Sei Nazioni 2013, l’impresa italiana contro la Francia

La vittoria azzurra raccontata dai Delinquenti prestati al mondo della palla ovale

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

Italiani e francesi, mai amati particolarmente. Caratteri tosti, che non te le mandano a dire. E che quando è ora non ti risparmiano la battuta, né lo sfottò. Non che spagnoli e greci siano troppo diversi, una faza una raza, ma coi francesi è un discorso che va oltre, soprattutto nello sport. Dai tempi di Bartali al Tour, perfettamente messi in note da Paolo Conte, che le palle ancor gli girano. Appena una delle due parti percepisce un vantaggio giù di battute. Che se parliamo di calcio, ciclismo e altro è un sostanziale pareggio, ma se si va sul rugby è un lungo supplizio italiano. Anni di sofferenze, umiliazioni che vanno oltre il risultato (vedi lo schierare le seconde squadre contro di noi), titoli di giornali, soprattutto i loro, che ironizzano su pasta, pizza e vacanze. Fino al 1997, Grenoble, ma per loro è un caso isolato, anche se la botta la sentono. Fino al 2011, Flaminio, con tanto di sbandierate “vacanze romane” prima del match e Nick Mallett che scende piangendo dalla tribuna. Eh, comincia a cambiare aria, lo sanno. Nel 2012 al Sei Nazioni li teniamo in scacco per un’ora e se vi ascoltate la telecronaca francese percepirete del timore, prima che gli ultimi venti minuti siano un florilegio di battute e di cliché.

 

Solo che nel 2013 devono venire all’Olimpico, e non è che l’autunno ovale si sia concluso così bene: i samoani rischiano seriamente di sbancare Parigi. Hanno però una concentrazione di musicalità e prepotenza fisica che noi ce lo sogniamo: in mediana si fa male Trinh-Duc e allora gioca Michalak, che ha talento e piedi spropositati. Dietro hanno Wesley Fofana, che può giocare indifferentemente estremo, ala o centro, sempre con un rendimento mostruoso. C’è Louis Picamoles, numero 8 inarrestabile per forza fisica, poi Mathieu Bastareaud, centro che pesa più dei piloni e che, male che vada, sono 125 chili che arrivano lanciati. C’è capitan Dusatoir, che è incredibile per sostanza e carisma. Partono favoriti, ma noi non siamo messi male, anzi. È la grande stagione della Benetton di Franco Smith, che arriverà settima a fine annata e che fa da spina dorsale alla Nazionale. Ci sono giocatori che sono all’apice della loro carriera, vedi i centri Alberto Sgarbi e Tommaso Benvenuti, altri come Leonardo Ghiraldini che ci sono sempre. C’è la novità Francesco Minto, sempre avanzante. E poi c’è la terza linea, il vero fiore all’occhiello azzurro: oltre a capitan Parisse, che in Europa uno così lo vogliono tutti, ci sono un cacciatore di avversari e pallone come Simone Favaro e un corazziere come Alessandro Zanni, incredibile per leadership e per avanzamento e autore, fino a quel momento, di una stagione incredibile. Per dirne una, in Heineken Cup Treviso ribalta in 5 minuti una sconfitta sotto la pioggia contro gli Ospreys. A Monigo perderanno solamente una volta, contro il Leinster, e solo grazie ad un incredibile drop di Jonny Sexton. A questo scheletro si aggiungono Castrogiovanni, Geldenhuys, Lo Cicero, Masi. È una signora squadra, che si permette il lusso di schierare McLean all’ala per sfruttare una doppia copertura dietro.

 

A novembre si soffre con Tonga, poi per un’ora teniamo testa agli All Blacks. Infine gettiamo via il match con l’Australia per colpa di una prima mezz’ora timida ed impacciata. Recuperiamo e quasi la pareggiamo con Orquera. Contro la Francia però le statistiche contano poco. Conta altro. C’è il sentore che si possa fare qualcosa di grande, ma serve tutto, a partire dal pubblico, passando per gli azzurri cappati dal 1929 presenti a bordocampo. E serve che la Francia un po’ resti lì sui nastri, o che almeno non sfoghi subito tutta la cilindrata di cui dispone.

 

Partiamo forte, colpiamo ai fianchi e costringiamo i francesi nei 22. Solo che alla prima palla persa loro non ci pensano molto: palla allargata a Michalak e calcione nella profondità. Sulla palla si avventano Fofana e Huget, i due più veloci, ma a sorpresa lo sprint lo vince McLean, tacciato da tutti di essere lento, ma che fa una curva da quattrocentista, prende palla e riparte dritto per dritto. I francesi non se l’aspettano. Creiamo due raggruppamenti, avanziamo a testate con Sgarbi e Zanni. Poi Botes apre per Orquera, che si trova davanti un pilone e una seconda linea e buca. Poi deborda, siamo in 4 contro un francese. Palla a Parisse, meta. Trovate qualcosa di più bello, nel rugby, del segnare in contrattacco alla Francia, regina delle giocate da 100 metri. Lo stadio si infiamma, ma lo fanno anche i francesi: Picamoles sfonda e va oltre, 7 a 5 per noi. Ma continuiamo: Orquera prima droppa, poi centra i pali con un piazzato. Piccolo grande Orquera, a lungo nella sua carriera tacciato di poco coraggio e di poca sostanza in campo e ora lì a fare il diavolo a quattro. Trova touche fondamentali, attacca la linea. Gli azzurri seguono a ruota. Occupiamo il campo, attacchiamo anche difendendo. I francesi si passano palla e pressione, solo che sono francesi e il loro cilindro ha spazio per diversi conigli. Come quando Huget e Fritz inventano un doppio riciclo interno e mandano in fuga Fall. Sgarbi e Masi quasi lo prendono, ma si ostacolano e ciao. Finiscono il primo tempo avanti, la ripresa continua sulla stessa falsariga, noi occupiamo e creiamo, loro segnano dalla piazzola con Michalak. Da metà campo, perché da lì non li facciamo schiodare.

 

Cominciano i cambi, la partita è ancora aperta, ma il punto di rottura è imminente: touche francese, la portano giù. Machenaud inarca la schiena, palla in mano. Carica il calcio dal box. Movimento plastico, gli siamo addosso. E invece no, trae a sé il pallone mostrato agli avversari e corre. Sguscia e se ne va. Lo prendono dopo 50 metri, è l’azione che potrebbe rompere il match. Se prendiamo meta è finita. Solo che perde la palla, la recupera Giazzon, appena entrato. Punta Michalak, che avrà classe e piedi d’oro, ma che in quanto a chili e potenza fisica deve retrocedere. Pericolo scampato, calciamo via sto pallone prima che scoppi il putiferio. Invece no, Gori apre per McLean, che serve Masi. Masi corre addosso all’avversario, poi lo rilascia nell’ultimo istante utile. Lo prende Parisse, che ha la strada aperta. Corre, eccome se corre il capitano. L’Olimpico ruggisce, in molti sanno che non arriverà in fondo, ma pazienza, restituisce quanto roso da Machenaud. Gori, Castrogiovanni, bum. Giù. Fuori ancora per McLean, che è ala ma là dietro è da un’ora che fa qualsiasi cosa. Poi Orquera, Benvenuti, Venditti, strada ancora aperta, lo mettono giù nei 22. De Marchi. L’Olimpico è una bolgia, capisce che è il momento. Gori parte, lo placcano alto. Poi Giazzon, respinto. Siamo ai 5 metri. Orquera è il più piccolo della compagnia, lui forse non lo sa. Punta Picamoles e Dusatoir, i più grossi e cattivi degli avversari. Ci si infila in mezzo, poi scarica il pallone. Resta per terra. La palla è sospesa in aria, è una roulette, esce il 3. Bianco. Che non esiste nella roulette, ma che su un rettangolo verde non esiste che qualcuno lo possa fermare, almeno in corsa. Meta. L’Olimpico viene giù, Orquera trasforma, Torniamo in vantaggio.
E ci rendiamo conto che c’è qualcosa di meglio del segnare una meta in contrattacco ai francesi: segnarne due.

 

Di Cristian Lovisetto

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