“Kids First”, il progetto della RFU che mette i giovani rugbisti al centro

In Inghilterra si chiede che siano i più piccoli a scoprire, capire e risolvere il gioco. Scindendo esecuzione e comprensione

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

Si chiama Old Mutual Wealth Kids First Rugby (semplicemente Kids First senza title sponsor) ed è il nuovo programma di formazione della federazione inglese indirizzato ai praticanti dall’Under 7 all’Under 13. A presentarlo, nella giornata di mercoledì 20 gennaio, sono stati l’head coach dell’Inghilterra Eddie Jones assieme ad Alex Goode, i quali hanno tenuto una sessione di allenamento pilota assieme a 60 rugbisti dagli otto ai dieci anni, di fatto primi destinatari in assoluto della nuova metodologia di lavoro. “Da oggi – si legge nel comunicato diffuso dalla RFU – l’Old Mutual Wealth Kids First diventa la base del gioco per club, scuole e giocatori con meno di tredici anni”. I punti salienti del programma, che rientra nel più esteso Age Grade Rugby che partirà in modo completo da settembre, sono i seguenti: “mettere i bambini al centro di qualunque cosa facciano e di tutte le decisioni che prendono; aumentare la loro confidenza sia come giocatori che come persone, facendo in modo che affrontino i possibili conflitti“. Lo spiega con parole più concrete Mark Saltmarsh, Head of Education Development della RFU: “Vogliamo un approccio che metta i bambini al centro di ciò che accade dentro e fuori dal campo. Vogliamo che capiscano il gioco al loro ritmo, e chiediamo ai club e alle scuole di adeguarsi a standard molto alti di qualità […] Abbiamo fatto molte ricerche, ricevendo feedback anche dagli stessi bambini e questo nuovo sistema è basato sulla motivazione degli stessi giovani atleti”.

 

Il tema è di quelli assolutamente importanti e punta su uno degli aspetti più importanti della formazione di un giocatore: la capacità di saper leggere la singola situazione di gioco agendo di conseguenza. Per farlo, la federazione inglese chiede a club e scuole che siano i bambini a scoprire e a capire il gioco “con il loro ritmo”, senza cioè avere degli schemi preconfezionati tali da indurli a risolvere un problema (superiorità, inferiorità e via dicendo) sempre nello stesso modo e ricorrendo alla medesima soluzione, quella magari provata e riprovata in allenamento e poi usata e abusata in condizioni di gioco reale. Questo sistema potrebbe ricordare, con le dovute proporzioni, il cosiddetto metodo Orberg per l’apprendimento del latino: non lo studio della grammatica e del lessico finalizzati alla comprensione del testo, ma lettura ed utilizzo del testo stesso in modo che l’allievo ne desuma autonomamente le regole grammaticali. Chiusa la parentesi liceale, è chiaro in che modo il nuovo metodo inglese (non a caso chiamato Kids First) metta al centro il giocatore ma soprattutto la sua disponibilità ad assimilare in modo quasi naturale i meccanismi di gioco. E l’allenatore che ruolo ha in tutto questo? Se è vero che il giocatore è chiamato ad una maggiore responsabilizzazione, dall’altra è anche vero che in un simile sistema di formazione il ruolo del tecnico non solo non si riduce, ma anzi si fa più complesso: insegnare e far ripetere un due contro uno o una qualunque situazione di gioco costruita è un conto, mettere i propri giocatori nelle condizioni di capire da soli come risolverla ed eventualmente correggere l’esecuzione è un’altra. E il vero punto della questione è proprio questo: scindere il momento della comprensione da quello dell’esecuzione. Fare bene un esercizio non implica per forza averlo compreso, che è proprio quello su cui insiste ora la RFU secondo un’idea di lavoro molto da Australia e Nuova Zelanda ma che più volte si è sentita anche dalle nostre parti, per bocca del coach delle Zebre Guidi (“creiamo situazioni di gioco in cui i ragazzi costruiscono l’allenamento e gestiscono il momento strategico. Le decisioni le prendono i giocatori in campo, non possiamo pretendere di essere un joystick”) e più recentemente nelle parole di Bettarello a proposito del lavoro di McDonnell a Rovigo. Certo, farlo con giocatori adulti e professionisti è un conto, con dei bambini è un altro. Ma se fatto bene può dare risultati nel lungo periodo davvero importanti. “E’ importante che i bambini sviluppino le skills, come passare ma anche cercare spazio. Questo nuovo approccio permetterà loro di avere più tempo con la palla in mano”, ha dichiarato coach Eddie Jones.

di Roberto Avesani

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