è dopo Barrett quello che ha segnato di più, ha segnato 15 mete in 60 presenze, una ogni 320 minuti. Non aggiungiamo altro.

Concentriamoci invece su un altro monumento che, tolto Barrett, avrebbe meritato di vincere il man of the match a Auckland: Ben Smith. Il veterano degli All Blacks, schierato all’ala per l’inserimento del più giovane dei Barrett, Jordie, ha offerto una prestazione maiuscola coniugando alla consueta verve elusiva in attacco, una prestazione maiuscola (ma che comunque non gli è nuova) sui palloni altri.

Una costante spina nel fianco per l’Australia sia con il pallone in mano che sui calci alti dei propri compagni, metodo assai valido per recuperare il pallone guadagnando ampie porzioni di territorio e al contempo scombinando gli allineamenti della difesa.

Menzione di merito anche per il centesimo cap di Owen Franks, passato senza troppe ansie e, figuriamoci, occasioni da meta. Marcatura che invece è arrivata per il compagno di reparto Joe Moody, autore di una prestazione a tutto tondo. Un ultima riga per Jack Goodhue: il ragazzo gioca bene, lo ha dimostrato una volta di più. Un paio di errori di decision making ne hanno mostrato i provvisori limiti, ma il biondo è qui per restare.

Willie le Roux croce e delizia del Sudafrica

Uno sguardo alla statistica dei passaggi fatti degli Springboks: Faf de Klerk, 92; Handre Pollard, 15; Willie le Roux, 23. Okay, è impressionante già di per sé il fatto che il numero 10 della squadra abbia fatto registrare a suo nome tanti passaggi quante cariche (percorrendo più metri in avanzamento di Whiteley e Marx, comunque), ma ciò su cui è opportuno soffermarsi è quello che viene richiesto al giocatore dei Wasps.

In maniera ancora più accentuata che a Durban, le Roux è stato il regista offensivo della squadra di Rassie Erasmus, ricevendo spessissimo il pallone da primo uomo in piedi e cercando di accendere la luce per l’attacco dei suoi. Ci è riuscito in alcune occasioni, ad esempio in entrambe le mete di Lionel Mapoe, mentre nel primo tempo alcune sue pessime esecuzioni hanno compromesso alcune situazione favorevoli al Sudafrica.

Nel nuovo attacco assemblato da Erasmus, le Roux è l’uomo decisivo per far girare il motore della squadra quanto lo è Beale nell’Australia, anche se lo stile dei due è ovviamente molto diverso. I due hanno in comune che, se commettono troppi errori o sono in un momento di appannamento, finiscono per condizionare la prestazione di tutta la linea arretrata.

A Mendoza le Roux è stato croce e delizia degli Springboks, guidandoli con la giusta verve e lucidità solamente nel secondo tempo. In difesa, poi, l’estremo ha alcune responsabilità sulla seconda meta di Bautista Delguy, essendo stato non proprio irreprensibile nel placcaggio. Tre placcaggi fatti e due sbagliati compongono la sua linea statistica difensiva.

Un giocatore come lui, con le funzioni deputate, è chiaro che possa funzionare al meglio quando la squadra è in avanzamento. Nel primo tempo al Malvinas Argentinas questo è successo poco, e la sua prestazione ne ha risentito. Prestazione comunque insufficiente: per la battaglia fra quattordici giorni all’Australia del suo ex compagno di squadra e collega barometro Kurtley Beale, servirà il miglior le Roux.

Lorenzo Calamai

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