Otto ex internazionali potrebbero citare in giudizio World Rugby e le loro union, per danni cerebrali permanenti

Una partita che potrebbe avere ricadute importanti sul gioco

tackle rugby ph. S. Pessina

tackle rugby ph. S. Pessina

Nel Regno Unito, nelle ultime ore, non si parla d’altro sul fronte ovale. Otto ex giocatori internazionali – anche se alle spalle ce ne sarebbe un numero molto più grande, rappresentato dallo stesso studio legale (oltre 100 giocatori, ha fatto sapere lo studio Rylands) -, a cui sarebbero emersi, in giovane età, i primi sintomi di probabile demenza, con ipotesi di CTE – encefalopatia traumatica cronica -, starebbero per citare in giudizio, anche se siamo ancora nel campo delle ipotesi, per negligenze reiterate nella tutela della loro salute cerebrale negli anni, World Rugby, la federazione inglese – che contattate da BBC hanno fatto sapere di non avere avuto ancora approcci legali in tal senso, e che da anni si battono per garantire la sicurezza sul campo dei propri atleti – e quella gallese.

Va sottolineato come quest’ultima problematica cerebrale, che può svilupparsi quando il cervello è sottoposto a numerosi piccoli colpi, come sotto-commozioni cerebrali ed è associata a sintomi come perdita di memoria, depressione e demenza progressiva, possa essere diagnosticata con certezza esclusivamente dopo la morte – cosa già accaduta, nel recente passato, per atleti dal calcio e del football americano, dove alcuni ex professionisti nel 2011 vinsero una causa da 700 milioni di euro contro la NFL -, anche se alcuni esperti sostengono che un’esposizione elevata a certi traumi alzi la possibilità di incorrere in tale patologia.

La natura ancora in fase embrionale degli studi relativi alla CTE – ed all’incidenza di alcuni aspetti della pratica ovale -, dunque, potrebbe giocare un ruolo fondamentale nella valutazione finale dei suddetti casi, se si andasse effettivamente in tribunale, e determinare il risultato di una partita che potrebbe cambiare per sempre il volto della disciplina, costringendola ad un diverso approccio alla tematica delle commozioni cerebrali.

“Non ho nessuna voglia di veder morire il gioco. Vorrei semplicemente vederlo regolamentato”, ha spiegato Steve Thompson, uno degli otto atleti coinvolti, forse il più famoso del lotto, Campione del Mondo con l’Inghilterra alla Coppa del Mondo 2003, torneo di cui, pur avendo solamente poco più di 40 anni, non si ricorda assolutamente nulla.

“Vogliamo prenderci cura del rugby e dei giovani che stanno approcciandosi a questo sport, affinché possano affrontarlo in modo più sicuro possibile”, gli ha fatto eco Richard Boardman, responsabile dello studio legale Rylands Law, che dovrebbe formalizzare la lettera ufficiale con richiesta di risarcimento danni da spedire alle suddette federazioni coinvolte, all’interno della quale, peraltro, ci sarebbe anche un ‘programma’ in 15 punti, tra cui – in primis – il riconoscimento da parte di World Rugby dell’esistenza effettiva del problema della CTE e di altre patologie neurodegenerative nel mondo ovale, l’abolizione di quei contratti che obbligano i giocatori a scendere in campo anche se infortunati per essere pagati, l’imposizione di un limite al numero di sessioni di contatto consentite nel corso della stagione e l’attuazione di migliori check medici.

Un’azione potenzialmente esplosiva che, quindi, se andasse “a segno”, potrebbe andare a ridefinire quasi integralmente l’approccio a 360 gradi del rugby a un macro-tema di primaria importanza come quello della tutela e della prevenzione delle malattie neuro-degenerative.

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