Alla Rugby World Cup l’Italia che conosciamo: il sogno sono i quarti di finale

Una squadra con poca esperienza, ma che ha raggiunto risultati encomiabili, va all’assalto del mondiale di Francia senza grandi sorprese in rosa ma con la voglia di portare a casa qualcosa

Una analisi sui convocati dell’Italia per la Rugby World Cup. In foto: Federico Ruzza e Michele Lamaro – ph. Sebastiano Pessina

Kieran Crowley e il suo staff hanno sciolto gli ultimi nodi e annunciato i 33 convocati dell’Italia per la Rugby World Cup.

Nel corso delle settimane estive che hanno separato il primo raduno a ranghi completi, con 44 atleti coinvolti, fino alle ultime battute dei giorni scorsi, si è via via delineato un quadro sempre più preciso delle gerarchie azzurre.

L’ultimo taglio ha significato il passaggio dai 36 dell’ultima convocazione, prima della gara con la Romania, ai 33 che andranno in Francia. Possibilità sempre più concreta, la convocazione di quattro mediani di mischia è diventata realtà definitiva dopo la bella prestazione di Alessandro Garbisi a San Benedetto del Tronto. Con Filippo Alongi evidentemente nel gruppo dei 36 come copertura per l’attualmente infortunato Marco Riccioni e Enrico Lucchin lasciato fuori dalla gara contro le Querce rumene, i nomi di due dei tre giocatori che sarebbero stati tagliati erano chiari.

Rimaneva solo da capire chi, fra Federico Mori e Giacomo Da Re, sarebbe stato preferito dallo staff. Alla fine l’ha spuntata il secondo, andando ad ingrossare le fila dei possibili mediani di apertura ed estremi della squadra.

Una scelta che ne implica un’altra, a cascata: il backup di Luca Morisi come primo centro sarà Paolo Garbisi, che ha giocato da numero 12 la parte finale della gara tra Italia e Romania, al fianco di Tommaso Allan.

Quella che giocherà la Rugby World Cup 2023, d’altra parte, sarà soprattutto l’Italia che abbiamo imparato a conoscere in questi due anni. Il sospetto è che ci saranno ben poche sorprese nelle liste dei 23 giocatori che disputeranno gli incontri contro Namibia, Uruguay, Nuova Zelanda e Francia. A maggior ragione visto che, rispetto alle edizioni precedenti, questo mondiale consente ampi tempi di recupero: 11 giorni tra la prima e la seconda gara, 9 tra la seconda e la terza, 7 fra la terza e la quarta. Al netto di infortuni sempre dietro l’angolo, non è impossibile giocare tutta la fase a gironi con gli stessi volti in campo.

Anche perché l’obiettivo imprescindibile, per l’Italia, è vincere le prime due partite e assicurarsi il terzo posto nel girone, la qualificazione automatica alla RWC 2027. Poi, spazio per agguantare il sogno nelle ultime due, difficilissime gare.

La sfida è proibitiva tanto quanto quella del 2019, quando nel girone c’erano Nuova Zelanda e Sudafrica, e l’Italia ci arriva con una rosa tutto sommato più forte, ma certamente meno esperta. Se alla fine l’età media degli Azzurri non è così bassa, di poco superiore ai 26 anni e mezzo, la rosa conta un totale di 723 caps (21,9 di media), un numero piuttosto basso. Solo un giocatore in rosa ha più di 50 presenze (Tommaso Allan, 74) e solo uno ha disputato più di un mondiale (sempre Allan, presente nel 2015 e nel 2019). Oltre ad Allan altri 8 giocatori hanno preso parte alla Rugby World Cup 2019, mentre d’altra parte 7 atleti hanno meno di 10 presenze internazionali.

L’Italia di Crowley però ha ottenuto risultati migliori di molte versioni precedenti delle nazionali in maglia azzurra, stante anche un calendario che l’ha vista affrontare più spesso squadre di livello inferiore. Ciononostante, oltre ai risultati storici con Galles e Australia, questa nazionale può vantare la miglior percentuale di vittorie, la miglior media punti realizzati e il più alto numero di mete segnate per partita degli ultimi 15 anni (nell’era Sei Nazioni solo l’Italia di Berbizier ha fatto meglio in ognuna di queste categorie).

La qualità media della rosa, inoltre, si è alzata dando profondità alla squadra. In seconda linea l’innesto di Dino Lamb consente di avere un giocatore molto simile per caratteristiche a Federico Ruzza, una seconda linea atletica, mobile, con buona tecnica individuale e a suo agio negli spazi, con ottime qualità di regia in rimessa laterale. Lamb, inoltre, ha 4 anni in meno di Ruzza e può essere un punto fermo anche per il futuro.

In terza linea c’è grande competizione e il livello degli interpreti è alto. Kieran Crowley dimostra di avere grande stima di Toa Halafihi, che contenderà la maglia numero 8 a un Lorenzo Cannone proveniente da una stagione strepitosa, mentre Manuel Zuliani è un backup di lusso per Michele Lamaro. Il reparto è bilanciato da una coppia di giocatori in qualche modo ancora simili: oltre a due numeri 8 di grande corsa e con buone mani, oltre a due flanker dal placcaggio terminale e capaci di recuperare palloni, ci sono anche due ball carrier tosti fisicamente come Seb Negri e Giovanni Pettinelli.

Dietro l’arrivo di Paolo Odogwu e la crescita di Lorenzo Pani consentono di mascherare al meglio la pesante assenza di Edoardo Padovani. Rimane da capire, invece, quale potrebbe essere la configurazione di una coppia di centri senza Nacho Brex (che è stato il numero 13 peraltro di 20 delle 22 partite dell’Italia di Crowley): Morisi a secondo centro con Garbisi 12? Paolo Odogwu spostato a 13?

E, infine, qual è l’esatta gerarchia dei quattro numeri 9 selezionati dallo staff azzurro?

Forse ci permetterà di scoprire qualcosa di più la gara di Treviso, contro il Giappone, del prossimo 26 agosto. Sarà l’occasione per l’ultimo collaudo in vista della Rugby World Cup, contro una squadra che ha ottenuto quattro anni fa quello che l’Italia brama: conquistare i quarti di finale di un mondiale. È un sogno difficile da realizzare, ma è un’opportunità che capita soltanto ogni quattro anni.

Lorenzo Calamai

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