Sapore di derby, Iron Team vs Amatori Palermo

Un racconto speciale della partita più attesa in zona Palermo

Sveglio con i crampi allo stomaco: è già domenica? Mi rigiro nel letto, non posso fare tardi.
Finalmente è domenica. I nervi tesi, quando la locuzione “corde di violino” prende senso letterale, e ogni ritardo, ogni contrattempo è lo stridio che sconvolge un fragile equilibrio. Iron Team – Amatori, accomunati da Palermo, accomunati da una storia così simile da essere irriducibilmente una e duplice: Roma e Bisanzio, gli eredi delle ceneri di ciò che era glorioso e ad un passo dalla gloria e poi, come neve al sole, si è sciolta, crollando come statue di ghiaccio.
Il Velodromo è il teatro dell’incontro-scontro, il tempio dove consacrare il rituale più antico del mondo, il fratello contro il fratello, il padre contro il figlio e mai nessuno cadrà, mai davvero.
Relegati alle profondità ctonie, come Titani, come Giganti, piccoli come formiche, l’Iron non ha i favori del pronostico, eppure ha costruito dentro qualcosa che va oltre ogni accettabile statistica. La grandezza dell’imponderabile, il sentimento di essere una sola cosa, con un solo obiettivo, a seguire quella palla dai rimbalzi pazzi, la cosa più simile allo spaccato di vita vera si respira nell’aria carica di elettricità, grigia di acqua che appena lambirà la terra martoriata dai tacchetti della casa del rugby palermitano.
Di fronte a noi ci siamo noi stessi, nei due sensi che ha questa parola: noi, lo spauracchio di noi stessi, pronti a cadere in preda ai nostri incubi; noi, che come gli altri con la maglietta verde siamo cresciuti insieme senza discernere chi era chi; noi, una cosa sola. La partenza è da guerra di trincea. Nessun colpo proibito, ma tanto agonismo, tanti placcaggi, tanta voglia. La lotta è su ogni centimetro, quel centimetro che può valere tutta una vita. Assorbiamo i colpi e, dopo qualche sbandamento, ci siamo, rabbiosi, tutto sommato attenti, guidati dal nostro nocchiero blasfemo, El Flaco, il nostro sedicesimo uomo, più di ogni altro lui è in campo. Regge lo 0-0 per lunghi interminabili minuti sulle spalle degli uomini in blu che placcano, non arretrano, sembrano cadere, poi respingono furiosi tutto il possibile prima della linea di meta. Regge sulle lotte personali: pilone contro pilone, el Trator contro il compagno Cinasky, mediano contro mediano, El Rojo contro Bimbo Navarra, come sotto le mura di Troia, dove i campioni si sfidano in interminabili ed eccitanti duelli faccia a faccia. Lo scontro, il sangue, la gloria. È l’assalto all’arma bianca, dove, però, solo chi persevera e sa restare lucido alla fine la spunterà. E così è: calcio nel box sbagliato e palla a largo con la nostra difesa in recupero e sguarnita. Nonostante tutto l’impegno, alla fine arriva la meta del 5-0, ma questa non è la partita in cui i nostri demoni possono avere facilmente la vittoria sul campo. Combattiamo, se necessario con più rabbia, con più voglia e non sembra che si affrontino due squadre con due posizioni in classifica opposte, nel perfetto equilibrio che esprime il miglior rugby stagionale visto al Paolo Borsellino. Il duplice fischio ci consegna alle parole del Flaco. Sulle facce di tutti, perfino dei nuovi, la concentrazione dei veterani. Continua a placcare El Niño, Domenico Grassadonio, continua con una prova di grande consistenza El Superman, Andrea Mele, e il piede aggraziato del Gigante – quale controsenso – sebbene impreciso alla piazzola, fa respirare la nostra difesa, e tutti quanti ne giovano. Al di là del risultato, che alla fine ci condanna, ma che non è troppo ingiusto, rimane la sensazione di sublime di un grande quadro d’insieme: l’Iron non è una squadra, ma un insieme di amici, di brothers in arms, capaci di spingersi fino a grandezze prima impensabili. Lecito non crederci, lecito essere smentiti;
resta il sapore di una grande giornata di rugby, quando ogni ruggine si scrolla dentro il campo e poi comincia il terzo tempo (e il quarto tempo) a suggellare che niente può dividere ciò che prima camminava insieme, ma che allo stesso tempo separati siamo la forza di questo sport, che scrive epiche pagine sui terreni più disparati: dal campo, alla tavola, al bancone da bar, ovunque passi la palla ovale palermitana si posano leggende, racconti, aneddoti. Abbiamo dato spettacolo, signori, e questo è lo spirito di ogni tenzone cavalleresca.

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