Jacques Brunel mette la barra azzurra al centro del rugby europeo

Una lunga intervista a Midi Olympique dove il ct azzurro parla di molte cose, da Benvenuti al tour di giugno…

ph. Sebastiano Pessina

Una lunga, lunghissima, intervista rilasciata dal ct azzurro a Midi Olympique. Tanti i temi toccati, impossibile darne conto, anche perché non sono pochi quelli che riguardano un ambito specificatamente transalpino. Ma tra il nuovo possibile accordo tra LNR e FFR per l’utilizzo dei giocatori dei club per la nazionale (“Non si può cambiare tutto per un gruppo di soli 40 atletii”), la sorpres-Castres e il problema-stranieri al di là delle Alpi (“In Francia bisogna fare attenzioni in alcuni ruoli, piloni e aperture soprattutto, ma il fatto di attirare stranieri è sintomo di salute di un movimento. Se poi vanno in nazionale? Beh, bisogna ricordare che le regole lo consentono”) trovano spazio diversi spunti “italiani”.

 

E così si parla di Tomaso Benvenuti, con l’intervistatore che chiede a Brunel cosa pensa del trasferimento del giocatore a Perpignan, nonostante la presenza di due franchigie che sarebbero la destinazione naturale per i giocatori che poi devono vestire l’azzurro: “Spero che molti giocatori vadano all’estero- dice il ct – Se il Tolone viene in Italia per cercare un ragazzo vuol dire che ha i mezzi per affrontare il miglior campionato del mondo e il vantaggio sarebbe doppio: all’estero il giocatore non può che crescere, liberando così uno spazio in Italia per un altro giovane da far maturare”.
L’intervistatore incalza: questo non è contrario alla politica della federazione italiana degli ultimi anni? Risposta: “Mah, al momento della creazione delle due franchigie sì. Bisognava far tornare i vari Masi e Perugini per far crescere quelle squadre. Ora la situazione sta cambiando, ci sono più giocatori, sono favorevole ai trasferimenti all’estero”.
L’allenatore chiude poi la parentesi-Benvenuti dicendo che non ha avuto alcun ruolo nel suo passaggio al club dove lui ha allenato per diversi anni: “Ne ero ovviamente a conoscenza ma non sono intervenuto. D’altronde Marc Delpoux e Giampiero De Carli conoscono piuttosto bene il rugby italiano e non hanno certo bisogno di me”.

 

Il cuore dell’intervista, almeno per le tematiche italiane, passa attraverso la probabile diminuzione della pattuglia tricolore in Heineken Cup. Brunel è molto netto: “Credo che la crescita del rugby europeo passi dall’Italia, ridurre le squadre italiane in Heineken Cup sarebbe un grave errore perché la crescita non può passare per Galles e Scozia dove il rugby ha già raggiunto lo sviluppo massimo. In Italia ci sono 70 milioni di abitanti e il rugby è in grande espansione e le prestazioni di Treviso in Pro12 e Heineken Cup, come quelle con Tolosa dello scorso anno, sono la prova che il livello tecnico sta crescendo. Togliere una squadra italiana sarebbe come dare una pugnalata”.
Quindi i risultati negativi al tour di giugno, e al giornalista che chiede se possano centrare i calendari troppo fitti, Brunel risponde con un secco no: “Potrei dire che per oltre un mese i miei giocatori non hanno giocato e che è stato difficile per loro riprendere certi ritmi. Volendo potrei usare questa scusa, non i calendari troppo fitti… I risultati ottenuti sul campo non sono stati inquietanti ma esasperanti, mi hanno fatto arrabbiare, volevo continuità nei risultati visti al Sei Nazioni”.

 

Chiusura tutta francese sul dibattito lanciato da Serge Blanco, secondo il quale il rugby francese soffre di gigantismo e troppi club vivono al di sopra delle loro possibilità. Brunel fa il pompiere:  “Credo si riferisse non tanto all’intero movimento transalpino ma alla sua squadra, il Biarritz, e al bacino basco. Lo stesso si può dire per Perpignan e per il bacino catalano dove ormai non si possono vendere più di tanti abbonamenti e gli sponsor non potranno aumentare troppo. Dall’altra parte abbiamo club come Stade Francais e racing Metro che grazie ai nuovi stadi avranno possibilità di sviluppo doppie, come è successo negli anni scorsi a Tolosa. Le difficoltà di alcuni club vengono anche dalle loro strutture e non si può pensare che tutti possano crescere nello stesso modo”.

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