Andrea Piardi, la promessa degli arbitri italiani

Con il bresciano abbiamo parlato della sua crescita e del mondo arbitrale, ma anche del suo particolare esordio (con record) nel Pro14

arbitri

Andrea Piardi durante una partita dell’Eccellenza 2017/2018 (ph. Luigi Mariani)

Lo scorso 15 febbraio, all’Irish Independent di Cork, Andrea Piardi ha fatto il suo debutto come arbitro nel Pro14 per dirigere Munster-Kings. Il bresciano, classe 1992, è considerato il fischietto italiano più promettente per il futuro e, dopo le apparizioni nei Sei Nazioni e Mondiali Under 20, il primo passo nel Pro14 dimostra la bontà delle voci circolate sul suo conto negli ultimi tempi.

“Era tra gli obiettivi – ha dichiarato nell’intervista rilasciata a OnRugby – È sempre una sorpresa quando si fa un esordio, era quello che mi serviva e ci serviva. È andata abbastanza bene nel complesso, c’è da migliorare e mettere a posto delle cose”.

Devo fare il passo decisivo verso il livello professionistico. Non pensavo fosse così netta e marcata la differenza – ha ammesso il 26enne – Ci sono tanti aspetti diversi da considerare: quelli psicologici delle squadre e tecnici, ma anche mediatici, perché bisogna farsi capire da tutti”

La differenza rispetto al Top 12, insomma, è sostanziale. “Cambia la velocità, ma anche la tua percezione quando consideri la quantità di gente allo stadio. Sembra un aspetto stupido, ma fa la differenza, come essere microfonati e andare in diretta su tre emittenti. È una pressione diversa, ma soprattutto la velocità è più alta”.

Debuttare nel Pro14 in casa del Munster (vittorioso 43-0 sui sudafricani, per la cronaca) “Per fortuna abbiamo giocato a Cork e non a Thomond Park, ma comunque 8000 persone sono numeri diversi rispetto a quelli che ci sono da noi”.

Per affrontare un match per lui così delicato, i consigli dei più esperti non saranno mancati. “Tra arbitri si cerca sempre di scambiarsi alcuni consigli. Ho parlato con Marius Mitrea ovviamente, vista la sua esperienza. Ma sono stato molto colpito dagli arbitri del Pro14 come Andrew Brace e John Lacey, che mi hanno mandato messaggi e detto di stare tranquillo”.

“Ma anche gli arbitri del Sei Nazioni sono stati molto gentili – ha continuato – Ero in Scozia la settimana prima di arbitrare a Cork: parlando con Romain Poite gli ho accennato del mio esordio e lui mi ha dato dei consigli. Ci si cerca sempre di aiutare. Non è solo un arbitro, ma siamo un team: ci sono tante figure in gioco, se sbagliamo, sbagliamo come squadra; se vinciamo, vinciamo come squadra”.

Piardi ci ha poi spiegato com’è l’approccio a gare del genere. “Si cerca sempre di non avere un dialogo diretto con i club, ma si passa attraverso un referee manager, che per il Pro14 è Greg Gardner. Ci sono delle situazioni, quando si ha più esperienza e familiarità con l’ambiente, in cui si può parlare direttamente con le squadre, ma sempre in accordo con il referee manager”.

Per prepararsi alle partite, invece, “il 90% del tempo è dedicato all’analisi video”. Piardi poi ha continuato spiegando che “si cerca di avere un piano di gioco per l’arbitraggio con il referee manager o con i nostri tecnici in Italia, per cercare di capire come gestire le varie situazioni. La parte più facile è paradossalmente la partita, quella più difficile è prepararla”.

Uno strano record

Tornando su Munster-Kings, non ci si può non soffermare su una statistica quantomeno bizzarra, probabilmente mai registrata nel rugby: una squadra – Munster – ha disputato ottanta minuti senza mai concedere un calcio di punizione all’avversario. “Eh lo so, assolutamente (ride, ndr). Non me ne sono reso conto in campo. C’erano delle situazioni in cui avrei potuto punire Munster, lo dico tranquillamente”.

“I falli di Munster erano probabilmente meno evidenti, ma questo è il livello professionistico, perché le squadre giocano sul limite. Ho subito imparato una lezione. Me ne sono accorto subito dopo. Me l’hanno fatto notare, ma non hanno dato grande peso alla cosa. È stata la prima ma anche l’ultima volta”.

Le tappe della carriera

Con il bresciano abbiamo poi fatto un passo indietro, ripercorrendo le tappe fondamentali della sua carriera fino a questo momento. “È un percorso né lungo né corto, forse abbastanza veloce. Sicuramente è stato importante il Mondiale Under 20, prima da assistente, e sempre nel 2017 l’aver arbitrato nel Trophy, il Mondiale B. Lo scorso anno poi ho potuto arbitrare il Mondiale giovanile principale”.

“Sono stati tutti momenti fondamentali per farmi conoscere e fare esperienza. È stata molto importante anche la terza coppa europea e fare tante partite da assistente in Pro14, oltre al Top 12”.

La precedente carriera da giocatore ha senz’altro aiutato nella sua evoluzione arbitrale. “Ho giocato per quasi 15 anni tra Fiumicello e Brescia. La carriera arbitrale è iniziata grazie a un altro arbitro del Top 12, Gianluca Gnecchi che era in squadra con me, che mi proposto di cominciare a fare l’arbitro. Per curiosità ho provato a fare il corso e da lì è nata questa piccola carriera”.

“Penso e invidio chi arbitra e non ha mai giocato – ha continuato Piardi – Perché secondo me sono ancora più bravi. Hanno sicuramente qualcosa in più”.

Il mondo arbitrale

Un gioco sempre più complesso da arbitrare, come negli ultimi anni, sta amplificando anche le critiche che vengono rivolte ai direttori di gara in ambito internazionale. “Ci sono sempre, fanno parte del gioco. Io le vivo abbastanza serenamente, se ho fatto un errore lo ammetto ai miei superiori che sanno anche di cosa sta parlando”.

“A volte le critiche dei vari commentatori e telecronisti lasciano un po’ il tempo che trovano, perché non sono corrette dal punto di vista regolamentare. Le critiche comunque si accettano se sono poste in maniera educata e pacata. Servono anche per crescere. Non ho quasi mai visto un arbitro che non è stato criticato dalle varie squadre. Non possiamo farci niente su questo”.

“Ci sono critiche e critiche ovviamente”, ha continuato Piardi. Quelle che arrivano dagli spalti durante le partite delle serie inferiori, per esempio, rischiano di essere più difficile da digerire in un certo senso, soprattutto per la distanza più ravvicinata. “È più facile sentire tre persone che sentirne 8000. Ed è più difficile per noi. Ci siamo passati tutti per le serie minori. È diverso, perché alla volte è difficile arbitrare un gioco meno pulito”.

“Quando arrivano critiche fuori da ogni logica e si superano certi limiti, siamo comunque stati istruiti a scrivere nel referto tutto per il Giudice Sportivo, anche quello che accade fuori dal terreno di gioco. Se quest’ultimo reputa che è stata leso l’onore dell’arbitro, viene data una multa alla società”.

Torniamo ben presto a parlare di rugby giocato e di strategie arbitrali, per cui chiediamo a Piardi se il suo piano di gioco ha dei princìpi cardine o varia sempre di partita in partita. “Alcune linee guida precise ci aiutano a gestire certe situazioni, ma ogni squadra è diversa e necessita di una strategia differente. Nessuna partita può essere interpretata allo stesso modo, per cui guardo 3-4 partite delle squadre per individuare i punti di forza dell’una e dell’altra e cerco di lavorare per rendere il match più comprensibile per tutti”.

Uno degli aspetti più interessanti nell’arbitraggio odierno, sia nel Top 12 sia a livello internazionale, è la tendenza da parte dei direttori di gara a indicare al giocatore cosa fare o non deve fare: se non mettere le mani, se partire o meno dalla linea difensiva e molto altro. Piardi prova a spiegarci i motivi di questo «coaching».

“A volte sbagliamo in effetti, perché parliamo troppo. Soprattutto noi latini, mentre i britannici lo fanno meno. Lo facciamo perché, a differenza di quanto si crede, l’arbitro non vuole fischiare calci di punizione. Quindi cerchiamo di interrompere il meno possibile la partita, rendendola più fluida”.

“Il rischio è appunto quello di parlare su ogni punto d’incontro per dire ai giocatori cosa fare – continua Piardi – Ovviamente nel regolamento è permesso rallentare il gioco, ma sta a noi capire quanto siano regolari certe azioni. Fa parte del nostro mestiere. Una parola o un’indicazione può permettere a una squadra di evitare un fallo e di rendere più dinamica la partita”.

Per il bresciano, è un lavoro di prevenzione. “Quando a una squadra, che ha un atteggiamento un po’ particolare, diciamo in un tempo morto o in una pausa di migliorare, cerchiamo di venire loro incontro. Se non vengono seguite queste indicazioni, a quel punto per noi diventa facile fischiare un fallo e farsi capire da tutti”.

Maggiore fluidità, dinamismo e spettacolarità: non stupisce più di tanto la direzione che ha voluto intraprendere World Rugby, da diverso tempo attenta a indirizzare il gioco verso una platea più allargata possibile. “È fatto nell’ottica di rendere il gioco più comprensibile anche ai neofiti del rugby. In questo senso loro (World Rugby) stanno lavorando anche sul Seven, perché è più scenografico e spettacolare, e stanno cercando di rivedere il regolamento per renderlo più semplice”.

Siamo insomma in una fase di transizione, che purtroppo rischia di fare rima anche con confusione, quella che sembra vedersi in tante partite soprattutto sui punti d’incontro. “Spesso ci sono interpretazioni diverse, ma questo è dato anche dalle direttive che ogni arbitro riceve nei rispettivi campionati d’appartenenza. Ci si porta dietro un bagaglio d’esperienze diverso”.

Quando gli abbiamo chiesto qual è la fase più difficile da arbitrare, Piardi si è preso un po’ di tempo per pensarci su. “C’è stato qualche problema con le mischie negli ultimi 5-6 anni, ma secondo me sia le squadre sia gli arbitri stanno migliorando. Bisogna partire sempre dal presupposto che, se una squadra vuole giocare in modo positivo, cercando di far uscire subito il pallone per usare la mischia come piattaforma di gioco, per l’arbitro è sempre domenica”.

“Se giustamente una squadra è molto forte in mischia e vuole mettere in difficoltà quella avversaria, a volte per noi è molto complesso perché ci sono tante cose da analizzare. È vero che a volte sono sempre le stesse, ma è complicato”.

“Per quel che mi riguarda, se la mischia va male e fai fatica a far rispettare le tue decisioni e tu stesso alle volte forzi qualcosa, diventa un aspetto critico della partita – ha concluso Piardi – Sui punti d’incontro ci sono aspetti più meccanici: un giocatore che non rotola, un giocatore che non rilascia… Avviene più per sequenze. Le mischie sono più difficili da valutare”.

E il movimento italiano?

Poi è arrivato anche il momento di tornare anche su quel “ci serviva” iniziale, con cui Piardi ha voluto sottolineare l’importanza del suo esordio nel Pro14. Il riferimento è ovviamente al peso che la sua designazione e la sua graduale ascesa possono avere per il movimento italiano nel suo complesso (a proposito: Piardi ha risposto con un no comment alla questione dei rimborsi arbitrali). “Sì, serviva a tutti. Speravamo potesse arrivare, per cui siamo molto contenti”.

Si dice spesso inoltre che politicamente l’Italia non sia così forte, soprattutto quando viene fatto notare che nessun arbitro italiano (Marius Mitrea nello specifico) viene designato per i Test Match di livello internazionale. “A volte siamo troppo disfattisti o pessimisti. Quando si arriva a quel livello, l’aspetto politico e l’importanza del movimento pesano sicuramente. Può essere difficile per noi, ma se continuiamo a dimostrare di essere all’altezza degli altri arbitri e delle altre Union – come sta facendo Marius, che sta arbitrando in maniera perfetta e con una consistenza incredibile, sicuramente avremo un buon futuro davanti”.

Daniele Pansardi

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