Come sta lavorando l’Italia nella formazione dei giovani? La filosofia di German Fernandez

Il Direttore dell’Alto Livello Giovanile e della transizione, oltre che selezionatore dell’Italia under 23 e responsabile del breakdown della Nazionale Maggiore, ha spiegato a OnRugby le chiavi di un percorso lungo e articolato, di cui si stanno vedendo i primi risultati

German Fernandez – ph. Getty Images/Federugby

Connessione, sincerità e genuinità: sono queste le 3 chiavi del lavoro di German Fernandez, direttore dell’alto livello FIR, selezionatore dell’Italia under 23 e, dall’arrivo di Gonzalo Quesada, responsabile del breakdown della Nazionale Maggiore.

Il tecnico argentino, che ci ha molto colpito per la sua professionalità e passione, ha raccontato a OnRugby quanto lavoro c’è dietro il percorso di formazione pensato per i giovani, fino alla nuova Nazionale under 23, concentrandosi su quanto è importante creare un rapporto di collaborazione sincera con tutti i club. 

Come sta procedendo il lavoro di Direttore dell’Alto Livello Giovanile e della transizione? E come si articola in base alle varie fasce d’età? 

“Il primo lavoro lo fanno i comitati regionali e i poli di formazione. L’idea è quella di modificare le fasce d’età per far lavorare i ragazzi con i poli di formazione fino all’under 16, per poi passare ai 3 centri di formazione con le under 18. Dopo questa fase inizia il percorso dell’under 18 e 19, che saranno le due squadre internazionali nelle quali giocheranno i ragazzi dei centri di formazione ma non solo, anche chi è fuori. Quello dell’under 18 è un anno molto importante perché i ragazzi giocano anche il Sei Nazioni under 18, io – guardando le cose da argentino – considero un privilegio avere a disposizione una competizione così importante. Questo Torneo influenza poi tutta la preparazione e la formazione, perché permette di lavorare tanto su come gestire la pressione di una partita internazionale. L’under 19 è un anno di transizione ed è strutturata con un’idea simile a quella dell’under 23 e serve per dare spazio e minutaggio a tutti, considerando che molti ragazzi arrivano all’under 20 quando hanno ancora 19 anni”. 

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Quali sono gli aspetti fondamentali del lavoro? 

“Chiaramente si lavora tanto sulla comprensione del gioco e sulle abilità individuali, ma anche sull’educazione all’organizzazione del lavoro. Come detto prima, giocare delle partite internazionali ci permette anche di lavorare sulla parte strategica della competizione, dalle analisi video delle partite alla preparazione e gestione della pressione del dover affrontare una partita di tale importanza. Tutto fondamentale per dei ragazzi che faranno un percorso che passo dopo passo li porterà a fare il mondiale under 20”. 

Come si lavora con le accademie under 20? Qual è il rapporto con i club? 

“Molti ragazzi giocano in Serie A o in Serie A Elite e secondo me è un vantaggio. Chiaramente noi cerchiamo di formare i ragazzi affinché possano diventare professionisti, ma è anche nostra responsabilità comunicare con i club e far capire loro come lavoriamo. Questo anno con l’under 23 e anche negli scorsi con l’under 18, 19 e 20 ho percepito collaborazione. Quando finiamo un’attività mi piace fare una ‘diagnosi’ di ogni ragazzo e parlare con i suoi allenatori di club, prima di tutto per ringraziarli della loro formazione – perché alla fine la base viene sempre da loro – e poi per capire insieme su cosa si può lavorare per migliorare e completare la formazione di ognuno di loro. La formazione è una questione che riguarda tutti: questo interscambio continuo aiuterà non solo il ragazzo in questione a migliorare, ma anche gli allenatori diventeranno formatori ancora più bravi per le generazioni successive. Ho sempre detto che l’esperienza è come una candela, che illumina solo chi ce l’ha in mano: se io ti passo la candela troppo velocemente, si spegne, quindi devo farlo lentamente. Allo stesso modo, c’è bisogno di tempo per trasmettere esperienza agli altri. In questo modo, ogni anno sarà sempre meglio, ma bisogna essere insieme al 100%”. 

C’è collaborazione con i club quindi? All’inizio sembrava esserci un po’ di ostilità, come se gli “rubaste” i giocatori… 

“Nel mio primo anno in questo ruolo ho avuto bisogno di fare una vera e propria diagnosi, e l’ho fatta prendendo la macchina e andando in giro per l’Italia a conoscere tutti: i poli, i centri di formazione e i club, e li ho sempre trovati molto aperti al dialogo. Non so prima come fosse, ma da quando sono qui non ho mai avuto questa percezione. Chiaramente io devo essere empatico, devo mettermi nei panni delle persone nei club che hanno i loro obiettivi: dobbiamo trovare un punto d’incontro, non è semplice ma si può fare e lo stiamo facendo. Anche con l’under 23 non è stato facile fare una lista dei convocati, ma quando il club è sincero e ti dice genuinamente ‘German, questo ragazzo è appena tornato da un infortunio, preferiremmo rimanesse con noi’ per me va benissimo. Per creare un ambiente di questo tipo in cui c’è totale connessione, genuinità e sincerità ci vuole tempo. Forse alcuni club non sono ancora ‘dentro’ questo livello di sincerità, ma ogni volta che parlo con un allenatore o presidente ricevo sempre segnali positivi. Quando i club si chiudono in loro stessi non hanno possibilità di crescere, mentre la Federazione deve fare in modo che tutti crescano insieme”. 

Qual è l’idea che ha portato alla nascita dell’Italia under 23? Può fare un bilancio di queste 4 partite? 

“Dopo queste 4 partite sono ancora più convinto dell’importanza del progetto, sia per i ragazzi più giovani, sia per quelli ormai fuori dall’under 20 che talvolta non hanno tante possibilità di giocare: è come un buco che bisogna assolutamente coprire. Dopo le prime 2 partite vinte a Noceto ho detto chiaramente che per me il risultato non contava niente. L’obiettivo è stato raggiunto non perché abbiamo vinto le partite, ma perché ci siamo avvicinati ai club, abbiamo fatto capire loro che noi vogliamo far crescere quei ragazzi che a 22 anni magari si sentono ‘bocciati’ perché ancora non hanno avuto la possibilità di salire in URC. Vogliamo far capire che noi guardiamo tutti i ragazzi e farli misurare a un livello superiore, che magari non è quello delle franchigie, ma permette loro di lavorare in maniera diversa, far capire loro che hanno ancora grandi possibilità. Rendendoli ai club migliorati e motivati. Allo stesso modo, è un’opportunità di far giocare quei ragazzi delle franchigie che non hanno tanto minutaggio. Per un ragazzo non giocare è come non mangiare, soffre. Dopo le partite con l’Irlanda alcuni ragazzi sono tornati titolari, anche con le franchigie, hanno preso fiducia, e tutto questo fa parte di un lavoro a 360 gradi. Allo stesso modo, questa selezione, e in generale tutto il sistema, aiuta a formare anche gli allenatori, innescando un circolo virtuoso: il dialogo con i coach dei club ci arricchisce tutti, perché un tecnico impara confrontandosi con altri allenatori e se diventa un allenatore migliore formerà giocatori più forti e così via”. 

Lei si è sempre definito un “uomo di campo”, ed è il nuovo responsabile del breakdown dell’Italia nello staff di Quesada. Come si sente? 

“Intanto per me che sono argentino, e il Sei Nazioni lo ha sempre visto da fuori, lavorare per questo Torneo è qualcosa di nuovo, un vero onore. Nella mia carriera ho ricoperto diversi ruoli: a livello internazionale ho iniziato a lavorare come video analyst, che è una visione molto ampia del gioco, poi sono stato skills coach, che è una visione più ristretta, come guardare la partita da un buco della serratura. Ora con l’Italia, la serratura diventa ancora più stretta, mi occuperò infatti di un’area ancora più specifica: quella del breakdown, del sostegno al portatore di palla in attacco. Il punto d’incontro per me è come qualcosa che tiene insieme tutti gli organi del corpo umano, una sorta di tessuto di sostegno: se funziona, anche tutto il resto funziona meglio, e sento la responsabilità di lavorare in un settore così importante”. 

Ci saranno solo miglioramenti a lungo termine nel breakdown o vedremo qualcosa di nuovo già al Sei Nazioni? 

“Assolutamente sì, ci saranno già dei risultati: vedremo se la crescita sarà grandissima o minima, ma sicuramente si vedrà. Quando ho presentato il progetto di lavoro sul breakdown mi sono basato su un aspetto molto semplice: il miglioramento individuale costante di ogni giocatore, valorizzando i suoi punti di forza e migliorando gli aspetti più deboli. Se assisterete a un allenamento dell’Italia, mi vedrete sempre dietro al punto d’incontro a dare segnali chiave ai ragazzi: l’idea è di usare un approccio diverso con ogni singolo giocatore per farlo migliorare. È un lavoro a lungo termine, ma se si fa bene ci possono ottenere risultati anche nel breve. A marzo vedremo quali saranno stati”. 

Ci sono giocatori che l’hanno particolarmente colpita nel breakdown? 

“Il punto d’incontro ha una chiave: il tempismo. Se hai questo ottieni dei risultati anche se la tecnica non è eccelsa. Ci sono dei ragazzi che hanno un’abilità naturale nel breakdown, che lo vivono con piacere: Fischetti e Nicotera, ma anche Lamaro ha una grande capacità di anticipazione, e poi Negri, Brex. La cosa bella di avere questi ragazzi è il fatto che diventino un esempio per tutti: se in campo e alle riunioni video si vede uno di loro fare bene il breakdown, tutti gli altri imparano qualcosa di più su come farlo. Ogni ragazzo ha sempre un esempio al suo fianco, che diventa un leader naturale di quell’area”. 

Francesco Palma

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