Prima la testa e poi il resto: da dove deve ripartire l’Italrugby

Tanti errori, tante cose da rivedere. Ma forse la priorità per Jacques Brunel per curare la sua Banda deve essere un’altra

ph. Sebastiano Pessina

Come prendere la netta sconfitta di Torino contro l’Australia? Nessun giro di parole: male. Perché, d’accordo, “bisogna tenere le cose positive e analizzare quelle negative”, frase che abbiamo sentito troppo spesso negli ultimi 15 anni circa. Però così non va bene. Perché è vero che l’Australia è pur sempre l’Australia, che solo qualche settimane fa – pur perdendo – era riuscita a segnare 33 punti agli All Blacks e che stavolta ha schierato una delle migliori formazioni possibili, ma il fatto è che il problema non sono gli australiani – che hanno fatto il loro – ma noi.
Purtroppo quanto visto in campo all’Olimpico del capoluogo piemontese non è poi molto diverso da quanto abbiamo osservato in Sudafrica lo scorso giugno. Però stavolta non c’è l’alibi delle partite che arrivano a fine stagione. Punti d’incontro, mischia, difesa approssimativa e che commette errori evitabilissimi. Tutto da rivedere, tutto da registrare. Alla fine Jacques Brunel deve mettere nello zaino il ko più numericamente pesante della sua gestione.

 

Prima della partita, con Antonio Raimondi, a bordo campo si parlava del più e del meno circa la gara che sarebbe iniziata di lì a poco e alla usuale domanda “come la vedi?” la risposta è stata: “Mah, dobbiamo prenderli a pignate, fin dall’inizio. Cominciare dal primo minuto e non smettere più”. I primi 15 minuti hanno seguito questo schema-Raimondi, solo che una partita di rugby ne conta almeno altri 65… Forse l’avvio spedito, così spedito, è stato controproducente. Sul 10 a 0 gli azzurri non hanno mollato ma hanno forse pensato che potevano calare un po’ la tensione e cominciare a gestire il risultato. L’Australia si è subito infilata in quello spazio e grazie alle sue individualità, ai tanti chili, l’esperienza e una organizzazione di gioco sempre più convinta dei suoi mezzi ha rifilato alla Banda Brunel un parziale di 33 a 0, chiudendo di fatto la partita. Determinanti – probabilmente – anche i due errori di Di Bernardo da fermo negli ultimi minuti del primo tempo. Mettere tra i palli quei palloni calciati da posizioni alla portata di un giocatore come l’italo-argentino avrebbe consentito all’Italia di chiudere il primo tempo con un gap di soli 3 punti, invece ci siamo andati con 9 punti da recuperare, diventati rapidamente 16 all’inizio della seconda frazione.

 

Il commento forse più azzeccato su Italia-Australia l’ho letto su un social network dove un collega ha scritto: “Come se non avessero mai giocato insieme”. Una fotografia lapidaria di quei 65 minuti in cui l’Italia è sembrata spesso disunita e in balia di se stessa, prima ancora che degli avversari. Può sembrare un paradosso ma questo è anche il motivo per cui non bisogna farsi prendere da uno sconforto eccessivo: il gap e la differenza tecnica (e di profondità del movimento) tra noi e buona parte dell’Ovalia che conta rimane importante – lo sarà ancora per un po’ – ma non è più l’oceano di qualche anno fa. L’impressione è che questa Italia sia una squadra che deve lavorare parecchio sulla testa, sulla capacità di giocare sotto pressione e magari, deve imparare a gestire situazioni di vantaggio quando ci sono ancora tanti minuti da giocare. Perché siamo bravi a rincorrere, a volte anche a controllare un risultato se non manca molto al fischio finale. Ma se si tratta di fare le lepri o di partire da lontano…

 

Il Grillotalpa 

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