Il Seven azzurro dopo il “botto” Hong Kong: è ora di programmare

L’Italia ha sfiorato un risultato clamoroso. Nel rugby a 7 si può e si deve fare di più

ph. Bobby Yip/Action Images

Che cosa hanno in comune Christian Cullen, Jonah Lomu, Joe Rokocoko, Liam Messam, Mils Muliaina? Sì, certo, sono neozelandesi e sono stati tutti All Blacks, ma c’è  qualcosa in più che li lega. Hanno tutti giocati a rugby a 7. E’ un po’ il leit-motiv del fine settimana dopo la promozione sfiorata nella classe che conta alle World Series: ma perché la FIR non ha mai programmato in maniera seria e articolata lo sviluppo del Seven?
Le risposte sono molteplici: intanto è un codice che da noi ha attecchito con grande lentezza e questo sicuramente non ha spinto i mai troppo rapidi uffici federali a muoversi in quella direzione. A (parziale) scusante della federazione vi chiediamo di segnalarci una istituzione che in Italia si muova con rapidità e che sia in grado di anticipare tendenze e movimenti: la FIR è in ottima e numerosa compagnia.
C’è poi un aspetto culturale: da noi il rugby è solo rugby a 15. La penetrazione della palla ovale al di qua delle Alpi ha sempre seguito i dettami delle regole Union, con un rugby a 13 che nonostante gli sforzi rimane numericamente davvero di nicchia per usare un eufemismo (ma capace di dar vita a due federazioni in lotta a tutto campo tra loro. Ma questa è tutta un’altra storia…) e un rugby a 7 che a parte qualche torneo anche di alto livello – Roma e Cortina su tutti – ha trovato sostanzialmente due ambiti di sviluppo: quello femminile e il beach.  E va detto che lì le cose funzionano piuttosto bene. Tanto che alcuni appuntamenti della versione “da spiaggia” sono ormai date attese già mesi prima e che tra le ragazze è stata la stessa FIR ha farsi promotrice della Coppa Italia che raccoglie oltre 60 squadre di ogni regione. Un impegno quello della federazione tra le ragazze che non trova però un corrispettivo in quello maschile.

 

E qui probabilmente pesa una tara culturale, come dicevamo prima. Ci riteniamo un movimento ormai rugbisticamente adulto e il Seven è visto come chiave di volta per aprire la porta alla palla ovale in paesi e ambiti che non hanno alcuna tradizione rugbistica. Che è vero, anzi verissimo. Però bisognerebbe ricordare che – chi più e chi meno – anche le grandi di Ovalia hanno una loro tradizione di rugby a 7, con l’Irlanda come unica vera eccezione.  E bisognerebbe anche sottolineare che forse anche da noi il Seven servirebbe tantissimo nelle aree geografiche di frontiera del nostro movimento.
C’è poi l’aspetto economico che non andrebbe sottovalutato. Senza fare paragoni improponibili con i soldi che vengono mossi in alcune delle singole tappe delle Sevens World Series, anche dalle nostre parti il rugby a 7 potrebbe attirare sponsor, aziende e investitori che sono sempre rimasti ai margini se non disinteressati del tutto alla palla ovale. Che nella sua versione a 15 è affascinante finché vogliamo, ma in qualche modo anche molto liturgica e non immediatamente “inclusiva”. Il Seven, se ci passate il termine, è molto più sbarazzino proprio nella sua ambientazione e nel colore che lo circonda. Cosa che mediamente piace moltissimo agli sponsor, e sappiamo tutti quanto il rugby tutto ne abbia bisogno.

 

C’è infine l’aspetto tecnico, con il Seven che ha caratteristiche assolutamente propedeutiche al rugby a 15, come la sfilza di nomi che abbiamo proposto all’inizio dimostra ampiamente. Poi va da sé che un buon giocatore di rugby a 7 non lo è necessariamente anche nella categoria più nota e diffusa, ma di certo le due cose non sono in contrasto.
In tanti chiedono la creazione di un vero circuito Seven italiano, con regole certe, atleti che vi si dedicano con una certa frequenza, dirigenti dedicati e tecnici specializzati. Non è una cosa impossibile da fare, basta avere la volontà politica di farlo. I giocatori non mancherebbero già oggi e per i risultati – come abbiamo visto a Hong Kong – non dovremmo attendere tempi biblici.
Il treno per Rio 2016 è stato perso tempo fa ma questo non ci costringe a rimanere immobili.

 

A QUESTO LINK L’INTERVISTA CHE IL GURU DEL SEVEN NEOZELANDESE GORDON TIETJENS HA RILASCIATO A ONRUGBY NEL GENNAIO 2013

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