Amarcord in nero: l’ultima, larga vittoria di una generazione

Escono di scena tanti protagonisti dell’ultimo decennio in maglia All Blacks, fra cui l’allenatore Steve Hansen

ph. REUTERS/Peter Cziborra

“Questa maglia significa molto. E’ stata parte della mia vita per lungo tempo. Per me ha significato provare a lasciarla in un modo migliore di come l’ho trovata, e questo è stato il mio obiettivo per tutta la mia carriera. Spero di esserci riuscito.”

Così ha chiuso la sua carriera internazionale Kieran Read, capitano degli All Blacks degli ultimi quattro anni. Lascia i tuttineri a 34 anni, dopo 127 partite giocate dal 2008 ad oggi. Il successo contro il Galles nella finale per il terzo posto alla Rugby World Cup 2019 è stata la sua centosettesima ed ultima vittoria in nazionale.

Con le sue due mete nella finalina, raggiunge quota 39 segnature in maglia nera Ben Smith, un’altro dei veterani che se ne va. Non poche 39 mete in 84 partite per uno degli attaccanti più temibili della decade: “C’è assolutamente un sentimento di tristezza – ha raccontato dopo la fine dell’incontro – Ho giocato tanto con tanti buoni compagni in questa squadra, ho alcuni ottimi ricordi. Sono un po’ triste e un po’ entusiasta per quello che verrà.”

“Ora non vedo l’ora di sedermi a vedere gli All Blacks e i fantastici talenti che stanno crescendo per rappesentare il paese.”

Read e Smith sono solo due dei protagonisti a lasciare la maglia nera. Il vero protagonista, però, dell’amarcord in nero andato in scena al termine della partita con il Galles, spettacolo conclusivo di una generazione intera di campioni che hanno segnato la storia del gioco, è la loro guida, Steve Hansen.

“Sarà piuttosto bello guardare la squadra da lontano, penso – ha sorriso il tecnico campione del mondo nel 2015 ai microfoni, in conferenza stampa – Una birra in una mano, una a portata dell’altra. Zero pressione.”

“C’è una cosa che mi sono promesso, quindi non venite a chiedermela: non parlerò mai di cosa la squadra dovrebbe fare o di come lo dovrebbe fare. Se mi chiamate e me lo chiedete, non sarà una bella conversazione.”

“Adesso voglio passare del tempo con Tasha. Ho sempre avuto il suo fantastico supporto. Non avrei potuto fare questo lavoro senza di lei. Lei è un leader migliore di me, è più saggia, è più bella e più intelligente, ce le ha tutte.”

Steve Hansen è stato un allenatore unico per questi All Blacks: sette anni alla guida, dopo altri sette passati da assistente. Era nello staff al momento della vittoria della RWC nel 2011, era alla guida nel 2015. C’era durante il tour dei Lions nel 2005, ed era lì dodici anni dopo. Una presenza costante, vincente e determinante non solo dal punto di vista tecnico, ma anche e soprattutto da quello psicologico, carismatico e mentale. Lo hanno sempre dimostrato le sue conferenza stampa, e una volta di più lo ha dimostrato la sua ultima riunione davanti ai giornalisti.

“Vorrei dire per prima cosa quanto sono orgoglioso della nostra squadra. Ci sono state un sacco di chiacchiere all’esterno sul fatto di non voler giocare questa partita. Siamo usciti veramente molto delusi per la partita contro l’Inghilterra, dove siamo stati battuti da una squadra che ha giocato meglio di noi, ma ci siamo ripresi e abbiamo dimostrato carattere e devozione alla maglia. Speriamo così di aver reso orgogliosi tanti neozelandesi.”

“Vincere la Rugby World Cup è sempre più difficile. Tutte le squadre diventano sempre migliori. Possiamo essere orgogliosi di quello che abbiamo fatto per un lungo periodo, chiedendo alle altre squadre di migliorare per poterci battere. L’Inghilterra lo ha fatto, il Sudafrica lo ha fatto in alcune occasioni, e queste squadra ora sono in finale. Ora tocca a loro, ed è il nostro turno di inseguire.”

“So che gli All Blacks continueranno a puntare al meglio. Io sono stato incredibilmente fortunato ad avere grandi leaders come Richie [McCaw] e Reado [Kieran Read]. Ho avuto un grande aiuto da tutto lo staff e dalla dirigenza. Non fai da solo quello che siamo riusciti a fare nel corso degli anni.”

“La nostra sfida adesso è ritrovarci e ridarci degli obiettivi per i prossimi quattro anni. So che i giovani che torneranno a vestire questa maglia hanno una ferita. Hanno vissuto qualcosa di cui non puoi parlar loro se non l’hai vissuta. Questo li renderà più pericolosi e mi aspetto che continuino a crescere.”

“Cosa che mi aspetto anche dal gioco stesso. Più competitivo è, meglio è. E’ vero, l’emisfero nord ha un vantaggio in termini di potere economico, non è una cosa nuova. Hanno sempre avuto un peso su quello che è accaduto. E’ una delle questioni del nostro gioco: dobbiamo diventare un gioco globale e prendere decisioni giuste per il nostro sport, piuttosto che per il bene di una specifica regione.”

“Questa è la grande sfida. Dobbiamo mettere da parte i desideri personali e fare quello che è giusto per il gioco, cosa che fatichiamo un pochetto a fare al momento.”

Dopo questa punzecchiatura che torna su alcune dichiarazioni delle scorse settimane, Hansen torna a rispondere di questioni più personali, rispondendo con un sorriso a una domanda su cosa farà nei prossimi giorni: “Faremo quel che c’è da fare, troveremo un bel posto dalle parti di casa, io e Tasha ci siederemo e ci faremo qualche risata, e berremo qualcosa. Probabilmente saremo un po’ alticci e… ”

Studiata pausa cinematografica, risate in sala, il timido Kieran Read che al suo fianco arrossisce e mormora al microfono: “Ora fermati, Steve…”

Vedete, Kieran ha ancora una trentina d’anni. Io ne ho 60, quindi, quello a cui pensa lui non succede così spesso di questi tempi. Non quanto vorrei, almeno.”

Risate, sipario. La conferenza stampa termina con qualche altra domanda, più o meno interessante. Poi Foster, Hansen e Read sono lasciati liberi di andare. Si alzano, prendono la via dell’uscita uno in fila all’altro. Come se gli sovvenisse in mente qualcosa, Hansen si arresta, si volta verso il suo capitano e gli porge la mano, un’ultima stretta di reciproco ringraziamento.

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