Errori, silenzi e dita puntate contro: l’estate torrida di Jacques Brunel

Al coach francese è stata rinnovata la fiducia ma la squadra appare senza identità e i Mondiali sono dietro l’angolo

ph. Sebastiano Pessina

Excusatio non petita, accusatio manifesta. Viene da scomodare il latino se ripensiamo al comunicato con cui il Presidente Gavazzi ha rinnovato la fiducia a coach Brunel a fronte dell’ennesima brutta sconfitta della Nazionale azzurra. L’abbiamo detto, ma ripetere non nuoce: cambiare in questo momento allenatore sarebbe un errore, oltre che un gettare la croce addosso a chi fin adesso l’ha portata, mettendoci la faccia assieme a staff e giocatori. Così come sbagliato sarebbe attribuire le cause del momento negativo della nazionale azzurra alle scelte tecniche e tattiche di un allenatore che non più tardi di un anno e mezzo fa sembrava essere riuscito a “svecchiare” il gioco dell’Italia. Da allora, però, qualcosa deve pur essere cambiatose è vero che non siamo praticamente più riusciti a vincere ma soprattutto a regalare prestazioni pienamente convincenti, sconfitta a Cardiff all’esordio del Sei Nazioni 2014 a parte.

 

Che a cambiare sia qualcosa nella testa o nelle gambe dei giocatori, compito di un allenatore è riuscire a far esprimere al meglio la squadra con la rosa a disposizione. E la sensazione è che carte alla mano la banda Brunel nell’ultima stagione e mezzo in alcune occasioni avrebbe certamente potuto fare meglio. Sia chiaro, perdere contro le cinque cugine europee ci sta, ma la squadra avrebbe potuto e dovuto dare molto di più. La colpa non può essere solamente di chi quella squadra l’ha allenata negli ultimi due anni, ma è innegabile che ognuno, Brunel compreso, debba assumersi le proprie responsabilità. Se nel corso dell’ultimo Sei Nazioni a colpire sono stati soprattutto certi cali di concentrazione, da ricondurre ad un deficit di tipo mentale e che hanno portato a black out disastrosi nell’economia della singola partita (venti minuti contro la Francia e rientro in campo contro la Scozia), nelle finestre internazionali successive la situazione è peggiorata e quelli che erano sintomi sono divenuti veri e propri problemi: difficoltà nella conquista ma soprattutto incapacità di produrre manovre pericolose palla in mano e una certa mancanza di piano di gioco.
Se a questo poi sommiamo le difficoltà dalla piazzola il quadro offensivo è decisamente negativo.

 

Non vanno meglio le cose in difesa, con uno contro uno sbagliati e diverse soft try concesse. E in questi ultimi due casi entra in gioco probabilmente anche il ruolo dell’allenatore, che se non ha particolari responsabilità per quanto riguarda un calo mentale (in campo ci vanno i giocatori, ciascuno con la propria personalità), deve invece sentirsi in parte corresponsabile di una sconfitta quando a mancare è l’idea di gioco. E forse in questo caso parlare di “incidenti” quando la mischia è messa sotto o ritenersi parzialmente soddisfatto per aver perso senza concedere mete non è la mossa più azzeccata. Certamente il coach è il primo ad essersi accorto che qualcosa è cambiato. Forse sarebbe ora che ce lo dicesse. I Mondiali sono dietro l’angolo e la rosa è per la maggior parte definita. Da questo punto di vista si sarebbe potuto forse azzardare di più, dando minutaggio nelle finestre internazionali a giocatori meno testati. Avremmo probabilmente perso ugualmente, ma ne avremmo guadagnato in esperienza.

 

Di Roberto Avesani

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