Le mille vite di Paolo Vidoz: pugile fuori e rugbista dentro

Marco Pastonesi ci porta alla scoperta di un atleta che non ha mai preso in mano una palla da rugby. E che però…

ph. Henry Browne/Action Images

Un tipo tranquillo, quel Bergamasco. Mi dice. Quel Bergamasco biondo, bello, Mirco. Mi racconta. Ci siamo visti a una trasmissione tv, seduti vicini. Mi spiega. Un ragazzo di poche parole. Mi confida. Paolo Vidoz, di rugby, sa poco o niente. Il Bergamasco biondo, bello, Mirco, e forse il Bergamasco meno biondo, meno bello, Mauro. Il pallone ovale, i pali a H, e poi le botte. A pensarci bene, dev’essere questa la parte che conosce di più, e che sente meglio. Essendo lui, Paolo Vidoz, un ex pugile, ammesso e non concesso che, sceso dal ring, un pugile possa mai diventare ex. Si è, e si rimane, pugili per sempre.
Scarpe grosse e cervello fino, Vidoz. Medaglia di bronzo all’Olimpiade di Sydney, nel 2000. Pesi massimi. Poi professionista. Gli avevano detto: o negli Stati Uniti o in Germania. Lui sceglie, non con la testa, ma con il cuore, gli Stati Uniti. E’ stato un errore, dice adesso, ma lo rifarei comunque perché inseguivo un sogno. Va nel New Jersey, abita in una catapecchia, ha una Dodge 3000, quattro chilometri con un litro, che se accendi l’aria condizionata si spegne il motore. Però, quando entra in una palestra, annusa un’aria che sa di cuoio, e quando sale sul ring, tutte le pere e tutte le corde e tutti gli a vuoto si fermano, sospesi nel tempo e nello spazio, e si assiste a chi se le dà, e quando scendi dal ring, incroci cento occhi che regalano rispetto o che tranciano giudizi. Per Vidoz, che ha molta tecnica e poca castagna, quei cento occhi regalano rispetto.

 

Campione italiano e poi campione europeo. Trasferte e borse. Speranze e illusioni. Una mandibola che si frantuma: da quel giorno si guadagna anche un soprannome. Ma il ring è l’unica cosa quadrata della boxe, e la parabola discende, il curriculum si appesantisce, gli ingaggi si alleggeriscono, l’ultimo match lo prepara in quindici giorni, ha la pancia, perde ai punti, l’onore è salvo. E abbraccia il suo avversario. Come ha sempre fatto. Incapace di volergli male. Era anche una questione psicologica, rivela adesso, perché loro si guardavano in cagnesco, ringhiando, e invece io gli sorridevo, e loro s’impressionavano, pensavano che io fossi così sicuro di vincere, anzi, di dominare.
Poi la vita di tutti i giorni. Per farla breve: tre fratellini adottati, la separazione dalla moglie, la campagna, gli ortaggi e la frutta, l’arte della cucina. Vidoz torna in tv, “Master Chef”, supera qualche turno, quando gli dicono un bel piatto lui pensa a un cumulo, porzioni unte e strabordanti, si arrende il giorno in cui gli danno un piatto rettangolare, mai visto prima, frastornato dispone il cibo come se fosse una battaglia navale, e viene bocciato. Conosce Rossella, avvocato, su Facebook, s’invaghisce della sua immagina, suor Teresa di Calcutta che fuma il sigaro, finché s’incontrano, e si trovano. La prossima settimana scattano i lavori per l’agriturismo, lui giura che entro l’anno sarà completato, intanto pensa al nome, ci vuole qualcosa di forte, gliviene in mente “L’agripugile”, noi gli consigliamo “L’osteria dei pesi massimi”, che dà l’idea di un posto dove si mangia tanto, magari anche bene.

 

Vidoz, che come musica per il suo ingresso sotto le luci della ribalta prima di salire sul ring non proponeva i Queen, né i Men at Work, e neanche la colonna sonora di Rocky, ma Heidi perdipiù cantata in tedesco. Vidoz, che ha il viso senza una ruga e la memoria senza buchi e il sorriso senza sotterfugi. Vidoz, che con i soldi dell’ultimo incontro si è comprato un camioncino. Vidoz, che ogni tanto torna in palestra e insegna l’arte dello schivare e quella del colpire. Vidoz, che vorrebbe tornare a combattere una sola volta, non per sé, ma per la sua donna, magari in Ungheria, magari sotto falso nome, magari in un match clandestino, magari per avere un maiale-pecora come borsa. Vidoz, che da solo avrebbe potuto giocare a rugby come un’intera prima linea, e che poi da solo avrebbe potuto far fuori un intero terzo tempo.

 

di Marco Pastonesi

Per essere sempre aggiornato sulle nostre news metti il tuo like alla pagina Facebook di OnRugby e/o iscriviti al nostro canale Telegram.
onrugby.it © riproduzione riservata

Cari Lettori,

OnRugby, da oltre 10 anni, Vi offre gratuitamente un’informazione puntuale e quotidiana sul mondo della palla ovale. Il nostro lavoro ha un costo che viene ripagato dalla pubblicità, in particolare quella personalizzata.

Quando Vi viene proposta l’informativa sul rilascio di cookie o tecnologie simili, Vi chiediamo di sostenerci dando il Vostro consenso.

item-thumbnail

Alcool, pittura fresca, discorsi e panini da ko: quando il rugby fa autogol

Fallimenti, papere, disastri, gaffes, guai, disfatte ovali. Antologia di Marco Pastonesi

item-thumbnail

La Rugby World Cup 2011 raccontata da Marco Pastonesi

Settimo appuntamento con le letture tratte dal libro "Ovalia. Dizionario erotico del rugby"

item-thumbnail

La Rugby World Cup 2007 raccontata da Marco Pastonesi

Continua il nostro viaggio attraverso la storia della Webb Ellis Cup con le letture della nostra prestigiosa firma

item-thumbnail

La Rugby World Cup 2003 raccontata da Marco Pastonesi

Quinto appuntamento le letture tratte dal libro "Ovalia. Dizionario erotico del rugby"

item-thumbnail

La Rugby World Cup 1999 raccontata da Marco Pastonesi

Quando la Coppa del Mondo si trasformò da "teatro per eroi dilettanti, a palcoscenico per attori professionisti".

item-thumbnail

La Rugby World Cup 1995 raccontata da Marco Pastonesi

Terzo appuntamento con le letture tratte dal libro "Ovalia. Dizionario erotico del rugby"