Il prossimo equiparato azzurro?

Da tre stagioni è uno dei più continui delle Zebre. A novembre, Johan Meyer potrebbe debuttare con la maglia dell’Italia

ph. Luca Sighinolfi

La campagna acquisti 2015 delle Zebre è stata delle più altisonanti nella breve storia della franchigia, visti gli arrivi di un grande ex All Black come Mils Muliaina e di un giocatore dalla notevole esperienza internazionale come Luke Burgess (37 cap nei Wallabies). Aspettative importanti erano riposte anche in altri due sudafricani, Ulrich Beyers e Jean Cook, che portavano in dote una ventina di presenze complessive tra Super Rugby e Top 14, mentre con molto meno appeal si presentava Johan Meyer, 22enne con 25 apparizioni spalmate in tre anni fra Vodacom Cup e Currie Cup con i Natal Sharks.

Insomma, i contributi maggiori erano attesi da Muliaina, Burgess, Cook e Beyers, soprattutto in quei primi mesi della stagione senza diversi atleti impegnati nella Coppa del Mondo inglese. Il 2015/2016 e gli anni successivi, come spesso accade in questi casi, hanno invece raccontato una storia diversa. Di quei quattro, nella stagione successiva non resta nessuno: Muliaina proseguirà sulla via del tramonto a San Francisco, Burgess si ritirerà, Cook andrà in Giappone e Beyers tornerà in Sudafrica, senza un’evoluzione della carriera particolarmente significativa.

Tra i tanti flop di quegli anni, però, le Zebre azzeccano una scommessa e anche ottendendo dividendi piuttosto alti, considerando il punto di partenza. Johan Meyer impiega poche settimane per togliersi di dosso l’etichetta di “oggetto misterioso”, diventando titolare quasi da subito e uscendo raramente dalla lista gara di Andrea Cavinato e Victor Jimenez: alla fine del primo anno, avrà collezionato 22 presenze (21 dal primo minuto), 4 mete e non poche meritate lodi per impegno profuso in ogni singolo match. Una piacevole rarità, considerando gli standard a cui si stavano abituando a Parma con lo stesso Muliaina e in precedenza i vari Ferreira e Ratouvou.

Dal bianconero all’azzurro

Un sudafricano arrivato in Europa così giovane – e rivelatosi così forte – sembrava essere un lusso per le Zebre, a maggior ragione dopo la sciagurata gestione privata che ha portato la franchigia di nuovo sotto l’egida federale. Meyer, invece, ha attraversato tutte le tempeste di questi anni distinguendosi sempre dal resto della rosa per le proprie qualità e, soprattutto, completando i tre anni di residenza necessari per essere convocati in nazionale secondo la regola 8.1 di World Rugby.

Dalla prossima finestra internazionale di novembre, il 25enne sarà convocabile da Conor O’Shea. Difficilmente il CT irlandese si lascerà sfuggire quest’occasione, per tutta una serie di motivi. Il primo, banale, è che Johan Meyer se lo merita: per continuità di rendimento negli ultimi tre anni, il sudafricano è stato ampiamente sopra la media della squadra bianconera, correndo e placcando sempre al massimo del suo (ottimo) potenziale.

L’ex Sharks potrebbe non solo stimolare la concorrenza e aumentare la profondità in un ruolo comunque già piuttosto coperto, ma anche avere un ruolo di primo piano per la nazionale. Dietro al terzetto che al momento dovrebbe essere quello titolare (Negri-Polledri-Parisse) infatti non c’è una gerarchia ben delineata, ma un gruppetto di giocatori che al momento non sono sembrati nettamente (o non lo sono e basta) superiori a Meyer, ovvero Licata, Giammarioli e Steyn. Vedremo se due mesi pieni di gare ufficiali potranno aggiornare la graduatoria, in questo senso.

Inoltre, considerando che il primo Test Match azzurro a Chicago contro l’Irlanda è programmato fuori dalla finestra ufficiale di World Rugby, né il Gloucester né lo Stade Francais sono obbligati a rilasciare Polledri e Parisse alla nazionale. Un debutto dal primo minuto, sulla scia di quanto già avvenuto con Hayward un anno fa, non sarebbe da escludere in quel caso.

Ma cosa apporterebbe Meyer alla causa? La capacità di battere costantemente il primo uomo, innanzitutto, sfruttando sia la propria potenza fisica sia il suo dinamismo nel girare attorno all’avversario per poi accelerare con la sua ampia falcata. Il sudafricano sa mettere la squadra sul piede avanzante, visto che nell’ultimo Pro14 ha totalizzato 637 metri guadagnati su 175 corse totali (la media è di 3,64 metri guadagnati per carica) e ha saputo battere 49 difensori in 18 partite (2,72 a partita).

Nella struttura di gioco di Bradley, Meyer è stato spesso uno degli avanti impiegati all’esterno per garantire ampiezza alla manovra bianconera, vuoi per il suo ottimo fiuto per la meta vuoi per la qualità con cui sa trattare l’ovale nei passaggi e negli offload. Un dettaglio non di poco conto per lo staff azzurro, soprattutto se quest’ultimo dovesse decidere di utilizzare in misura maggiore gli uomini di mischia sull’esterno, come invece avvenuto poche volte fin qui. In questo senso, Meyer potrebbe sia giocare al largo sia giocare in mezzo per sfruttare il suo lavoro nel breakdown e a contatto.

Con Meyer, insomma, l’Italia troverebbe un’altra notevole arma offensiva palla in mano, ma dall’altra parte non troverebbe un giocatore che può essere considerato un reale specialista del punto d’incontro, quindi un fetcher vero e proprio che tanto manca nel sistema azzurro al momento. Piuttosto, come amerebbe dire Eddie Jones, rientrerebbe nel mondo dei “six-and-a-half” un po’ come lo stesso Jake Polledri. Ciò nonostante, anche dal punto di vista difensivo Meyer resta comunque un profilo potenzialmente utile alla Nazionale per presenza fisica e placcaggio. Se basterà per essere un azzurro, lo scopriremo tra qualche mese.

Daniele Pansardi

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