La lunga risalita di Tommaso Castello

Il centro delle Zebre ci ha parlato del recupero dal suo infortunio, analizzando anche il momento di Zebre e Nazionale

tommaso castello

Tommaso Castello (ph. Sebastiano Pessina)

Tommaso Castello sta risalendo. Lentamente, lontano dai riflettori del campo e lottando, con la tenacia che lo contraddistingue, per ogni miglioramento, con un unico grande obiettivo: tornare in vetta. Su quella cima chiamata rugby giocato.

A distanza di dieci mesi dalla sfortunata partita di Twickenham, nella quale il centro ligure si ruppe il perone e tutti i legamenti della caviglia, abbiamo raggiunto il 28enne trequarti multicolor per parlare del suo percorso di recupero, analizzando anche il momento di Zebre e Nazionale.

Come sta, a quasi un anno dall’ultima partita disputata, Tommaso Castello?

“Fortunatamente ho portato avanti parallelamente al rugby, che è passione e lavoro, anche altri interessi. Dedico la quasi totalità del mio tempo e delle mie energie al recupero, ma anche lo studio ed altre attività mi tengono impegnato tutti i giorni, evitando di farmi pensare alla mia situazione, che ovviamente, professionalmente parlando, non può che essere un poco triste”.

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Come procede il recupero? Quando la potremo rivedere in campo?

“L’infortunio è stato molto grave. Al di là della frattura del perone, la situazione più pesante è stata la rottura totale dei legamenti della caviglia. Me li hanno ricuciti interamente. Questo ha fatto sì che il mio recupero si rivelasse lento e complesso. Al momento non ho certezze su una data di rientro.

Sono stato operato due volte alla caviglia, da due chirurghi diversi. Prima a marzo, e poi a luglio. Da tre mesi, inoltre, in accordo con le Zebre, mi sto facendo seguire da un chirurgo inglese, considerato un guru per quanto concerne l’articolazione in questione. Secondo le sue stime dovrei poter tornare a giocare a metà marzo. Sto seguendo un protocollo particolare che sta procedendo secondo le sue aspettative, ma preferisco restare cauto.

Negli ultimi mesi, infatti, ho sentito diversi pareri, ricevendo alcune indicazioni su un possibile “giorno del ritorno in campo” disattese, poi, dalla cruda realtà.

L’unica cosa su cui ho certezze è il mio impegno: ce la sto mettendo tutta per rientrare, e sono sicuro che la mia carriera non è finita. Tornerò presto in campo”.

Come sta vedendo le Zebre, squadra di cui è stato capitano, con la lucidità dello spettatore da bordo campo? Come valuta la stagione? Cosa si aspetta dai prossimi mesi?

“La splendida vittoria di sabato contro i Cheetahs ha galvanizzato l’ambiente ed è giusto godercela fino in fondo, ma non deve cancellare tutte le problematiche di campo che abbiamo avuto nei mesi precedenti. In questa stagione, le Zebre hanno la rosa più competitiva da quando sono arrivato a Parma, ma stiamo faticando ad ottenere i risultati a cui potremmo e dovremmo aspirare. Diverse partite non le abbiamo vinte per pochi punti, mancando di cinismo e della giusta cattiveria nei momenti chiave, altre, in cui sono arrivate debacle, invece, non le abbiamo proprio giocate secondo le nostre possibilità. Sintomi diversi di una stessa attitudine mentale che va migliorata.

Abbiamo un andamento troppo altalenante, e conseguentemente grandi margini di miglioramento. Il nostro obiettivo è quello di diventare una squadra consistente, superando una volta per tutte quella fase di ‘squadra da exploit'”.

Perché manca sempre qualcosa per scalare quel gradino e trovare costanza di rendimento?

“Dal punto di vista dell’ambiente, mai come quest’anno, c’è stabilità e sostegno nei confronti del team. Ma, anche se non deve essere un alibi, ci troviamo pur sempre in una situazione in cui, rispetto alle altre squadre, anche alla luce di quella che è la nostra conformazione particolare, non può esserci, fisiologicamente, la stessa pressione societaria, quasi asfissiante, che si trova in un club. Parlo di quell’impellenza assoluta di fare risultato sempre, ad ogni costo.

Nel corso degli anni, poi, il Mondo esterno si è costruito l’immagine delle Zebre come una squadra messa lì, senza troppe ambizioni. Quel team che è quasi normale che perda. Alla lunga, per osmosi, c’è il rischio che anche dall’interno, ognuno di noi finisca per pensare questa cosa e metabolizzarla. Invece, dobbiamo giocare ogni partita con l’obiettivo di vincere. Come detto in precedenza, attualizzando il discorso, non dovremo accontentarci del successo contro i Cheetahs, ma vivere la sfida contro lo Stade Francais con la stessa urgenza di mete, di punti e di vittoria vista sabato”.

Negli ultimi anni è stato protagonista anche in maglia azzurra: cosa le ha lasciato Conor O’Shea? Cosa si aspetta dal nuovo corso di Franco Smith?

“Sono grato a Conor O’Shea per le occasioni che mi ha dato. Grazie a lui ho sviluppato una confidenza importante nei miei mezzi, ritrovandomi ad essere più volte titolare per l’Italia. Più che un’ambizione, quasi un sogno.

L’arrivo di Franco Smith, in ogni caso, porterà risvolti positivi agli azzurri, perché dopo un poco di tempo è utile portare nuovi stimoli all’interno di un gruppo. Inoltre, anche se non conosco personalmente il coach, me ne hanno sempre parlato molto bene. Si tratta di una persona di competenza indiscutibile, dotata anche di grande senso pratico. Una figura congeniale alle esigenze attuali della nazionale italiana”.

Matteo Viscardi

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