Gli Spanghero, friulani di Francia. Molto più di una semplice famiglia ovale

Marco Pastonesi e le vicende di una famiglia che ha dato tanto al rugby francese. Finita nei guai per colpa di un po’ di carne

ph. Scott Heavey/Action Images

Laurent, Jean-Marie, Walter, Claude, Guy e Gilbert. Sei fratelli. Con Nicolas, figlio di Guy, una squadra di rugby a sette. O di pallanuoto. Sette vecchi ragazzi, non proprio d’oro, ma di ferro, di ghisa, di acciaio. I magnifici sette. Se fossero stati giapponesi, sarebbero stati i sette samurai. Ma sono francesi, francesi di origine italiana. Gli Spanghero. Accento sulla o. Il papà è un friulano. Muratore. Emigra dall’Italia, arriva in Francia, si stabilisce nell’Aude, a Bram. Campagna. Terra e bestie. Fatica dalla mattina alla sera. Si fanno figli per presenza di amore, per assenza di televisione, per spirito religioso. E per avere aiuto. Due braccia in più per lavorare, nei campi e nelle stalle, valgono più di una bocca da sfamare. Otto figli: sei maschi e due femmine.
I maschi, tutti carpentieri. Crescono in longitudine e latitudine, in sogni e bisogni, in fame e, applicata al rugby, in fama. Gli Spanghero. Accento sulla o.

 

La prima squadra è quella di Bram. Clima famigliare. La seconda di Narbonne. Già una nazionale. Lì, a sud della Francia, a nord dei Pirenei, esiste come un campionato nel campionato. L’aria è quella dei campanili. Ogni partita una battaglia, una guerra, una grande guerra. Prima delle partite, le campane suonano a richiamo, come se ci fosse una messa. La partita è una messa. Dopo le partite, le campane suonano a festa o a morto. Narbonne, Beziers, Perpignan, per dirne tre, di campanili. Tarbes, SaintGaudens, Lourdes, per dirne altre tre. Tabellina del tre. Si potrebbe recitare un rosario di squadre e giocatori. Il rugby, là, è religione. E fra i santi, o i diavoli, più o meno, dipende dalle circostanze, e dai punti di vista, anche loro. Gli Spanghero. Accento sulla o.
Walter è il più forte di tutti. Comincia nel Bram, passa nel Narbonne, a diciassette anni debutta nella prima squadra del Narbonne, a venti nel XV di Francia. Lo chiamano come riserva, entra in campo e ne uscirà diciannove anni dopo. A dire la verità, per un anno, il 1970, non viene selezionato: nella sua autobiografia, Walter dice le cose come stanno, la verità è scomoda, la Federazione francese lo placca in ritardo. Ci vorrà il primo ministro in persona, Georges Pompidou, a chiedere che fra i Bleus torni Walter. E Walter torna. Senza rimangiarsi una sola parola di quello che ha detto. Seconda linea. Terza centro e terza ala. Un metro e ottantasei per più di cento chili. A quel tempo, volumi impressionanti. Però, a impressionare di più non è la stazza del corpo, ma le dimensioni delle mani. Badili. Vanghe. Pale. Come se tutta la giovinezza l’avesse trascorsa, sui campi, senza strumenti di lavoro se non quelli suoi, personali, naturali. Walter Spanghero viene ricordato perché, pallone in mano, rendendolo quasi invisibile e intoccabile, diventava irresistibile. C’è ancora chi ricorda quella volta in cui ci vogliono addirittura sei uomini, avvinghiati a caviglie e cosce, per frenarlo. E lui ancora che li trascina. Oh, Spanghero. Con l’accento sulla o.

 

Da qualche mese gli Spanghero sono tornati nei titoli dei giornali e ai servizi dei telegiornali. Una storiaccia. Bisogna sapere che quella degli Spanghero è sempre stata una famiglia che si è data da fare, prima in campo, poi fuori. Walter, per esempio, smesso di giocare, ha fatto di tutto: autonoleggio, negozio di articoli sportivi, rottamazione di macchine, impresa costruttrice di campi da tennis. E poi l’azienda famigliare: carne. Finché non è stata trovata carne bovina contaminata da altra carne, quella di cavallo. Contratti annullati, fabbrica chiusa, operai senza stipendio. Adesso Laurent, il più vecchio dei fratelli, è tornato in campo. Giurando la sua buona fede, ci ha messo del suo, ha trovato finanziamenti, sta cercando di salvare il salvabile, riassumendo una parte dei lavoratori. Abbiamo un nome da difendere, ha tuonato Laurent. Un nome, e soprattutto un cognome. Spanghero. Con l’accento sulla o.

 

di Marco Pastonesi

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