Mischie scomparse, piramidi malcostruite: l’amara Italia di Brunel

Una intervista in cui il ct azzurro fa la fotografia del tour estivo e di alcuni dei problemi che attanagliano il rugby azzurro

ph. Sebastiano Pessina

“La mischia è un nostro punto di forza: impossibile pensare che scomparisse così. Senza possesso è assurdo pensare a un qualsiasi piano di gioco”.
Jacques Brunel non fa una vera e propria intervista da diverso tempo, non vorremmo sbagliarci ma diciamo più o meno dal Sei Nazioni. In mezzo c’è stata la conferenza di Milano di presentazione del tour estivo – dove c’è stata la famosa stoccata sui rapporti tra FIR e Benetton Treviso – e le dichiarazioni dei comunicati stampa federali. Poco.
Il ct azzurro ha ora rilasciato una intervista a AllRugby, pubblicata sul numero di luglio dove dice cose interessanti. Intanto cerca di trovare qualcosa di positivo nel disastroso mese di giugno: “Dai ragazzi sono arrivati delle risposte interessanti, ma per competere a livello internazionale serve decisamente di più”, dice riferendosi alla capacità dei più giovani di affontare quel tipo di impegni. Parole che probabilmente non troveranno tuti d’accordo ma Brunel non nasconde nemmeno le criticità azzurre, peraltro evidenti. E così rispetto al ko con Fiji rileva come “la cosa peggiore è che abbiamo perduto l’ennesima partita che potevamo vincere. Questo, per il morale, per la testa dei giocatori è un problema che sta diventando sempre più grande”.
Poi la gara con Samoa: “…come potevo immaginare che non avremmo vinto nemmeno un pallone? Che con gli avanti la conquista sarebbe stata nulla? Non mi era mai successa nella vita una cosa del genere, mai”.

 

Brunel si mostra preoccupato che i tanti azzurri finiti all’estero vengano spremuti fisicamente (“c’è il rischio che ai Mondiali mi arrivino dei ragazzi molto sfruttati” dice, va però detto che al suo arrivo il ct vedeva il trasferimento di un giocatore in un campionato straniero come un nuovo spazio in Italia per un giovane) ma le cose più importante e “strutturali” per Brunel le riserva al rapporto FIR-franchigie, ribadisce che il suo obiettivo rimane quello di disputare un Mondiale di alto livello ma riconosce che le difficoltà sul tavolo sono più di quante non avesse immaginato e previsto.
Il sistema piramidale gli sembra a oggi il più funzionale e il più semplice da realizzare al di qua delle Alpi, a differenza invece della natìa Francia dove la forza politica ed economica dei club, i forti e molteplici interessi rendono complicata la dinamica del movimento. Chiedere a Philippe Saint-André.
Invece: “Qui, con due sole franchigie (…) ho pensato che il sistema potesse funzionare al meglio. Un ottimo trampolino, facile da mettere a punto. In questi tre anni invece non si è concretizzato niente“. Brunel non punta il dito contro nessuno ma è facile capire che ce l’ha un po’ con tutti, un po’ anche con se stesso. Che qualche responsabilità, inevitabilmente, ce l’ha pure lui.
Parole che sembrano tratteggiare un ct in qualche modo prigioniero di una dinamica che non riesce a controllare, una situazione “figlia” del comportamento di un po’ tutti i contendenti. E la soluzione non sembra a portata di mano.

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