Il casus belli Reggio-TRC: Armando Forgione, l’urgenza della Lega e il provincialismo

Abbiamo intervistato il Presidente delle Fiamme Oro, tra i promotori nei mesi scorsi di un’iniziativa ora arenata

fiamme oro rugby

ph. Luigi Mariani

Sabato le Fiamme Oro hanno fatto il proprio esordio stagionale con la vittoria contro Mogliano, alla presenza del Ministro dell’Interno Marco Minniti e del Capo della Polizia Franco Gabrielli che ha consegnato in spogliatoio le maglie ai giocatori. Ma la società cremisi nella scorsa settimana è stata indirettamente toccata da una vicenda che ha interessato in particolare le squadre di Eccellenza e in generale il loro rapporto con la Federazione. Ma andiamo con ordine.

 

Lo scorso dicembre, il Presidente delle Fiamme Oro Armando Forgione raccontava a questo sito di un incontro avvenuto con i nove colleghi Presidenti per dare vita ad una nuova Lega di club. Il progetto si era poi arenato per mancanza di unione di intenti e di Lega non si era più parlato. La vicenda Reggio Emilia-The Rugby Channel ha invece riportato di attualità l’argomento, anche per un comunicato distensivo a firma FIR in cui si legge che “in assenza di una Lega incaricata dello sviluppo commerciale del torneo l’impegno federale è oggi circoscritto all’organizzazione ed al coordinamento generale”. Per capire se il capitolo Lega sia definitivamente chiuso e tramontato, abbiamo intervistato il Presidente delle Fiamme Oro Armando Forgione.

 

 

Presidente, la vicenda Reggio Emilia-The Rugby Channel si è risolta con un comunicato dai toni distensivi della FIR, in cui si cita anche un’eventuale Lega. La vostra iniziativa si era però arenata…
Ho provato cosa significhi la vera amarezza. Ci siamo trovati tutti fianco a fianco, poi è bastato che due Presidenti tornassero alle loro dimensioni provinciali per far cadere l’intero progetto e ho provato un forte senso di disagio. Lo dico onestamente, il senso di sconforto era alto: prima in tanti mi hanno incitato per fare da collante, poi sono bastati due passi indietro per arenarci. E’ evidente che un progetto simile, che mette sul tavolo questioni come contratti, sponsorizzazioni e visibilità, ha bisogno di un’unità di intenti che c’è stata solo all’inizio e solo a parole.

 

 

C’è ancora spazio per una Lega? E in che modi?
Credo che il rugby italiano sia di fronte ad un bivio e abbia bisogno di una scelta radicale. Una Lega non può essere frutto di mediazioni e compromessi, o c’è ed è forte oppure non ha senso che esista. Certo, poi arriva il momento della mediazione, ma all’inizio l’atto di costituzione deve essere forte e condiviso su basi solide.

 

 

Come vi siete lasciati tra Presidenti all’ultimo incontro?
L’ultimo incontro è stato ad aprile: ci siamo lasciati con un gentlemen’s agreement tra tutti per continuare a parlare e scegliere tre-quattro rappresentanti per rapportarsi con la Federazione. Ma se andiamo in tre-quattro perché non si può andare veramente insieme come unica entità che rappresenta in modo forte tutti e dieci i club? Molti sono stati alla finestra ad aspettare il fallimento di questo progetto, altri invece hanno visto un mio tentativo di avere una posizione prevaricante: dico soltanto che da subito ho chiarito che non avrei potuto né voluto avere il ruolo di Presidente. Semplicemente, a fine 2016 avevo raccolto le istanze dei colleghi e fatto da collante; invitando tutti al Viminale, luogo istituzionale e super partes che appartiene a tutti gli italiani.

 

 

La vicenda Reggio Emilia-The Rugby Channel può essere il casus belli per tornare a un tavolo?
Reggio Emilia era uno dei club che più ha fatto sentire il proprio sostegno per la Lega: ho ricevuto una bellissima lettera nella quale mi hanno spiegato quanto sofferta sia stata la loro decisione. Poi l’appello della FIR è stato accolto e credo che questo sia il modo giusto di lavoro: c’è un problema, lo si affronta e ci si confronta. Da Reggio comunque è arrivato un segnale, espressione di un malessere profondo ma anche della volontà di rimboccarsi le maniche per superare il problema. E questo personalmente mi è piaciuto tantissimo.

 

 

Quale sarebbe la sua Lega ideale?
Non si tratta di tornare indietro, di combattere le franchigie, di fare la guerra alla FIR. Avevamo pensato ad una Lega moderna, che guardasse avanti, imitando esempi positivi di altri sport come Lega Basket o Lega Pro di calcio. Una Lega che guardasse al bene del movimento e non solo al nostro: abbiamo giocato la prima di campionato senza Licata, impegnato come permit alle Zebre, perché ritengo che la crescita dei giocatori di interesse nazionale debba avere la priorità su tutto. Ma se noi diamo priorità ad altre cose, se critichiamo le franchigie e la Federazione per ogni cosa che succede, vuol dire che non abbiamo capito il nostro compito.

 

 

Ha citato i permit player. Quali altri punti concreti erano argomento di discussione?
Avevamo dichiarato tre obiettivi: creare le basi per trovare uno sponsor unico e un nuovo nome per il campionato, elaborare una politica chiara nei confronti dei settori giovanili del club, improntare il rapporto con le franchigie su base chiare per tutti e a cui non ci si sarebbe potuti sottrarre. Oltre a questioni sportive come l’organizzazione del campionato e della Coppa Italia, che avremmo voluto aprire anche ai club di Serie A.

 

 

Il contributo FIR rappresenta de facto il maggior ingresso per i club. Può essere un motivo di ostacolo nella formazione di una Lega?
Preferirei che a questi finanziamenti seguisse una rendicontazione. Io FIR do i soldi ma voglio sapere come vengono spesi. A qualcuno forse il non controllo della Federazione può far comodo, non lo so. Sicuramente noi Fiamme Oro rendicontiamo alla FIR ogni singolo centesimo: è una scelta di fondo che sarebbe bello facessero tutti.

 

 

Con Firenze e con la doppia promozione dalla Serie A, il prossimo anno si potrebbero avere nuove grandi città nel massimo campionato. Può aiutare a superare una certa mentalità?
Quasi tutti i Presidenti vengono dal mondo imprenditoriale, la questione è spogliarsi della mentalità provinciale ed esprimere la volontà di uscire dai soliti circuiti autoreferenziali. Si sente parlare di rugby con linguaggi obsoleti, bisogna guardare avanti, cercare di imitare chi sta più avanti di noi dentro e fuori dal campo. I Presidenti sono persone straordinarie, che investono tanto in uno sport che amano, ma alcuni non sono abbastanza consapevoli di quanto una Lega potrebbe fare da volano per gli interessi di tutti. Non è nemmeno una questione di età o ricambio generazionale: basta pensare alla lungimiranza in questo senso di una persona come Pasquale Presutti.

 

 

Ma il mondo del rugby, chiuso e autoreferenziale, è pronto ad accogliere figure manageriali di provenienza esterna?
Non provenendo dal mondo del rugby, a questa domanda non posso rispondere. Quando sono entrato nel mondo del rugby mi sono dato due compiti: far crescere la mia squadra, le Fiamme Oro, e far sì che divenissero uno strumento a disposizione di tutti per favorire la crescita del movimento dal punto di vista tecnico e dirigenziale. Forse sono velleità, ma è un doppio obiettivo in cui credo molto. Non è mia intenzione fare polemica o incolpare nessuno, solo spiegare i nostri obiettivi e perché prendiamo certe decisioni. Vedere Licata giocare in Sudafrica o in casa Ospreys è motivo di orgoglio, è un giocatore forte e se può è lì che deve giocare.

Lei è ancora disponibile per organizzare un nuovo tentativo?

Quel progetto è morto prima di nascere e per rimetterlo in piedi ci vogliono le giuste condizioni. Ma devono cambiare le premesse e soprattutto deve cambiare la spinta iniziale. Se ci troviamo sempre tra noi che siamo d’accordo, il progetto non ha senso. Se la spinta arriva da chi prima non era d’accordo, allora la prospettiva si ribalterebbe continuamente.

 

di Roberto Avesani

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