Leicester, Rovigo e l’obiettivo Nazionale: in prima linea con Riccardo Brugnara

Abbiamo intervistato il giovane pilone mantovano, tornato in Italia dopo i sei anni trascorsi in Inghilterra

riccardo brugnara

ph. Reuters

Mantova e Rovigo distano poco più di novanta chilometri. Un viaggio relativamente breve, ma non se la parabola della tua carriera ti ha permesso di trascorrere sei anni nella patria del rugby, l’Inghilterra. Quella di Riccardo Brugnara lo ha portato in una delle roccaforti della palla ovale inglese, Leicester, dove il prima linea è arrivato da giovanissimo dopo essere stato adocchiato in un camp a Varese dagli osservatori dei Tigers. Dall’Academy, il pilone classe 1993 è entrato nell’orbita della prima squadra con cui ha esordito nel 2014 in Premiership, mentre successivamente il mantovano si è distinto anche nel Championship con il Doncaster. Dopo sei anni, però, Brugnara ha deciso di ripartire dall’Italia che aveva lasciato per cogliere un’irrinunciabile opportunità, con l’obiettivo nemmeno troppo celato (anzi) di vestirsi d’azzurro.

 

 

Cosa ti porti dietro dell’esperienza inglese?

Mi porto dietro tutto quello che ho imparato finora da quando sono andato là nel 2011 fino ad adesso, sia come persona che come giocatore e specialmente nel mio ruolo di pilone. Con piloni internazionali come Rizzo e Ayerza c’è tutto da imparare.

 

Hai giocato in uno dei club più importanti d’Inghilterra: cosa ti ha colpito di più del Leicester e dove pensi che i club italiani dovrebbero prendere spunto?

Mi ha colpito l’organizzazione in generale, anche solo partendo dai giovani perché poi son quelli che vanno in prima squadra. Fin dalle giovanili l’organizzazione è fondamentale. Anche la gestione medica e della preparazione fisica ovviamente è ottima. Per quanto riguarda l’Italia, secondo me le basi ci sono, il resto sta pian piano crescendo. Ogni anno c’è qualcosa di nuovo e qualcosa che si è evoluto, almeno secondo me.

 

Come viene seguito un ragazzo dell’Academy, quali allenamenti si prediligono per un prima linea di 17/18 anni com’eri tu quando sei arrivato in Inghilterra?

Innanzitutto ti fanno lavorare in maniera molto dura, perché il mio ruolo in generale è uno dei più duri. Se non sei fisicamente preparato per la mischia rischi di farti molto male. Quindi si facevano molti esercizi propedeutici alla posizione da tenere, le tecniche, la posizione dei piedi, su quello ci facevano lavorare molto. Poi nelle giovanili è molto basato sul concetto di una scuola-rugby, si dà un’importanza equa.

 

Vi allenavate anche con la prima squadra?

Dipendeva dalla prima squadra. Se c’erano infortuni e gli internazionali assenti in base al ruolo portavano qualcuno e lo inserivano nel programma di allenamenti della prima squadra.

 

Brugnara in meta con la maglia di Leicester contro l’Argentina, in uno dei test pre Coppa del Mondo 2015 dei Pumas.
I Tigers vinsero 55-34

 

Immagino fosse anche un’occasione per carpire qualche segreto…

Certo. Poi quando hai 18 anni, allenarti con persone di 30 che magari fanno rugby da 20 anni è un’opportunità anche per farci vedere dagli allenatori. È difficile per le prime volte, ma pian piano ti abitui

 

Come valuti la tua esperienza a Doncaster e, in generale, il fatto di dover fare la spola tra i due club?

È utilissimo. Avendo gente con più esperienza a Leicester e non venendo selezionato, andare a giocare è comunque utile, perché hai tutto da imparare, che sia seconda o terza divisione. Quello che pratichi in allenamento poi puoi verificarlo in campo, anche se non è con Leicester, per vedere se effettivamente funziona o no. Anche lì ho imparato molto.

 

E l’impatto con il Championship, la seconda divisione inglese?

È dura, ci sono tanti giocatori che vanno dalla Premiership al Championship. Ti ritrovi persone di oltre trent’anni che, a causa di infortuni o perché non sono stati tenuti dai club, scendono in Championship. Non dico che ci sono gli scarti, ma comunque ci sono persone che hanno fatto esperienza in Premiership e in campionati francesi e di conseguenza il livello si alza molto. È abbastanza duro, però piuttosto che allenarsi e basta… È un programma che la maggior parte dei giocatori, specialmente in prima linea, utilizza per farsi un po’ le ossa.

 


 

 

Capitolo Rovigo: com’è nata la trattativa? 

Avevamo concluso praticamente tra la fine di maggio e l’inizio di giugno, per cui a fine campionato. Il ritorno in Italia? L’Eccellenza è un campionato competitivo, sei molto di più nei radar della Nazionale che è il mio obiettivo.

 

La Nazionale quindi è stata una delle motivazioni principali per tornare in Italia

Sì, esatto, se proprio vogliamo parlare in grande. Il mio obiettivo sarebbe quello, poi ovviamente sta a me fare del mio meglio con la squadra e in campionato.

 

Il ds dei Bersaglieri, Stefano Bettarello, ha parlato di progetti ambiziosi nelle ultime settimane. È anche quest’aspetto ad averti convinto della scelta?

Sì, Rovigo è sempre arrivata tra le prime, in finale o in semifinale, quindi le risorse le ha. Le ambizioni ci sono, poi tocca a noi giocatori dimostrare che che ci sono anche da parte nostra e non solo da parte dello staff tecnico. Ti porta anche a pensare “cavolo, questi qui hanno grandi ambizioni” e ad un voler far parte di tutto ciò.

 

Il fatto che tu abbia giocato prevalentemente all’estero ti rende un giocatore un po’ ‘sconosciuto’ agli appassionati italiani: ci racconti un po’ che tipo di giocatore sei e in che settore pensi di poter migliorare?

Avrei tante cose da migliorare, come pilone sicuramente la resistenza fisica che penso sia un punto di base per tutti, è un obiettivo prefissato. In mischia ovviamente non si smette mai di imparare. Mi piace giocare alla mano e essere proattivo anche se il mio focus resta la mischia, però avendo quest’abilità con le mani cerco di usarla. Al giorno d’oggi poi i piloni si vedono e si vogliono mobili, c’è un cambiamento e avere una prima linea così è molto utile.

 

di Daniele Pansardi

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