Le Zebre, l’azzurro e una ritrovata serenità: intervista a BergaMauro

Una prima parte di stagione da vero protagonista: chiacchierata con un nome importante del nostro rugby

ph. Sebastiano Pessina

Prima domanda, le tue condizioni fisiche. Sei uscito alla fine del primo tempo della partita tra Zebre e Scarlets dopo un brutto colpo alla spalla: come stai?
Oggi a Roma dovrei scoprire qualcosa di più. Ho un po’ di dolore ma mi muovo bene. Il colpo l’ho subito al collo e alla spalla, ma sono ottimista e positivo. Vediamo cosa dicono i responsi medici.

 

Torniamo a venerdì, alla gara delle Zebre. Una partita controllata soprattutto nel secondo tempo, che la vostra squadra avrebbe meritato di vincere ma con la beffa del pareggio negli ultimi secondi.
E’ stata una partita particolare, meritavamo di portare a casa il bottino grosso. Un po’ di malizia in più ci avrebbe certo aiutato ma gli Scarlets sono stati bravi a non mollare fino all’ultimo. Venerdì sera abbiamo però dimostrato continuità, abbiamo fatto capire a tutti che la vittoria di Cardiff non è stata un caso. Forse dopo quella partita le nostre prestazioni non sono state tutte all’altezza ma dimostrare continuità è importante. La performance è stata positiva, nonostante il risultato.

 

Altre volte avevate giocato con la stessa intensità e determinazione, quasi mai però questo era successo a Parma, dove invece avete sempre dato vita a prestazioni dove mancava una certa tranquillità. La cosa sta cambiando?
Direi che ormai abbiamo trovato una certa serenità anche in casa. I motivi sono diversi: siamo cresciuti, abbiamo un anno in più di esperienza, c’è un po’ di gente in più che viene a vederci e soprattutto sentiamo che la società si sta comportando in maniera diversa e attiva per cercare di superare tutte le difficoltà seguite alla nascita delle Zebre. C’è una crescita che riguarda i tecnici, i giocatori ma anche tutto quello che è extra-campo. Ci stiamo riappropriando di casa nostra.

 

Parliamo di arbitri. Non cerchiamo alibi per le sconfitte di Zebre e Benetton Treviso, però un problema ci sembra che esista…
Io sono un giocatore e queste non sono cose che attingono ai nostri ambiti. Noi dobbiamo focalizzarci su altro e gli errori arbitrali, se ci sono, non devono riguardarci. Comunque, in generale, a questo livello le partite possono decidersi su episodi nei quali rientrano anche le decisioni degli arbitri. Poi tutti pensano sempre a quello che avviene nei minuti finali però va sottolineato che un fischio in un senso o in un altro può cambiare un atteggiamento, può demoralizzarti, anche se effettuato a mezz’ora dalla fine.

 

Torniamo alle Zebre. Rispetto a un anno fa la crescita ci sembra netta e inequivocabile, sotto molteplici aspetti
Stiamo lavorando molto bene, quantitativamente e qualitativamente, però ancora non riusciamo a raccogliere quanto seminiamo. L’obiettivo però è chiaro per tutti, dai dirigenti ai tecnici fino a noi giocatori e questo sta dando i suoi frutti. Non è facile dire esattamente cosa sia cambiato, ci sono davvero tanti aspetti. Non va sottovalutato il fatto che anche i giovani hanno un anno in più di esperienza e di gioco a certi livelli. Poi c’è stata la vittoria di Cardiff e altre buone prove: ci stiamo avvicinando al nostro obiettivo ma manca ancora continuità, dobbiamo lavorare molto in questo senso. Dobbiamo acquisire la capacità di mantenere la giusta tensione e la giusta pressione. Siamo un bel gruppo, credo che ci toglieremo delle soddisfazioni.

 

C’è una grossa differenza nelle vostre prestazioni tra Pro12 e Heieneken Cup…
Effettivamente le nostre partite in Heineken Cup non sono state all’altezza, non siamo mai riusciti a interpretare la partita così come l’avevamo pensata e preparata. Connacht, ad esempio, avevamo giocato poche settimane prima in casa loro e anche piuttosto bene, mettendoli in difficoltà. La gara contro la squadra di Galway in Heineken Cup è stata invece peggio che non quella con Tolosa. Il Pro12 è un livello elevato, l’Heieneken ancora di più e dobbiamo imparare ancora molto. Non credo però sia un livello impossibile per noi.

 

A proposito di Heineken Cup, siamo ad un passo da una vera rivoluzione. Tra voi giocatori ne parlate? Cosa ne pensate?
E’ difficile dirlo. Ci sono tante linee sottili, tutte politiche. Non è facile farsi un’idea che sia chiara e complessiva: se ne parla tanto, anche sulla stampa, ma c’è sempre un qualche aspetto che sfugge anche all’analisi più completa. Certo un torneo senza inglesi e francesi tutto si può definire tranne che “europeo”.

 

Nella nuova composizione di quella che dovrebbe diventare la nuova Heineken Cup le Zebre rimarrebbero fuori. Una squadra come quella bianconera avrebbe da perdere oppure fare un passo indietro in una sorta di Challenge Cup sarebbe in prospettiva una soluzione più ideale?
Io credo che sarebbe una perdita, un passo indietro. Per gli aspetti tecnici ma anche per la vetrina mediatica. Vorrei però sottolineare che Heineken e Challenge Cup non sono due pianeti diversi e anzi il loro livello è piuttosto simile, non uguale ma simile. Comunque non c’è nulla di meglio per crescere che giocare in maniera continuativa con i più forti. Se le Zebre andassero in Challenge, o come si chiamerà, magari vincerebbero qualche partita in più ma io credo che sia meglio rimanere a giocare con le squadre più forti d’Europa.

 

Veniamo a te. L’anno scorso davi spesso l’impressione di voler strafare, di voler dimostrare di poter ancora giocare a certi livelli. Quest’anno sembri invece decisamente più sereno e la qualità delle tue prestazioni è cresciuta enormemente. Stai giocando proprio bene.
In una carriera ci sono diversi momenti e più e lunga e più questi momenti di alti e di bassi aumentano di numero. L’anno scorso riprendevo dopo alcuni infortuni che mi avevano tenuto lontano dai campi per diverso tempo e non avevo potuto fare molta attività. Nonostante quello la voglia di riconquistare la maglia azzurra era tantissima. Ora ho un anno di preparazione in più nelle gambe e, come dicevi tu, voglio solo essere sereno. E’ un percorso che non è finito e che porta fino ai Mondiali in Inghilterra: io spero di farmi trovare pronto, poi toccherà al ct fare delle scelte.

 

Sei uno dei giocatori-simbolo del rugby italiano. Questo ti mette nel centro delle attenzioni positive e non di tifosi e appassionati. Che a volte non sono stati teneri con te…
Ho avuto la fortuna di passare parte della mia carriera all’estero e questa mi fa dire che forse qui in Italia la tifoseria è particolarmente critica. Ma va bene così non è un problema, ognuno ha il diritto di avere la sua opinione e di difenderla e di sostenerla, l’importante è che l’esposizione della propria idea rimanga nell’ambito della civiltà e della buona educazione. Poi cosa pensano i tifosi non può diventare un mio problema, io devo rimanere focalizzato sul mio lavoro. Ovviamente mi fa piacere quando mi applaudono ma ognuno può pensare quello che vuole: d’altronde c’era gente che parlava male di me anche 7 o 8 anni fa e oggi ha forse qualche ragione in più di allora.

 

Finiamo con la nazionale. Arrivano i test-match: poche ciance, quanti ne vinciamo?
(ride, ndr) Ma sai – tornando serio – io credo che stavolta la vera grande differenza è che non ne abbiamo proprio parlato di quali possono essere vinti e quali no.  Non è scaramanzia, ma una presa di coscienza. Dobbiamo pensare solo a quello che facciamo e che possiamo fare  perché se ci mettiamo a pensare agli altri rendiamo meno. Australia, Argentina, Fiji sono tre squadre di grande e grandissima qualità di un rugby mondiale che negli ultimi anni ha innalzato tantissimo il livello complessivo.

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