L’Under 20 vista da Andrea Moretti: intervista al coach dell’Italia

Com’è andato l’ultimo Sei Nazioni, le prospettive per i prossimi Mondiali e come fare per non disperdere il talento

under 20

ph. Matteo Ciambelli

Soddisfatto di quanto fatto nel Sei Nazioni di categoria, ma determinato nell’inquadrare il prossimo obiettivo: il Mondiale Under 20 di giugno. Assieme a Fabio Roselli, Andrea Moretti è l’anima tecnica di un gruppo come quello degli azzurrini che è tornato a vincere e ha conquistato tutti lasciando intravedere una crescita futura nel movimento italiano.
Dopo qualche giorno dalla partita con la Scozia, vinta per 45-31, lo abbiamo intervistato per farci raccontare le sue impressioni.

Coach, ci racconti l’evoluzione della squadra durante il Sei Nazioni?
Innanzitutto devo dire che avere l’opportunità di lavorare in modo continuativo ci ha aiutato, poiché c’è stata la possibilità di sviluppare un certo grado di conoscenza affinando il gioco offensivo e difensivo.
L’esordio con l’Inghilterra, poi, ci ha dato la possibilità di imbastire quelli che sono stati i nostri concetti di base lungo tutto il torneo: con i britannici abbiamo acquisito la consapevolezza del nostro rugby, mentre nella sfida all’Irlanda è arrivato un quid in più.
Il risultato in terra francese, diversamente da ciò che si possa pensare, ci è servito: un momento  come quello ci ha fatto rifocalizzare sulla nostra identità. Abbiamo concesso troppo mettendoli nelle loro condizioni ideali e da lì ci hanno superato nettamente.
Da questo episodio, comunque, siamo ripartiti capendo e lavorando. Nelle ultime due partite, che pensavamo potessero essere alla nostra portata, l’obiettivo era quello di arrivare preparati e l’abbiamo fatto. Abbiamo gestito i momenti e ce l’abbiamo fatta mettendo in pratica quello per cui eravamo scesi in campo.
La cosa bella di questi ragazzi è che sono riusciti a trasmettere all’esterno non solo la voglia di fare bella figura, ma anche di mostrare preparazione e consapevolezza. In questo c’è stato un salto in avanti di mentalità.

Aree di gioco: dove siamo ad un ottimo livello, dove siamo migliorati e dove siamo piuttosto indietro?
Dal punto di vista difensivo, per quella che deve essere la nostra identità, siamo a buon punto. Vogliamo asfissiare gli avversari ed essere efficaci nell’uno contro uno. La mentalità mi sembra assimilata da tutti, anche se dobbiamo continuare a lavorare sui placcaggi.
La connessione invece fra avanti e trequarti in fase di conquista e utilizzo del pallone è invece un aspetto su cui vogliamo e dobbiamo crescere gestendo al meglio quella che in gergo tecnico si chiama “prima fase”.
Proprio la conquista in questo Sei Nazioni è stata – da parte nostra – discreta, ma nel rugby moderno non possiamo vivere solo di questo e dobbiamo collegarla ad altri aspetti.
Altre due cose da attenzionare infine sono i nostri possessi nella metà campo difensiva e il gioco al piede nel territorio avversario.

Se prendiamo in esame avversari come Irlanda, Galles e Scozia, possiamo vedere che dal giugno dell’anno scorso lottiamo praticamente con loro alla pari in questa categoria, ma come mai a livello senior poi non è la stessa cosa?
Bisogna fare in modo che il percorso dei nostri ragazzi venga curato anche dopo la Under 20: noi siamo al livello intermedio, ma è nella fascia di età fra i 20 e i 23 anni che paghiamo il dazio maggiore.
Tutti insieme stiamo cercando di trovare la via migliore per arrivare a questo, intanto posso dire che il lavoro sulle franchigie piano piano comincerà a dare i suoi frutti.

Come si lavora con Stephen Aboud e Conor O’Shea in questa ottica?
Si è cercato di ridurre per non disperdere la qualità. È un progetto avviato che continuerà in futuro, con aggiustamenti e metodologie ancora più specifiche. Vogliamo far crescere i ragazzi nel miglior modo possibile. Più lavoriamo con loro e più vediamo che rispondono alle esigenze del rugby di alto livello: dobbiamo mettere il giocatore al centro del progetto.
A livello giovanile i risultati ci sono e sono convinto che vi saranno anche fra i senior.
In generale, l’obiettivo è quello di mettere in campo i migliori. L’età non deve essere una discriminante, anche se è normale che in alcuni ruoli avere un anno o due in più può aiutare.

Qual è l’obiettivo per il prossimo Mondiale Under 20?
Prima di tutto dobbiamo mostrare consapevolezza e identità. Sappiamo che il Mondiale è una kermesse completamente diversa dal Sei Nazioni. Si riparte da zero, è tutto condensato in venti giorni e noi avremo subito la Scozia da fronteggiare.
L’obiettivo minimo è quello di rimanere nell’élite giovanile e poi di sfruttare le possibilità che ci saranno per provare a ripetere il risultato del 2017.
Vogliamo meritare sul campo, senza fare proclami. Sappiamo, assieme ai ragazzi, che dobbiamo rimanere con i piedi per terra e guadagnarci tutto sudando. C’è un pezzo del puzzle da finire.

Michele Cassano

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