Palude Italia: quando la palla ovale smette di rimbalzare

Tante Dublino in questi anni, davvero troppe. Un movimento fermo da troppo tempo

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

Perché non lasciamo il nostro posto nel Sei Nazioni a chi se lo merita di più? Una domanda che in tanti si pongono da un po’ di tempo e che nell’immediato dopo-partita di Dublino è diventata quasi un tormentone. Iniziamo subito con lo sgombrare il campo da questo genere di dubbi: perché c’è un contratto che ci lega al board fino al 2024, per iniziare. Potrà sembrare un argomento da azzeccagarbugli a qualcuno, ma quell’accordo non è un dettaglio. Affatto. Certo rimane la pochezza della nostra prestazione contro l’Irlanda, ultima di una lunga serie inframmezzata da qualche lampo saltuario. Sorrisi estemporanei figli più di alcune circostanze contingenti che non di una qualche programmazione. E anche questo non è affatto un dettaglio. Lo abbiamo scritto più volte: il nostro è un movimento che è sostanzialmente fermo da una decina d’anni.

 

Chi per lavoro (o passione) si trova a dover raccontare le gesta del rugby di casa nostra da tante – troppe! – stagioni si trova a descrivere situazioni molto simili tra loro, sconfitte che si rincorrono con molti tratti comuni, problemi sempre uguali a se stessi. Una specie di stagno paludoso a cui ci siamo talmente assuefatti tanto da accontentarci in maniera inconscia di quei risultati positivi saltuari a cui abbiamo accennato prima. In questo Sei Nazioni lo è stata la partita con la Francia, nonostante la sconfitta. Una buona prova che ci aveva fatto sperare ma che è stata seguita dai ko con l’Inghilterra e da quelli con Scozia (quasi 40 punti subìti in casa e la sofferenza contro una mischia che per anni è stata messa a punto da un nostro tecnico) e Irlanda. Però se dovessimo fare una fotografia del nostro livello guardando i numeri e le statistiche beh, dovremmo ammettere che la nostra media è molto più vicina alle ultime due gare del torneo che non a quella di Parigi.

 

Jacques Brunel è arrivato a fine corsa: il tecnico francese sabato prossimo a Cardiff guiderà per l’ultima volta la nazionale azzurra (non farà il tour estivo, lo ha ufficializzato di fatto la stessa FIR ieri sera nel suo comunicato dove si legge “sconsolato il ct azzurro, alla penultima apparizione sulla panchina azzurra”), ma va detto che dall’allenatore raramente sono arrivate analisi pubbliche approfondite sui motivi delle sconfitte. Chi invece ci ha messo ancora una volta la faccia è capitan Parisse, che va ben oltre gli 80 minuti di Dublino: “Se si vedono i risultati c’è un’involuzione, c’è un cambio di generazione con tanti ragazzi che fanno i primi passi a questo livello. Non è un alibi o una scusa ma abbiamo tantissimi ragazzi con pochi caps che stanno imparando più in questo Sei Nazioni che non giocando due o tre stagioni in Italia. (…) Per il movimento è un discorso complesso, dopo una partita del genere è importante capire che serve fare di più e renderci conto che forse bisogna cambiare strada e capire se le cose che abbiamo fatto valgano la pena oppure no”. Parole che probabilmente in FIR non piaceranno a molti ma i numeri e i fatti di questi ultimi 10 anni abbondanti fanno pendere la bilancia dalla parte del giocatore dello Stade Français.

 

C’è una ruota alla quale prima ancora che fare invertire il giro va fatta ripartire quasi del tutto. Programmare il futuro a partire dai settori giovanili e dal rilancio dell’Eccellenza è necessario, fare check continui al sentiero che si è deciso di perseguire lo è altrettanto: miglioramenti e deviazioni sono sempre possibili. Chi dirige aree e settori deve rispondere dei risultati ottenuti esattamente come fanno i giocatori. Nessuno deve sentirsi “padrone” (le virgolette sono importanti) dell’ufficio che occupa a dispetto di quello che dice il campo. L’alternativa altrimenti è quella di proseguire sulla strada che stiamo percorrendo da tempo, senza dimenticare che tutto sommato il 2024 non è poi così lontano e che un contratto in scadenza non viene rinnovato in maniera automatica. Non c’è il silenzio-assenso e le pretendenti al nostro posto non mancano. Il prossimo quadriennio iridato sarà determinante per il nostro movimento: non basterà certo per colmare il gap ma dovremo prendere la giusta via dimostrando anche una certa continuità, cosa che finora non abbiamo mai avuto. Non è un obiettivo impossibile da raggiungere, ma servono idee chiare e uomini giusti. E capacità di ammettere anche eventuali errori, caratteristica quest’ultima molto poco italiana.

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