In mischia con Simone Ferrari: intervista a una delle colonne portanti dell’Italrugby

Il pilone azzurro e del Benetton predica pazienza per la fase offensiva italiana. E parla della sua crescita negli ultimi anni

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

A pochi giorni dall’ultimo Test Match dell’Italia contro il Sudafrica abbiamo intervistato Simone Ferrari, uno dei migliori Azzurri di questo novembre. Il prima linea del Benetton Treviso, dopo essere passato anche attraverso periodi non semplici, è letteralmente esploso da un anno a questa parte, prendendosi con forza il proscenio della nazionale ed entrando nell’élite del ruolo nel PRO 14.

Sabato all’Euganeo arriva il Sudafrica per la “rivincita” dopo la battaglia epica del 2016. La gara di Firenze fu una delle più importanti della storia del rugby azzurro e pure quella del tuo esordio in nazionale. Quali sono i ricordi che porti con te e le sensazioni che provi ripensando a quel pomeriggio?

L’emozione forte che ho provato quando ho realizzato che avevo debuttato in nazionale, per di più in una partita vinta di grande importanza per il movimento. Il fatto che i miei genitori fossero allo stadio ha reso il tutto ancora più speciale, ho provato una sensazione di gioia infinita. Poi è servita una settimana intera per metabolizzare il tutto.

Come state preparando questa nuova battaglia contro gli Springboks? Sta chiedendo qualcosa in particolare a voi alfieri della prima linea Conor O’Shea? 

Innanzitutto sappiamo che non è lo stesso Sudafrica affrontato lo scorso anno in Toscana. Ci vorrà maggiore attenzione ai dettagli del gioco. In senso generale Conor ci sta chiedendo di essere il più disciplinati possibile, sia nei confronti del piano di gioco da lui stabilito, sia, ovviamente, nei confronti del regolamento. A noi di prima linea, invece, sta chiedendo in questi giorni di ripetere la prova messa in mostra contro i Pumas, visto che è stata molto positiva. Siamo consapevoli, però, che l’asticella si alzerà ulteriormente rispetto a quanto visto all'”Artemio Franchi”, anche perché i sudafricani ci staranno sicuramente studiando e si faranno trovare pronti. Come in ogni partita di rugby, sarà fondamentale vincere la battaglia lì davanti, che è sempre la base di partenza per costruire un buon risultato.

In questo novembre sei l’unico azzurro ad aver segnato una meta. Un dato che, da un lato può per certi versi farti sorridere, ma dall’altro suona come piccolo/grande campanello d’allarme. Cosa c’è dietro questa difficoltà nel trovare la via della marcatura pesante?

Sicuramente va detto che le occasioni per segnare le abbiamo e ce le creiamo molto bene. Entriamo spesso nei 22 avversari, per merito del lavoro di tutta la squadra. Quando siamo in zona calda, probabilmente, ci mancano un poco di pazienza e concretezza. L’attacco è fatto di possesso, e magari noi a volte proviamo a segnare una meta dopo 3 o 4 fasi, quando sappiamo che invece una segnatura pesante può arrivare talvolta anche alla 20esima fase, e non necessariamente tutte in avanzamento. Secondo me in questo momento ci servirebbe proprio un po’ più di pazienza nella gestione dell’ovale.

Visto che siamo ormai ad un passo dalla chiusura di questo 2017, dando uno sguardo a quanto accaduto in questi mesi, vorrei tornare su una delle tue migliori partite stagionali in senso assoluto. Australia-Italia di giugno fu probabilmente la gara che ti mise sulla mappa del rugby mondiale. Ripensandoci oggi hai dei rimpianti per quello che fu il risultato del match di Brisbane?

Di quella gara ci portiamo dietro la soddisfazione di aver vinto la battaglia la davanti, contro una grande squadra, ma certamente anche tanto amaro in bocca perché nonostante quella performance non riuscimmo a portare a casa il successo completo.

Parlando di Benetton, quanto vi ha aiutato il fatto di aver avuto continuità con lo staff tecnico ed aver mantenuto un’ossatura importante del parco giocatori della passata stagione?

A Treviso siamo passati attraverso un periodo con poca stabilità dal punto di vista tecnico, abbiamo cambiato allenatore e diversi giocatori nelle annate precedenti. Per me, quando entrano ed escono tanti uomini da un anno all’altro è sempre un pizzico più difficile creare un gruppo solido in poco tempo. Quest’anno abbiamo avuto continuità, con il progetto di Crowley che sta andando avanti. Abbiamo seminato tanto, stiamo iniziando a raccogliere i primi frutti. In tutto l’ambiente italiano, negli ultimi mesi, è cambiata anche la mentalità. Una volta, probabilmente, ci saremmo accontentati di una sconfitta come quella contro Tolone, invece ora ci brucia molto perdere gare in quel modo.

Tre anni fa giocavi in serie A, a Milano, oggi sei uno dei referenti principali della nazionale italiana. Quali sono i segreti che stanno dietro questa tua crescita esponenziale?

Mi sono messo duramente al lavoro sotto il piano fisico. Ho cercato di essere sempre al top, migliorando il più possibile l’alimentazione ma anche la qualità del lavoro da eseguire sul campo e in palestra. Poi non va sottovalutato nemmeno l’aspetto mentale. Ogni giorno chiedo qualcosa in più a me stesso, cercando di alzare sempre l’asticella. Senza dimenticare che la mischia è un “lavoro di squadra”, quindi, prima di tutto, per migliorare le performance di un pacchetto serve conoscenza reciproca con i compagni di reparto.

 

Matteo Viscardi

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