Sergio Parisse: “Voglio che la mia ultima stagione sia speciale, vestire l’azzurro è ancora un sogno”

L’ex capitano azzurro tra il finale di carriera, la pausa forzata e la situazione del rugby italiano

Sergio Parisse Leonardo Ghiraldini

Sergio Parisse in azione in maglia azzurra – ph. Luca Sighinolfi

Sergio Parisse, ex capitano della nazionale italiana, si è raccontato in una intervista esclusiva al Telegraph. Al quotidiano inglese ha parlato della pausa forzata degli ultimi mesi, delle intenzioni per il prossimo futuro, della situazione del rugby in Italia e della voglia di tornare, comunque, a vestire un’ultima volta la maglia azzurra.

“La pausa mi ha rivitalizzato, mentalmente e fisicamente – ha dichiarato il numero 8 – e ora voglio chiudere alla grande con il Tolone. Non ho nessuna intenzione di continuare a essere nel giro solamente per starci, voglio che questa sia una stagione speciale. E sì: mi piacerebbe molto giocare un ultima partita per l’Italia davanti ai tifosi di Roma. Questo rimane il sogno.”

Un sogno che Sergio Parisse ha portato con sé, fin dagli esordi quando, nato e cresciuto in Argentina da genitori italiani, venne avvicinato dalla federazione sudamericana per giocare con i Pumas: “Mi sono fatto notare ai mondiali giovanili in Cile, ma non mi è mai passato per la testa di non giocare per l’Italia. I miei genitori sono italiani, sono cresciuto parlando italiano e, da piccolo, tornavo a casa a L’Aquila ogni estate. Giocare per l’Italia è stato un sogno, giocare per la mia cultura e la mia famiglia. Quando ti metti una maglia, non è solo un pezzo di stoffa che indossi. Lealtà, orgoglio, fiducia: queste sono cose che significano tantissimo per me.”

Il cammino del terza linea italiano nel rugby internazionale non è stato segnato dai successi che ha invece raccolto in Francia, giocando quasi tutta la sua carriera senior con lo Stade Français di Parigi. Se con la squadra della capitale transalpina ha vinto due campionati e una Challenge Cup, con la maglia azzurra ha perso 106 delle 142 disputate.

“Trovo persone che mi dicono ‘non avresti voluto essere un All Black per avere tutto quel successo?’ Beh, no. Essere italiano è ciò che sono. Magari avrei vinto più partite ma avrei avuto le stesse emozioni, esperienze, lo stesso cameratismo, la stessa gioia? La cosa più importante della vita è come ti senti. Se senti di aver fallito, allora certo, non è una buona cosa. Ma io guardo alla mia carriera e ne sono orgoglioso.”

“Posso capire perché si parla sempre del fatto che l’Italia possa retrocedere dal Sei Nazioni. L’Italia ha perso un sacco di partite. Se fossi georgiano, come Mamuka Gorgodze qui a Tolone, farei proprio come lui, chiederei di essere ammesso al Sei Nazioni. Ma se introduciamo la retrocessione, magari un anno gioca la Georgia, quello dopo torna l’Italia. In che modo questo potrebbe migliorare il torneo?”

“Certo, non aver vinto una sola partita negli ultimi cinque anni non dà una bella immagine del rugby italiano. Posso capire le critiche. Certo che non abbiamo fatto abbastanza. E di questo non sono contento.”

A Tolone, la squadra riparte da un ottimo stralcio di stagione nel Top 14, dove i risultati stavano superando le aspettative di inizio stagione e la squadra stava giocando un rugby divertente e moderno, con Parisse elemento di spicco. Qualcosa che Sergio punta a rimettere in campo anche a settembre, quando il campionato francese ripartirà, senza dover fare a meno del numero 8 azzurro per eventuali impegni internazionali. Anche se per il futuro, dice, la voglia di dare indietro qualcosa al rugby italiano, magari con un ruolo tecnico, non manca. Nonostante la palla ovale di oggi lasci un retrogusto amaro nel giocatore con più presenze di tutti con la maglia della nazionale: “Mia moglie non vuole che nostro figlio giochi a rugby. Oggi per i giovani giocatori è tutto incentrato sull’essere fisici, forti, fare pesi. Ovviamente il rugby è uno sport di contatto e dev’essere duro, ma che fine ha fatto pensare di trovare gli spazi o fare un passaggio? Abbiamo perso un po’ di bellezza, abbiamo un po’ distorto l’equilibrio di questo gioco.”

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