Post derby celtico: cinque cose che abbiamo imparato dal match di Parma

L’importanza dei fondamentali, l’imprescindibilità di Leonard, la certezza di Minto e altro ancora…

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

 

“Vincere le partite da vincere”: l’aveva detto Valerio Bernabò, riferendosi alla sua Benetton, ma potrebbe benissimo valere anche per queste Zebre, e in generale per il rugby italiano. Alle nostre squadre manca la maturità di vincere le partite che devono essere vinte. Quelle alla portata, tipo Oyonnax in casa oppure ultima trasferta gallese. E’ una cosa che succede anche alla Nazionale, e che dimostra tutta la nostra fragilità rispetto alle altre. La partita era alla portata dei federali, che partivano sulla carta ma anche nella realtà superiori in mischia e in condizione mentale superiore. Merito (e molto) alla Benetton e al suo staff per come hanno preparato il match, ma anche demerito dei padroni di casa per come l’hanno perso. La gestione del vantaggio, e il saper portare in porto match alla portata, dipendono forse più dall’aspetto mentale che da quello tecnico. E in questo ancora pecchiamo.

 

Rosso o giallo: tre situazioni simili, ma con sanzioni differenti. A Belfast Andrew travolge Leonard in presa aerea, procurandogli un trauma alla spalla che lo costringerà ad alcune settimane di stop: cartellino giallo. A Parma quindici giorni fa Odiete inciampa e ostacola McCall: cartellino rosso. A Parma poche ore fa Ragusi calcia per se stesso e travolge malamente Pratichetti: giallo. Come detto da Cavinato in conferenza stampa, il problema è “la disparità di giudizio adottata dagli arbitri di partita in partita”, intesa come mancanza di un metro di giudizio condiviso e su chi giocatori e tecnici possano basarsi. E nell’anno che porta ai Mondiali, sarebbe fondamentale riuscire ad uniformare a più livelli e a più competizioni l’applicazione del regolamento.

 

Fondamentali, questi sconosciuti: “Vedo che nelle Accademie irlandesi si punta molto sui risultati in palestra, e non su come fare un bel passaggio di dieci metri in corsa. Dovrebbe essere un rugbista che diventa un atleta, e non un atleta che impara il rugby”. Parole queste di O’Driscoll. Uno che se è diventato ciò che è diventato, non è per i chili in panca ma per non aver mai sbagliato un passaggio. La sensazione è che il modo di formare italiano prediliga l’aspetto fisico, o meglio, lo alleni tanto (forse troppo) e non in funzione di quello tecnico. E’ successo a Venditti, ma succede a tanti altri. Gli All Blacks stanno molte ore in palestra, ma mai quanto quelle passate sul campo con semplicissimi esercizi di passaggi e due contro uno. Che, puntualmente, non sbagliano.

 

Leonard, what else: ancora una volta il mediano di mischia delle Zebre si è rivelato il valore aggiunto, anche se non è bastato per avere la meglio sui Leoni. Vero che la meta di Senioli nasce da un’ingenuità tutta sua, ma venti minuti prima sempre una sua scelta di giocare il corto aveva mandato in meta Venditti. Le uniche folate vere e proprie del match sono arrivate quando Leonard ha accelerato, e palla in mano non è mai scontato: punisce la spia che marca il carrier giocando l’intervallo con Sarto, attira a sé la guardia prima di scaricare, esegue sempre con eleganza superba, centra le mani del ricevitore anche con un pack in arretramento. Un faro, nel buio di ieri delle Zebre.

 

Minto, imprescindibile: in chiave azzurra, la forma con cui è tornato a giocare Minto è una conferma importantissima. Dopo le due mete di Cardiff, è arrivata contro le Zebre la terza stagionale, certamente la più importante dato il brutto momento che la Benetton stava attraversando. Cinque punti a parte, per tutti gli ottanta minuti la terza linea azzurra ha placcato ovunque, con grande disposizione al sacrificio. Un leader silenzioso, uno che a questo Treviso e a questa Italia serve come il pane.

Di Roberto Avesani

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