Il tecnico traccia a OnRugby un bilancio della prima parte della sua gestione, ma avverte: “Oggi non ci sono le stesse condizioni di preparazione al Sei Nazioni. Bisogna ripensare i periodi di disponibilità dei giocatori per garantire maggiore equilibrio”

Italia, due anni di Gonzalo Quesada: “Australia e Galles le vittorie più belle. L’Irlanda la partita che mi ha fatto più arrabbiare” – ph. Sebastiano Pessina
Due anni di gestione Gonzalo Quesada, due anni che in qualche modo hanno cambiato il rugby italiano. Il tecnico argentino ha preso in mano una squadra promettente e che aveva già ottenuto risultati importanti, ma che veniva da una batosta tremenda all’ultimo Mondiale e sembrava non riuscire a fare il definitivo salto di qualità. In questi due anni sono arrivate 5 vittorie (e un pareggio) nel 2024 e 4 vittorie nel 2025.
Per tracciare un bilancio definitivo del primo biennio azzurro OnRugby ha intervistato lo stesso Gonzalo Quesada che, in una lunga intervista di cui pubblichiamo oggi la prima parte, fa il punto delle situazione affrontando anche tutte le questioni legate al futuro degli Azzurri e alla Rugby World Cup 2027.
Si aspettava i tanti risultati importanti ottenuti in questi due anni?
“All’inizio, quando sono arrivato, non mi aspettavo di poter vincere subito determinate partite, pensavo sarebbe servito un po’ più di tempo. Tanto merito al lavoro di tutto lo staff che è stato eccellente dal primo giorno, e soprattutto merito ai giocatori che hanno messo in campo fin da subito quello che avevamo definito dal primo giorno: un progetto di squadra e un proprio piano di gioco, chiaro per tutti, solido ed entusiasmante. Hanno dimostrato tanta convinzione, tanta velocità nell’esecuzione e una etica del lavoro incredibile. Anche per questo ho cercato di imparare subito l’italiano, perché fin dall’inizio volevo definire con staff e giocatori la nostra strada, dove volevamo arrivare, chi volevamo essere e come volevamo farlo. I ragazzi sono stati eccellenti e alla fine sono stati premiati dai risultati e dalle performance, che sono arrivate più velocemente del previsto”.
Qual è stata la partita più bella?
“Difficile scegliere tra la vittoria in Galles del 2024 e quella contro l’Australia del 2025, ma credo che queste due siano state le migliori in assoluto. Vero, abbiamo battuto anche la Scozia ottenendo un successo storico dopo 10 anni, ma quello che poi abbiamo fatto in Galles ha un valore enorme soprattutto per come abbiamo dominato la partita senza mai andare in difficoltà e per aver raggiunto un obiettivo che ci eravamo prefissati: quello della continuità e la costanza, visto che venivamo appunto dalla vittoria in Scozia e dal pareggio in Francia. Raramente l’Italia era riuscita a portare in campo tre performance consecutive di questo livello prima di quel Sei Nazioni. E poi contro l’Australia abbiamo gestito bene la partita dal primo minuto, eseguendo e rispettando alla perfezione il piano di gioco: da allenatore sono le partite che mi piacciono di più, perché vedo la squadra preparare una strategia tutta la settimana e poi portarla perfettamente in campo, vedo i ragazzi tutti convinti, i leader che prendono in mano il gruppo. Sono le partite più belle, quelle che abbiamo dominato. E poi ricordiamoci che l’Australia veniva da vittorie importanti: i Lions, il Sudafrica”.
La partita che invece le ha lasciato più rimpianti?
“La partita con l’Argentina, perché il distacco (50-18 a novembre 2024, ndr) non aveva niente a vedere con il nostro valore e non siamo riusciti a prepararla come volevamo, con mezza squadra colpita da un’intossicazione alimentare che ha impattato sull’avvicinamento alla gara. Anche così siamo arrivati alla partita con una buona energia e giocando un buon primo tempo, facendo tante azioni positive. Molti non se lo ricordano, ma abbiamo fatto più break dell’Argentina, abbiamo creato tante occasioni, abbiamo preso due mete di intercetto che potevamo assolutamente evitare, abbiamo avuto due opportunità chiare per segnare in cui i Pumas avevano commesso due falli chiarissimi non fischiati. Poi abbiamo gestito male alcune situazioni e alla fine ci siamo ritrovati con un distacco finale terribile. Non so se avremmo potuto vincere, perché sapevamo che l’Argentina era comunque un grande passo avanti a noi, ma sarebbe stato bello poter arrivare alla partita nelle condizioni migliori per competere davvero”.
La partita che invece l’ha fatta più arrabbiare?
“L’ultima del Sei Nazioni 2025 con l’Irlanda. Affrontavamo una squadra che lottava per vincere il Sei Nazioni e abbiamo fatto una grande partita, dominando, gestendo bene il gioco, attaccando bene, difendendo bene. Meritavamo di vincere, però abbiamo preso 3 cartellini evitabili che hanno fatto girare la partita, e per questo ripensarci mi fa arrabbiare. Una vittoria contro l’Irlanda ci avrebbe permesso di chiudere alla grande un Sei Nazioni molto irregolare, e avremmo battuto una formazione che era venuta a Roma per provare a vincere il torneo”.
L’elenco potrebbe essere lunghissimo, vista la crescita di tanti ragazzi in questi anni, ma qual è stata la progressione che più l’ha colpita?
“Sì, i nomi sarebbero davvero tanti, ma se devo dirne uno solo scelgo Ross Vintcent: ha dimostrato personalità, carattere, grandi qualità fisiche, di gioco e soprattutto umane. Ogni volta che ha giocato con noi ha acquisito fiducia in se stesso, dando tantissimo alla squadra e da due anni è sempre in progressione”.
Quanto è stato difficile gestire soprattutto i giocatori impegnati all’estero, che spesso arrivavano con minutaggi enormi, o viceversa molto bassi?
“Credo che sia necessario ripensare le finestre di preparazione al Sei Nazioni, uniformando per quanto possibile i periodi di disponibilità degli internazionali che giocano in Paesi diversi da quelli che rappresentano, per garantire maggiore equilibrio e incertezza alla competizione. Oggi non ci sono le stesse condizioni di preparazione: Irlanda, Inghilterra e Francia sono insieme per due settimane complete, il Galles e la Scozia hanno massimo 2-3 giocatori fuori e per il resto lavorano sempre insieme. Noi ci ritroviamo tutti il lunedì mattina, poi il mercoledì pomeriggio chi gioca all’estero prende l’aereo, gioca il weekend, prende un altro aereo e torna in lunedì per preparare la prima partita del Sei Nazioni il sabato. Questa è la situazione: una soluzione devono trovarla, insieme alla Federazione, gli organi di governo internazionali. È nell’interesse del torneo e del rugby”.
Dopo due anni si può tracciare un primo bilancio dell’evoluzione dell’Italia?
“Siamo partiti con un gruppo e uno staff ancora un po’ segnati da quanto era accaduto al Mondiale 2023: per questo sono molto fiero e ammirato da questo staff e da questo gruppo di giocatori, insieme siamo riusciti a cambiare la dinamica degli eventi iniziando subito con un buon Sei Nazioni. Nei primi due raduni abbiamo fatto un lavoro profondo con i giocatori per definire una visione comune, un progetto di squadra, i nostri valori e la nostra cultura. Una volta definito nostro progetto di squadra abbiamo costruito la nostra identità di gioco. Avevamo questa idea: avere una cultura di squadra forte, con basi solide nella conquista e in difesa, e mantenere il DNA offensivo che caratterizzava l’Italia ma con maggiore solidità nel gioco al piede. Dopo un Sei Nazioni positivo abbiamo fatto una buona tournee estiva nonostante una sconfitta un po’ strana contro Samoa, sicuramente influenzata anche dalle difficoltà logistiche di un tour complicato, con moltissimi trasferimenti tra la Nuova Zelanda e le isole del Pacifico e con undici ore di volo ulteriori da Auckland a Tokyo e poi a Sapporo per giocare contro il Giappone. Infine, novembre ci è servito come esperienza per il 2025, con la preparazione a Roma come quartier generale e lunghi trasferimenti verso le sedi di gara: abbiamo ottenuto una vittoria importante contro la Georgia e giocato una bellissima partita contro la Nuova Zelanda, e compreso come meglio ottimizzare la nostra logistica e i nostri spostamenti per migliorare il nostro lavoro”.
Il secondo anno invece è stato quello della conferma, pur con qualche passo falso?
“Nel secondo anno abbiamo voluto consolidare questa cultura di squadra, rendere chiaro a tutti cosa significasse ‘essere l’Italia’, aggiungendo alcune opzioni nel nostro gioco in modo da evolverci ed essere ancora meno prevedibili. Abbiamo avuto un secondo Sei Nazioni un po’ irregolare, con un buon inizio in Scozia, una vittoria importante col Galles, due passivi pesanti contro Inghilterra e Francia e una bellissima ultima partita contro l’Irlanda, dove con un po’ più di disciplina avremmo potuto vincere. La tournee estiva ci ha permesso di aumentare le opzioni a nostra disposizione, con una vittoria netta in Namibia e una grandissima prima partita contro il Sudafrica, anche se nella seconda è venuta fuori la differenza che c’è ancora con gli Springboks. Abbiamo finito con un bellissimo novembre: una partita contro l’Australia in cui siamo stati performanti in ogni aspetto del gioco – difesa, conquista, attacco – e una bella prestazione contro il Sudafrica, con il cartellino rosso che paradossalmente ci ha tolto dei punti di riferimento. Anche se abbiamo fatto una buona partita potevamo gestirla meglio: soprattutto potevamo segnare più punti dopo aver creato tante opportunità e aver dominato il primo tempo, evitando di concedere una meta troppo facile nell’ultima mischia prima dell’intervallo. L’ultima vittoria contro il Cile non ci ha lasciati soddisfatti, ma comunque avevamo fatto tanti cambi e avevamo davanti una squadra che teneva davvero a questa partita, e alla fine abbiamo portato a casa il risultato. Stiamo procedendo nel percorso e possiamo essere soddisfatti di quanto fatto finora, ma non dobbiamo fermarci, siamo su una chiara strada di crescita e vogliamo andare ancora più lontano”.
Appuntamento a domani per la seconda parte della nostra lunga intervista al coach Azzurro.
Francesco Palma
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