Sei Nazioni 2013, un bilancio azzurro. Prima che l’Irlanda “inquini”

Possiamo arrivare terzi oppure ultimi, ma quello che il torneo doveva dire dell’Italia lo ha già detto: lo spiega Antonio Raimondi

ph. Sebastiano Pessina

Prima dell’ultima partita di sabato contro l’Irlanda, il verdetto sportivo in bilico per la nostra Nazionale, tra il cucchiaio di legno e la seconda vittoria che potrebbe portare al terzo posto.
Qualcosa già visto, già vissuto, che potrebbe anche farci dire “è la solita storia”. Affrontare un bilancio prima di questa benedetta partita contro l’Irlanda, ci permette di guardare più all’essenza delle prestazioni, magari pure apprezzare quei miglioramenti, che sicuramente ci sono stati, senza essere influenzati dall’emozione e dalle sensazioni che una vittoria o una sconfitta contro l’Irlanda, inevitabilmente, ci darebbero.
La vittoria contro la Francia all’inizio del torneo, aveva stimolato grandi speranze, facendoci dire che finalmente la nostra Nazionale era riuscita a salire un nuovo gradino nella scala del rugby internazionale.
Anche se le successive sconfitte contro Scozia e Galles, potrebbero far pensare alla famosa solita storia, senza falso ottimismo, possiamo dire di essere entrati in una nuova era della Nazionale: non siamo più nel tempo delle onorevoli sconfitte. Ora perdere ha lo stesso significato che ha per tutte le altre squadre del torneo, senza spolverata di parmigiano o il cucchiaino di zucchero, perché una sconfitta ora rimane una sconfitta con tutto il suo sapore sgradevole. Vale al contrario, anche per le vittorie, che non dovranno più essere storiche, anche se l’etichetta rimarrà, quando finalmente riusciremo a battere Irlanda e Inghilterra, che nel torneo non abbiamo mai sconfitto.

 

E’ un passaggio culturale importante, sia perché ci mette allo stesso livello degli altri sport italiani, che a volte ci guardano con invidia perché amati senza essere vincenti, sia delle altre squadre del torneo, che non possono più guardarci dall’alto, perché si può venire a Roma, pensando al Grande Slam, e ritrovarsi all’ultima giornata all’ultimo posto della classifica, come la Francia, oppure pensare di riprendersi il Grande Slam dopo dieci anni di attesa, e rischiare di perderlo in casa (Twickenham) contro l’Italia.
L’altalena del nostro torneo, potrebbe avere una spiegazione psicologica, che supera gli aspetti tattici e fisici. Qualcosa che ha a che fare con il nostro “DNA” d’italiani, in bilico spesso tra eroismo e codardia, tra egoismo e generosità. Restando nel campo sportivo, possiamo pensare all’Italia Campione del mondo nel calcio nel 1982 e nel 2006, due imprese realizzate “contro tutto e contro tutti”. In quel limbo psicologico che forse banalmente si esprime nel non aver nulla da perdere. Nessuno, o quasi, si aspettava il successo sulla Francia, e a Twickenham, ci siamo andati pensando più alle batoste prese, piuttosto che all’opportunità di vincere. Sembra quasi che i giocatori, sicuramente sempre molto motivati, riescano a esprimersi al massimo, quando le attese non sono di una vittoria a tutti i costi, come invece quest’anno è stato contro Scozia e Galles.

 

Il nostro carattere sembra essere più adatto a giocare partite nelle quali non abbiamo nulla da perdere, come testimoniato dal calcio, da questo torneo delle Sei Nazioni, ma ad esempio anche dalla pallavolo, dove la Nazionale più forte di tutti i tempi, non è mai riuscita a vincere l’Olimpiade.
Rimanendo nell’ambito rugbistico, se vogliamo, possiamo trovare delle analogie tra la partita di Twickenham e quella di Firenze contro l’Australia del novembre scorso: primo tempo da dominati, secondo da dominatori. Quasi ad amplificare l’esigenza di trovarci nella condizione dei predestinati alla sconfitta, meglio se pesante.
E’ un problema da affrontare, che dovrebbe trovare la soluzione attraverso l’esperienza, anche quella fatta con le franchigie in Celtic League. La soluzione potrebbe essere propiziata dal lavoro serio, giorno dopo giorno, capace di far crescere la fiducia in se stessi. Possiamo essere ottimisti, guardando a questa Nazionale, anche se il problema del ricambio dei giocatori potrebbe diventare pressante, ancora prima della Coppa del Mondo 2015, considerando che gli effetti dei cambiamenti attesi nella politica federale, si potranno vedere solo a medio, lungo termine, visto che le prime reali modifiche ci saranno dalla prossima stagione.

 

Ragioniamo su questo torneo delle Sei Nazioni. Si vede la mano di Jacques Brunel, che ha lavorato per aggiungere attrezzi alla borsa di lavoro della squadra. Oggi non si può essere vincenti giocando un rugby a una sola dimensione. La mischia rimane fondamentale, ma non può essere il solo strumento a disposizione, inoltre in questo torneo qualche scricchiolio nella struttura della nostra mischia c’è stato. Le partite non si vincono solo con la palla in mano, spesso il risultato arriva per quanto si fa senza palla. Si potrebbe tradurre in difesa, ma sarebbe riduttivo, potremmo invece associarlo al famoso equilibrio “brunelliano”.
Il torneo ci ha dato delle nuove sicurezze. Il triangolo allargato non si cambia, identico nelle sei partite, con Venditti considerato il futuro, sia per i margini di miglioramento che ha, sia per l’età, mentre per Masi, man of the match a Twickenham, e McLean, sarebbe da incentivare l’utilizzo della clonazione. Un altro punto fermo nelle scelte di Brunel sarebbe stato Sgarbi, uno di quelli che si sente, quando non c’è. Purtroppo un infortunio l’ha tolto dal torneo dopo il match contro la Francia. Un punto di riferimento soprattutto per quell’agire senza palla, ma anche in grado di essere un efficace portatore di palla, soprattutto sfruttando linee dirette.

 

Altro punto di riferimento è Zanni, giocatore da work rate e continuità impressionanti, con Ghiraldini, che ha giocato un torneo, andando oltre la soglia del dolore, visti i piccoli, ma fastidiosi, guai fisici che ha dovuto superare. Dal torneo esce con una reputazione migliore anche gente come Favaro e Minto.
Un discorso a parte merita Sergio Parisse, capitano capace di caricarsi le responsabilità, di scuotere in modo diretto i compagni quando le cose non vanno nel verso giusto. Questo, oltre a qualità tecnica divina, è il suo punto forte, ma Brunel dovrà lavorare molto per costruire una linea di comando completa, che sappia dare supporto a Parisse, che sappia agire in campo con attenzione ai dettagli, che oggi che possiamo giocarci una partita a Twickenham, sono, quando ben eseguiti, il confine tra la vittoria e la sconfitta.
Il rugby moderno richiede competenze che un uomo solo, non può tenere sotto controllo, facendo le scelte giuste, tutte le aree del gioco. Si tratta di reagire in modo collettivo, in altre parole da squadra, ai vari stimoli di una partita. Dunque, organizzazione e cura dei dettagli: è la parte dove più dobbiamo migliorare.

 

Per fare un paragone vincente, pensiamo all’Inghilterra campione del mondo di Clive Woodward, all’azione simbolo di quel mondiale, il drop di Wilkinson. Quando l’australiano Matt Roger ha calciato male il pallone in rimessa laterale, tutta la squadra, senza neppure bisogno di una chiamata, conosceva ogni dettaglio per arrivare a mettere Wilkinson nella posizione per il drop: dove lanciare la palla, come avanzare e fino a che punto arrivare, per avere la probabilità più alta di marcatura. Leggendo Winning la biografia di Woodward, si ha la percezione di come sono stati affrontati i dettagli. Va rilevato che quella squadra era alla fine di un ciclo iniziato nel 1997 e come Roma, anche una squadra vincente non si costruisce in un giorno.
Saranno quindi l’esperienza, la capacità di sviluppare le qualità di leadership e responsabilità dei giocatori, la condivisione del valore assoluto del bene comune, che potrebbero portare, al nostro livello di capacità tecniche, a fare la miglior scelta possibile.
All’interno del grande lavoro che sta facendo Jacques Brunel con il suo staff, se una critica possiamo fare, riguarda il tempismo dei cambi, comprensibili e anche condivisibili nel quadro di una gestione che guarda allo sviluppo e all’obiettivo finale che crediamo resti la Coppa del Mondo del 2015, meno se pensiamo all’opportunità di battere l’Inghilterra, come domenica scorsa o anche sotto la neve di Roma del 2012.

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