Italia-Uruguay, un amaro ritorno alla vittoria

Una vittoria è una vittoria, ma è doveroso costruire qualcosa di più nel minor tempo possibile

Sebastian Negri in Italia-Uruguay – ph. Sebastiano Pessina

Ventisei mesi dopo l’ultima volta, l’Italia del rugby è finalmente tornata a vincere battendo l’Uruguay sul campo del Lanfranchi di Parma per 17-10.

La vittoria mancava infatti dal 26 settembre 2019, data in cui avevamo battuto il Canada per 48-7 alla Rugby World Cup.

Sebastian Negri, Braam Steyn, Callum Braley, David Sisi, Luca Bigi, Federico Ruzza, Carlo Canna sono i nomi dei sette giocatori che c’erano allora e c’erano sabato a Parma. Nei 23 scelti da Crowley avevano già vinto almeno una partita in Azzurro anche Edoardo Padovani (l’ultima volta con la Namibia al mondiale 2019), Luca Morisi (con la Russia nel 2019), Marco Fuser (Georgia 2018), Pietro Ceccarelli (USA 2016), Giovanni Licata (Fiji 2017).

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Undici dei 23 selezionati e sette dei 15 titolari non avevano mai vinto una partita con la maglia della Nazionale.

La disabitudine alla vittoria degli Azzurri è un dato importante, sottolineato anche da Michele Lamaro ai microfoni di Sky nell’immediato dopopartita.

Purtroppo le attenuanti per la deludente prestazione dell’Italia contro l’Uruguay finiscono qui: gli Azzurri hanno sofferto e rischiato anche di farsi recuperare contro una squadra alla quale avrebbe dovuto imporre una tariffa pari a quella imposta a Namibia e Canada alla Rugby World Cup 2019, tanta è la differenza nella qualità della rosa e nel rugby disputato professionalmente dai componenti delle due formazioni.

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Invece ci hanno pensato le espressioni gelidamente sconfortate di Kieran Crowley, episodicamente inquadrato in tribuna, a riassumere il pomeriggio della nazionale sul prato del Lanfranchi.

Del CT azzurro si possono pensare molte cose, ma ciò che sicuramente non gli manca è una onesta franchezza. In conferenza stampa non ha nascosto la propria delusione e ha ammesso che rispetto alla prima uscita contro gli All Blacks la squadra non ha fatto progressi, anzi, forse è tornata indietro.

L’Italia ha approcciato la gara un po’ come i neozelandesi avevano fatto nel primo test di questo novembre, cercando di muovere il pallone da una parte all’altra del campo senza passare dall’avanzamento per linee dirette necessario per mettere la difesa sul piede arretrante. Ne è uscito un pasticcio di compagni che si sono messi sotto pressione l’uno con l’altro, isolandosi dai sostegni e finendo costantemente nelle grinfie dei sudamericani, sempre pronti a far battaglia al breakdown.

Nelle difficoltà l’Italia si è disunita, vittima di una fragilità mentale chiara: ognuno ha cercato di mettere quell’impronta personale sulla singola azione, forzando quel qualcosa in più che ha solo generato ulteriore confusione. La regia di Callum Braley e Paolo Garbisi è lentamente affogata in questo caos.

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Se la differenza di potenziale nelle due squadre era chiara, si attendeva solo che un evento positivo a favore degli Azzurri sbloccasse finalmente l’incontro, e la meta di Hame Faiva sembrava finalmente renderlo possibile. Invece la marcatura ha seduto gli Azzurri, comodi sul loro cuscino di 14 punti di vantaggio, mentre non ha messo fuori gioco gli ostinatissimi Teros.

All’Uruguay va dato credito di essere una squadra dura, ruvida, che fa cose semplici ma che si conosce perfettamente. L’identità tecnica forgiata nei successi degli ultimi anni nel continente americano, coronati dalla qualificazione alla RWC 2023, rende il collettivo charrua di valore superiore alla somma delle sue parti. È stato così che l’Italia si è trovata a soffrire terribilmente gli ultimi minuti di partita e ci è voluta una reazione d’orgoglio per riuscire a portare a casa la tanto sospirata vittoria.

Proprio gli ultimi minuti dell’incontro sono la tenue luce dalla quale ripartire. Giocando con la stessa lucidità, precisione e attitudine anche gli altri 75 minuti il risultato sarebbe stato completamente diverso.

La prestazione di sabato però è molto preoccupante. L’Italia è in questo momento una squadra senza un’identità tecnica, con poche idee confuse che esegue male. Una vittoria al prossimo Sei Nazioni rimane una gigantesca chimera lungi dal diventare realtà, ma sarà necessario utilizzare il Torneo per consolidare i pilastri strategici, tattici e tecnici di questa nuova squadra azzurra per arrivare preparati a giugno: Georgia e Romania aspetteranno gli Azzurri con gli artigli ben affilati, sono sfide che attendono da anni.

Lorenzo Calamai

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