6 Nazioni femminile: il bilancio dell’Italia

Un torneo non facile, terminato in crescendo dopo le tre sconfitte iniziali: un buon viatico verso il Mondiale, tra sicurezze ormai acquisite e un po’ di cose da mettere a posto

6 Nazioni femminile: il bilancio dell'Italia (ph. Federugby)

6 Nazioni femminile: il bilancio dell’Italia (ph. Federugby)

Si è concluso il 6 Nazioni femminile dell’Italia, con tanto di finale thriller in quel di Cardiff, con le azzurre uscite vincitrici allo scadere dall’Arms Park. Non è stato un torneo facile per le ragazze, che dopo una partenza in salita (complice anche un calendario che prevedeva le maggiori difficoltà proprio all’inizio) sono riuscite ad invertire la tendenza, rialzandosi dopo la brutta prestazione di Cork contro l’Irlanda e portando a casa due vittorie nelle ultime due partite. Proprio queste difficoltà hanno alimentato ulteriormente la pressione e le aspettative su di loro, che per anni sono state la principale fonte di risultati del rugby italiano.

Un passato recente tanto glorioso quanto ingombrante: il secondo posto del 2019 aleggia nell’aria ogni qual volta arrivi una sconfitta, così come i risultati ottenuti nelle annate successive, come un metro di paragone da rispettare pedissequamente per poter stare dietro alle aspettative. Del resto, come scrive Stephen King, “quando c’è in ballo il passato, tutti diventiamo romanzieri”, e quanto fatto da queste ragazze negli ultimi anni non può e non deve trasformarsi in un peso da sostenere. Anche perché in questo Sei Nazioni il livello di competitività di squadre come Scozia e Galles si è alzato notevolmente rispetto agli anni passati.

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E allora, risultati alla mano, l’Italia si ha fatto quello che doveva fare e ha confermato la sua alta competitività. Ha battuto la Scozia, confermando i risultati precedenti, e ha vinto in casa del miglior Galles degli ultimi anni. Certo, problemi da risolvere in vista del Mondiale ce ne sono: la disciplina, il gioco tattico al piede, in alcune fasi la mischia ordinata e poi la touche, che però a Cardiff ha fatto un notevole passo avanti, anche grazie alla prestazione di altissimo livello di Elisa Giordano (che forse avrebbe meritato il premio di player of the match in Galles). Quando però le azzurre sono riuscite ad innescare sulla corsa il proprio reparto arretrato, hanno dato delle accelerate difficili da reggere per le avversarie, acquisendo concretezza e consapevolezza col passare delle partite.

Gli impatti di giocatrici come Sara Tounesi, entrata spesso a partita in corso, e il workrate di Bettoni, Gai, Giordano e Veronese hanno tenuto in piedi il pacchetto delle avanti anche nei momenti più difficili. Locatelli ha lavorato tanto per sopperire alle assenze eccellenti in terza linea (Sgorbini e Franco su tutte, e poi Arrighetti che è ritornata soltanto nell’ultima parte del torneo) mentre in prima linea, oltre al fondamentale ritorno di Turani, le giovani Maris e Vecchini assicurano la giusta qualità al ricambio generazionale che un giorno dovrà arrivare. Il pilone sinistro è ormai una presenza fissa nei 23 da oltre un anno, mentre la tallonatrice del Valsugana ha lavorato molto bene in campo aperto, dove placca come una terza aggiunta. Se migliora al lancio, la numero 2 del futuro sarà abbastanza al sicuro per un bel po’.

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Dietro, l’ormai confermata doppia apertura Madia-Rigoni garantisce molteplici soluzioni in attacco, con Michela Sillari a fungere da cervello dell’intero reparto arretrato, oltre ad aver piazzato con percentuali da cecchino. Il Sei Nazioni 2022 è stato anche quello del ritorno da titolare di Aura Muzzo, sempre concreta e presente, così come il resto del triangolo allargato formato dalle inamovibili Magatti e Furlan.

Peccato aver visto poco all’opera Vittoria Ostuni Minuzzi e Alyssa D’Incà, spesso partite dalla panchina e quindi penalizzate dalla decisione di dare tanta fiducia al XV iniziale da parte di Di Giandomenico, che da un lato ha garantito tanto equilibrio dal punto di vista tattico, permettendo alle azzurre di giocare con dei meccanismi molto ben rodati; dall’altro, a volte ha portato le ragazze in debito d’ossigeno nel finale di partita, come avvenuto tra il 60′ e il 75′ di Galles-Italia, prima della grande reazione finale.

Il quinto posto finale in classifica,  arrivato dopo la vittoria last-minute dell’Irlanda contro la Scozia, rischia di dare un’immagine del torneo italiano diversa dalla realtà. Quando le aspettative sono così alte, una sconfitta come quella di Cork (effettivamente una delle peggiori prestazioni recenti delle azzurre) diventa ancora più pesante: si comincia a rivangare il passato, cercando di capire cosa non funziona rispetto agli anni precedenti, e spesso si finisce per ingigantire una partita che – per quanto pesante – andrebbe relativizzata e contestualizzata.

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Del resto, chi scrive è il primo a non aver lesinato critiche dopo quell’infausta domenica, anche se l’Italia in Irlanda ha sempre fatto tanta fatica, e in generale il nostro rugby ha sempre sofferto quello irlandese, a tutti i livelli. La trasferta irlandese deve restare un promemoria importante, ben fisso nella mente delle azzurre affinché non succeda più, ma non può e non deve essere la cartina tornasole di questo torneo.

Come detto anche da Andrea di Giandomenico, pure un’eventuale sconfitta a Cardiff non avrebbe cambiato del tutto il bilancio di questo torneo. Almeno dal punto di vista delle prestazioni. Tutto sommato, l’Italia ha fatto quello che poteva in Francia, ha battuto la Scozia sotto il diluvio e se l’è giocata alla pari contro un Galles che ha messo in difficoltà tutti.

Anzi, portare a casa due partite così, difficili, rognose, contro due squadre brave a non far giocare le avversarie, è la dimostrazione di una mentalità vincente che ormai alberga all’interno del gruppo azzurro, che anche nelle difficoltà riesce a tirare fuori qualcosa in più. Senza questa mentalità, sarebbe impossibile vincere partite in cui vai sotto al 76′ dopo aver condotto gran parte del match, ritorni dall’altra parte ribalti il risultato.

Francesco Palma

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