Australia e Inghilterra: un fine, due mezzi e molte complicazioni

La ARU permette di convocare (certi) overseas, la RFU non ancora. Ma nessuna soluzione può essere perfetta…

ph. Henry Browne/Action Images

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Da una parte una Federazione, quella australiana, che apre le porte della nazionale ai giocatori oversea (con più di 60 caps e almeno sette stagioni in Australia). Dall’altra invece quella inglese, che si sta interrogando sull’opportunità di seguire l’esempio australiano o rimanere fedele alla propria policy di non eliggibilità per chi sceglie un club diverso da quelli in patria.

 

Downunder, c’è chi parla di una grande vittoria di Cheika, e il motto della sua battaglia sul piano della logica non fa una grinza: “Credo che nessuno si lamenterà se avremo una squadra più forte“, si legge sul Sidney Morning Herald. E con un Giteau in più  in campo (in mezzo o a primo ricevitore, dipenderà), la squadra sarà certamente più forte, tanto più cheRugby Paper già si interroga su quanto il cambiamento di policy della ARU altererà gli equilibri del terribile Pool 1 della Rugby World Cup, che mette di fronte proprio Australia e Inghilterra, oltre che Galles, Fiji e Uruguay. Del resto, a Cheika poco importa che si parli di Giteau’s Law (ad tre personas, diremmo qui, visto che a goderne al momento sarebbero il trequarti del Tolone, Drew Mitchell e George Smith): la conquista della Webb Ellis Cup è un fine che per molti può giustificare anche questo mezzo. Ma, ovviamente, a spaventare non è tanto questo Mondiale quanto piuttosto il prossimo. Horwill, Genia e  Ashley-Cooper hanno un volo di sola andata per l’Europa, così come (a quanto pare) Quade-Cooper, che dovrebbe giocare altre otto partite coi Wallabies per raggiungere quota 60 prima di emigrare. La questione potrebbe avere risvolti complicati dal punto di vista strategico: dovesse andare questa estate a Tolone, giocherà per forza sette partite per raggiungere quota 60? E le giocherà indipendentemente dalle gerarchie di quel momento di Cheika? Più facile il discorso per Genia e Horwill, a quota 58.

 

Dall’altra parte del mondo, al di là della Manica, la Federazione resta per ora ferma sulle proprie posizioni, in attesa magari del finire della stagione e delle finali delle coppe per pronunciarsi. Alzare continuamente il salary cap per offrire di più ai propri giocatori potrebbe essere una soluzione, ma il gap trai club aumenterebbe ancora. Permettere di convocare chi va a giocare all’estero comporterebbe la partenza di molti giocatori. E questo, come scrive il Telegraph, diminuirebbe non solo il livello di gioco ma anche l’appeal della Premiership nei confronti di sponsor ed emittenti televisive. In definitiva, diminuirebbe il badget a disposizione, impoverendo in tutti i sensi il rugby inglese.

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