All Blacks senza pietà, l’Inghilterra ne fa le spese. Ma cresce

Rileggiamo la serie più attesa di questo giugno di rugby internazionale. Dove c’è un sicuro vincitore, ma forse nessun vero sconfitto

ph. Anthony Phelps/Action Images

Nel lontano 1858 Heathfield Harman “HH” Stephenson durante una partita di cricket riusci a conquistare tre “wicket”, cioè ad eliminare tre giocatori in battitura con tre lanci. Alla fine della partita poté andare in mezzo al pubblico con un cappello, hat in inglese, per chiedere dei compensi per la prestazione. Nasceva così il termine “hat-trick” che nel mondo dello sport anglosassone, serve per classificare tre goal, wicket o mete. Se sabato scorso Julian Savea fosse andato in mezzo al publico del Waikato Stadium con un cappellino per riscuotere delle mance per le sue tre mete sarebbe diventato ricco.
Ci deve essere qualcosa con le ali neozelandesi di origine polinesiana, grosse e potenti, nel modo in cui trafiggono la difesa inglese. Come se una voce in passato avesse sussurrato loro, mentre erano ancora in culla, che quello di andare oltre la meta inglese in modo così devastante fosse il loro destino. E’ impossibile non associare le prime due mete di Savea nei primi 8 minuti di All Blacks contro Inghilterra a quelle di un ben più famoso numero 11 di 19 anni fa. Parliamo di quel canale sinistro sul lato lontano che invita certi tuttineri a sfondare con prepotenza ed esplosività i ranghi dei ragazzi in maglia bianca, riuscendo anche a farli sembrare pure un po’ impacciati.

 

Durante la conferenza stampa dopo la gara di Hamilton l’allenatore All Blacks Steve Hansen alla domanda che ne pensava della facilità di Julian Savea di colpire l’Inghilterra nel fianco sinistro (8 mete in due anni in totale contro gli inglesi) ha risposto: “Non so, in incidente. Una casualità” con un grigno, un sospiro, un brilluccicare di occhi che la dicevano tutta.
Ma diciamoci la verità: questi sono in generale All Blacks senza pietà. E si è capito subito dalla scelta di Captan Fantastic Richie McCaw di sfidare gli avversari con la Kapa O’Pango invece della Ka Mate, così per chiarire due cose, mettere i puntini sulle “i”: che non è perché hanno vinto le due prime partite, la serie e la Hillary Shield, avrebbero preso il terzo incontro come una passegiata. C’è tanto da giocarsi, onore, credibilità, imbattibilità assoluta e in Nuova Zelanda.

 

Così noi spettatori abbiamo assistito ancora una volta al crearsi di un magnifico dipinto nel giro di 33 minuti, fatto di 4 mete disegnate perfettamente da ragazzi il cui talento trasborda dalle tele che hanno a disposizione. Non ci si può non innamorare di questi All Blacks, se si capisce un po’ di rugby.
Il colpo d’azzardo di Cruden che ha involato Savea nella seconda meta verrà definito di nuovo “colpo di fortuna” da miopi intenditori. Corey Jane è tornato ad essere Corey, “quello tranquillo e rilassato in campo” come ha sostenuto lui stesso in conferenza stampa, e la differenza di prestazione si è vista.
Ben Smith ha archiviato Israel Dagg, perché diteci se c’è un solo allenatore al mondo che lo toglierebbe dal ruolo di estremo. Ma’a Nonu che calcia 50metri e conquist touche a 5 metri dall’area di meta avversaria. Malikai Fekitoa che in una partita ha preso il posto di Francis Saili nonostante abbia confessato che “impare tutto nel giro di una settimana è stato difficile”. Ed infine Bauden Barrett che scalpita, che vuole il ruolo di apertura, che renderà l’inserimento di Dan Carter a fine luglio ancora più interessante. Perché non c’é nulla di più salutare di atleti al meglio della propria forma fisica e mentale che si giocano il posto nei primi 15.

 

L’Inghilterra dall’altro lato ha cose importanti da portar via. Lancaster ha dichiarato che l’obiettivo principale di conquistare la serie è stato fallito, ma “siamo riusciti a capire ed imparare molto sui nostri giocatori nelle ultime 5 settimane. E queste infomazioni saranno cruciali per la selezione per la coppa del mondo 2015”. Ha anche aggiunto che l’inghilterra si trova nella fase di “rotazione” come si trovava la Nuova Zelanda nel 2006. Dichiarazione seguita da momenti di silenzio in conferenza stampa, perché tutti gli addetti ai lavori ricordano come è finita quella campagna mondiale kiwi.
Sta di fatto che non si può non sedersi e riflettere su quanto si presenteranno migliorati i padroni di casa l’anno prossimo. Lasciate stare questo tour che comunque ha dato molte informazioni positive per entrambi le squadre. Sicuro è che per fermare queste lame nere che tagliano difese avversarie come burro servono più attenzione, più cura e più forma fisica.

 

Chiudiamo con la dichiazione dell’allenatore inglese Stuart Lancaster, un po’ rassegnato, un po’ invidioso e un po’ ammirato, che descrive perfettamente gli All Blacks: “Non sono solo i numeri uno al mondo nel rugby, ma da un punto di vista sportivo in generale sono una squadra che mantiene il record di imbattibilità esprimendo il miglior gioco, non solo contro settime o ottave squadre, ma anno dopo anno contro la seconda, la terza e la quarta squadra del ranking mondiale. Al momento sono la perfetta combinazione di atleticismo, abilità e talento, esperienza, continuità e consistenza.”
Insomma, non sembra esserci pietà per nessuno e che Rugby Championship sia!

 

di Melita Martorana

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