Le cinque partite da ricordare del 2019

Dal Sei Nazioni femminile alla Rugby World Cup: i 400′ che hanno cambiato gli equilibri ovali in quest’anno

Pieter-Steph du Toit sudafrica rugby world cup 2019

Pieter-Steph du Toit – ph. Sebastiano Pessina

Il 2019 volge ormai al termine, ancora poche ore e saremo in un nuovo decennio. Per salutarvi in bellezza, la redazione di Onrugby ha deciso di scegliere le 5 partite da ricordare di questo 2019 che, sotto il profilo rugbystico, ha ridisegnato – e non poco – gli equilibri di Ovalia: dalla Rugby World Cup sollevata al cielo dagli Springboks al Sei Nazioni Femminile di una sorprendente Italia, passando per la Champions Cup nell’eterno duello Sarancens-Leinster. Ecco a voi la cinquina di match pensati.

Sudafrica v Inghilterra – Rugby World Cup 2019

Considerando il contesto, l’importanza della partita e le premesse, quella del Sudafrica è stata una delle più straordinarie dimostrazioni di forza nella storia della Rugby World Cup. E pazienza se può sembrare un’esagerazione: è un fatto. Anche perché gli Springboks erano sfavoriti da quasi tutti i pronostici prima della finale. Sappiamo tutti invece com’è finita: non male per una squadra di fatto in stato comatoso fino a inizio 2018.

Per la sua cavalcata, Rassie Erasmus ha riportato il Sudafrica con convinzione alle basi più essenziali di questo gioco, più di chiunque altro: mischia, maul, conquista a terra, difesa, placcaggi decisi e gioco territoriale. Il tutto condito da una fisicità esasperante e da una cattiveria agonistica senza eguali. Gli Springboks hanno dominato proprio ancorandosi a quei principi fondamentali, vincendo tutte le piccole battaglie negli 80 minuti anche dal punto di vista psicologico.

Gli Springboks hanno preparato il terreno dominando in maniera spettacolare in mischia, vincendo i palloni aerei e le collisioni e sfruttando il piede preciso di Pollard. Una volta barcollante, è arrivato l’uno-due con le ali Mapimpi e Kolbe, finalizzatori micidiali e deterrenti ideali per le difese avversarie (e atleti dal fisico normale o anomalo, a ricordarci che anche tra i Boks c’è spazio per tutti da questo punto di vista).

È LA partita da ricordare anche per l’immagine di Siya Kolisi con la Webb Ellis Cup tra le mani, ovviamente. Il primo capitano nero in un Paese come il Sudafrica è una storia molto più grande del rugby, ma che allo stesso tempo solo lo sport avrebbe potuto raccontare in maniera così eccezionale. È LA partita da ricordare perché scandisce e scandirà la linea del tempo ovale, più di una (per quanto epica) semifinale.

Inghilterra v Nuova Zelanda – Rugby World Cup 2019

Gli oltre 23 minuti della sintesi estesa della semifinale mondiale fra Inghilterra e Nuova Zelanda non riassumono abbastanza efficacemente la gioia per gli occhi e per l’animo che è stata assistere a una partita che rientra senza nessuna ombra di dubbio fra le migliori del decennio, e che al fischio finale è entrata per direttissima nei libri di storia della palla ovale.

Una partita capolavoro soprattutto nella prima frazione, la cui intensità abbinata alle straordinarie capacità di tutti gli interpreti ha messo in pericolo le molle di qualsiasi divano, da Yokohama a Lisbona, da Londra a Auckland. Uno spot per il rugby: anche lo spettatore occasionale rimane agganciato ad una partita così.

Un incontro incominciato con l’haka affrontata dalla freccia-wannabe-semicerchio dei giocatori inglesi, un tunnel di maglie bianche sul cui sfondo si staglia il ghigno di Owen Farrell, perfetto nella sua posa da super cattivo. Un incontro terminato con il saluto a una generazione di giganti, leggende viventi degli All Blacks come Kieran Read, Ben Smith e non ultimo Steve Hansen.

L’Inghilterra di Eddie Jones ci ha fatto stropicciare gli occhi tanto e più di quanto non fosse riuscita a fare nei quattro anni precedenti, pur costellati di vittorie importanti. Un alternarsi sinfonico di gioco stretto e largo, di percussioni e di passaggi, con interpreti mai così celestiali. E infatti replicare tanta perfezione è risultato impossibile.

Italia v Francia – Sei Nazioni femminile 2019

In quella che può tranquillamente essere considerata la più importante sfida di una qualsivoglia compagine azzurra al Sei Nazioni, senza distinzioni di sesso ed età, in uno Stadio Plebiscito (sede di gara anche per l’edizione 2020) ribollente di passione, le ragazze di Andrea Di Giandomenico hanno sfoggiato il loro vestito migliore al cospetto della Francia, guadagnandosi un clamoroso secondo posto nel prestigioso torneo continentale e l’accesso istantaneo nei libri di storia del rugby nostrano.

Una vittoria da bottino pieno, quella contro le transalpine, giunta come ciliegina sulla torta di una campagna di assoluto rilievo, che aveva portato in dote, in ordine d’importanza, il prestigioso primo successo nel torneo contro l’Irlanda, il solido trionfo in terra scozzese ed il beffardo pareggio di Lecce, contro il Galles.

Una vittoria, peraltro, emotivamente, ancor prima che tecnicamente e tatticamente, mai in discussione, sin dal riscaldamento sul campo patavino. Il delta attitudinale e di concentrazione tra le due compagini è palpabile e si riverbera, abbagliante, su tutto l’arco del match, soprattutto nel corso di una ripresa a forti tinte azzurre.

Quaranta minuti da sogno, sublimati, nel finale, dalla quarta marcatura pesante italiana, quella decisiva per il bonus offensivo, autentica sineddoche emozionale dell’incontro e dell’intero torneo azzurro. Sara Barattin e Beatrice Rigoni, nonostante la spia della benzina sia accesa, si “sacrificano” placcando in qualche modo una francese arrembante e permettendo ad una brillante Veronica Madia di scipparle l’ovale e dare il là al contrattacco azzurro. Un’azione tambureggiante, corroborata dalle belle mani di Aura Muzzo e dalla carica terrificante di Sara Tounesi, finalizzata superbamente dalla corsa verso la storia della capitana Manuela Furlan.

Saracens v Leinster – Heineken Champions Cup 2019, finale

Senza timore di smentita, quella tra Saracens e Leinster è stata non solo la partita più importante dell’anno che sta per chiudersi ma decisamente, almeno a livello di rugby di club, una delle cinque più importanti del decennio – e, forse, anche del nuovo millennio.

Perché sul prato immacolato del St James’ Park di Newcastle-upon-Tyne lo scorso maggio, per la prima volta dopo tanti anni, si sono affrontate davvero le due squadre più forti d’Europa. Oltre che lo scontro fra titani, è stato anche lo scontro tra diverse ‘ideologie’, tra un club che, è stato provato qualche mese dopo, non ha badato a regole per tenersi stretti i suoi campioni (non siamo però al livello Galactico di Toloniana memoria, perché undici dei 23 del foglio di gara di quel giorno sono cresciuti nell’Academy dell’Allianz Park) e una squadra che è “mes que un club”, che si presenta imbattuta in una finale europea e che rappresenta una Province con storia e tradizione secolare.

Ci sono state numerose “sfide-nella-sfida” (quella forse più eclatante, tra Owen Farrell e Jonathan Sexton, due tra i più grandi playmakers dell’emisfero nord) in una gara rimasta praticamente sempre in equilibrio e che è stata decisa dalla maggiore precisione dei Saracens, che hanno alzato al cielo del nord (d’Inghilterra) la loro terza “big Cup” in quattro anni.

Un dato solo, per capire quanto sia stata immensa la prestazione dei Saracens contro Leinster – che giocava, quel giorno, la 168esima gara europea della sua storia e aveva, fino a quel giorno, vinto tutte le finali europee cui aveva partecipato (cinque): i Dubliners, che avevano approcciato al meglio la sfida dopo aver mostrato i muscoli in semifinale contro Tolosa, si sono portati avanti 10-0, salvo poi concedere in poco più di quarantadue minuti un contro-parziale di 0-20 che ha di fatto deciso la partita.

Cos’è successo poi, come detto, lo sappiamo tutti. La sentenza di PRL ha tolto “legittimità” al trionfo dei Sarries? Ognuno ha la sua risposta. 

A noi restano le sensazioni provate in un pomeriggio di maggio in riva al fiume Tyne. Emozioni che solo la “Big Cup” sa regalare.

Giappone v Scozia – Rugby World Cup 2019
Si fa la storia, in tutti i sensi. Nella partita che chiude la fase a gironi del Mondiale 2019, il Giappone sfida la Scozia: in palio, per chi vince, c’è il pass ai quarti di finale. Il match è sentitissimo e non solo perché in campo vi sono i padroni di casa, ma anche perché a qualche giorno dal suo calcio d’inizio lo svolgimento della contesta è messa in dubbio dai danni causati purtroppo dal Tifone Hagibis, che ha costretto l’organizzazione del torneo a cancellare Italia-All Blacks e Inghilterra-Francia. Il management della Federazione britannica si fa sentire spingendo in tutti i modi World Rugby a far disputare la partita, che si gioca regolarmente il 13 ottobre.

Finn Russell incendia il duello andando in meta dopo sei giri di lancette per il temporaneo 0-7, ma da lì in poi è marea nipponica: i ragazzi del Sol Levante dominano letteralmente per cinquanta minuti. Matsushima (18′), Inagaki (26′) e due volte Fukuoka (39′, 42′) scavano un solco che, sul 28-7, diventa irrecuperabile per una compagine ospite incapace, nonostante le realizzazioni di WP Nel (49′) e Fagerson (55′), di ricucire lo strappo. I Brave Blossoms si aggiudicano il match facendo bottino pieno e vincendo addirittura il Girone A, davanti all’Irlanda. Da lì voleranno ai quarti di finale, dove poi dovranno cedere a un Sudafrica che qualche settimana dopo sarebbe diventato campione del mondo.

 

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