Zanni, Parisse e Brunel: tutti i volti di un Sei Nazioni da ricordare

Due vittorie come nel 2007, la sensazione fortissima che potevano essere di più. E il merito è soprattutto di un signore con i baffi

ph. Sebastiano Pessina

Come raccontar in chiave azzurra questo Sei Nazioni 2013? Si potrebbe parlare di Sergio Parisse, giocatore dalla classe infinita e dalla tecnica sopraffina, leader indiscusso nel gruppo. Qualche volta tende a caricarsi di troppe responsabilità, ma avercene.
Oppure di un Alessandro Zanni sempre più mostruoso per quantità e qualità. Sam Warburton l’altro giorno in una intervista l’ha indicato come il giocatore che toglierebbe all’Italia se solo potesse.
E Andrea Masi? Uno che sembra che l’età anagrafica si sia fermata a 27 anni. Poi ci sono Castro e Lo Cicero, uno Sgarbi che quando non c’è la sua assenza si sente tantissimo. Ma qui ci piace ricordare anche un Ghiraldini capace anche di incassare senza nemmeno una parola fuori posto uno smacco non indifferente come l’assegnazione della fascia di capitano a qualcun altro quando Parisse è stato squalificato. Lui è vicecapitano da anni, ne avrebbe avuto tutti i diritti: non ha detto niente.
Ci piace sottolineare la crescita di Luke McLean, giocatore che ha messo in mostra una intelligenza tattica che non gli si riconosceva. Minto era già una garanzia, Furno è stata una bellissima sorpresa. Poi la solidità di Geldenhuys, un Garcia ritrovato e un Orquera su cui si può contare. Menzione speciale per Lo Cicero, Venditti e chi come Cittadini e De Marchi si sono fatti trovare pronti al momento della bisogna. Tutti hanno dato il loro contributo.

 

Il vero capolavoro però lo ha fatto Jacques Brunel. Il tecnico francese in poco più di un anno ci ha rivoltato come un calzino facendo cose (apparentemente) semplici. Ha liberato le teste degli azzurri, ha tolto loro la paura di sbagliare e di perdere. Ha avuto anche la fortuna di arrivare in un momento in cui poteva cominciare a raccogliere davvero i frutti della Celtic League, cosa che probabilmente Mallett non ha potuto fare con pienezza, ma lui era pronto a raccoglierli questi frutti.
Se in pochi mesi una squadra “rischia di vincere” con Australia e Inghilterra (a Twickenham!) e batte Francia e Irlanda non si può più parlare di exploit. Si deve dire che l’Italia è diventata adulta. E il merito è in grande parte del tecnico francese. La strada è ancora lunga, ci saranno cadute e rincorse, ma come ha scritto l’altro giorno Antonio Raimondi su questa pagine “possiamo dire di essere entrati in una nuova era della Nazionale: non siamo più nel tempo delle onorevoli sconfitte. Ora perdere ha lo stesso significato che ha per tutte le altre squadre del torneo, senza spolverata di parmigiano o il cucchiaino di zucchero, perché una sconfitta ora rimane una sconfitta con tutto il suo sapore sgradevole”.

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