Un passaggio + due punti d’incontro + una scalata + un offload = 2

Man mano che si sale di livello, sono le piccole cose a fare un’enorme differenze. E il match di Genova lo conferma…

ph. Sebastiano Pessina

Se il drop di Orquera fosse entrato, oggi staremmo parlando di un’Italia in grado di battere una squadra che pochi mesi fa ha fatto sudare Nuova Zelanda e Sudafrica e piangere l’Australia. Una vittoria contro i Pumas avrebbe accresciuto in maniera esponenziale il morale della squadra, che avrebbe vinto due match consecutivi (non succede dai tre dell’estate 2012 contro Canada, Usa e Tonga) ma soprattutto familiarizzato maggiormente con le belle sensazioni che il non perdere porta con sé. Non avremmo parlato, o meglio ne avremmo parlato meno e con meno peso, del drop costruito in modo affrettato o meglio non costruito affatto (ma se si voleva avere un’ultima chance l’unica era provarlo ad un minuto dal termine, e a quel punto il rammarico è su come è stata gestito/sprecato l’ultimo possesso a disposizione proprio grazie al drop affrettato), di una buona superiorità al largo vanificata da un passaggio alla touche, ma soprattutto del particolare che due errori difensivi degli Azzurri costano due mete. Ma la differenza ad un certo livello e tanto più in una partita punto a punto la fanno proprio questi episodi/dettagli: due punti d’incontro in più prima di un drop, un passaggio ben fatto, un offload non rischiato e un secondo di scalata ritardato. Sia chiaro, rispetto alle ultime uscite  (ma anche alle penultime e terzultime), questa Italia è un’altra cosa. In difesa, nei punti d’incontro, nel linguaggio del corpo, nel contributo dei senatori e nell’entusiasmo dei giovani. La squadra gira, placca, piazza, costruisce gioco, tiene bene in mischia: eppure, come spesso si avverte la sensazione è contro di noi gli altri vincano anche giocando male, o non al massimo.

 

Man mano che si sale nel livello e nel ranking, cresce l’importanza che assumono i dettagli nel determinare il prevalere di una squadra sull’altra, e parallelamente aumenta la capacità di saper sfruttare gli errori altrui.  Vince chi sbaglia meno, e anche a Genova si è visto, ma pure il match tra Giappone e New Zealand Maori ne è un bell’esempio, con i puro sangue abili a punire ogni placcaggio/scalata/salita sbagliati dai giapponesi, che si dannano per creare gioco ma soccombono all’esperienza altrui (qui gli highlights).

In questo senso, un match contro il Sudafrica può dire molto sul reale stato di salute della Banda Brunel. Cosa ci aspettiamo? Non una squadra che fa meno errori, ma una squadra che non li ripete (contro il Galles nella prima del Sei Nazioni 2014 prendemmo una meta molto simile alla seconda di ieri dei Pumas). E se tre indizi fanno una prova, vuol dire che forse il peggio è passato. Vero che le sconfitte onorevoli hanno stancato, ma intanto sono meglio di quelle a testa bassa. E comunque, già il fatto che si parli di episodi/dettagli e non di problemi generali in mischia e nel placcaggio è già un passo in avanti.

Di Roberto Avesani

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