Italia: Il nostro ranking è lo specchio della nostra storia

Alla base dei nostri risultati c’è un aspetto “culturale” che troppo spesso si dimentica o si finge di farlo

COMMENTI DEI LETTORI
  1. max85 9 Dicembre 2020, 15:53

    che dire, bellissimo articolo! grazie a chi lo ha scritto…unica cosa: è possibile avere un termometro, numeri alla mano, di come sta evolvendo il rugby in Italia e di come la famosa piramide stia allargando la sua base? non solo in termini di tesserati (quello che giocano però, non quelli che fanno la tessera per senso di appartenenza…seppur comunque importante anche quello), ma anche dal punto di vista del maggior coinvolgimento delle nostre giovanili a livello continentale per esempio. Intendo articoli che ci diano notizia e misura di dove e come nasce qualche nuovo progetto, qualche nuova squadra, qualche nuovo impianto o laddove nasca un servizio di maggior qualità come ad esempio una nuova accademia. Non lo dico solo per curiosità personale ma perchè, come giustamente detto nell’articolo, è anche e soprattutto lì che la dirigenza di turno dovrebbe esser giudicata in un paese “povero di storia” come il nostro. Grazie

  2. massimiliano 9 Dicembre 2020, 16:20

    Totalmente completamente assolutamente profondamente in disaccordo col succo dell’articolo. La rivoluzione culturale rugbistica che necessita per ambire a diventare una nazionale importante è la stessa, fondamentalmente, che ci necessita per ambire ad uno stato di paese civile e democratico. Questo tipo di ragionamenti è lo stesso che porta con una ragionevolezza che vede solo il miope a dire che se in Italia si spendono soldi per i bombardieri invece che per la scuola è perché necessitano a difendere la nostra democrazia che non esiste per colpa dell’ignoranza che si coltiva nella scuola stessa. Scusate tutti lo sfogo.
    Redazione ma un pezzo sulle elezioni di rugby Europe, sul caso Minozzi, sulle elezioni svanite?
    Buon rugby e buon Italia a tutti

    • try 9 Dicembre 2020, 17:35

      concordo.
      Date le millionate di euro che ci arrivano è ammissibile avere questi risultati?

      • Winchester 10 Dicembre 2020, 19:10

        Le milionate di euro che ci arrivano (dal Sei Nazioni) vengono ripartite a seconda dei risultati e i nostri risultati sono praticamente sempre i peggiori del lotto, per cui gli altri ne prendono molti di più. Una sola squadra di club francese ha un budget superiore alla FIR.
        Il problema e’ che non ci “meritiamo” nemmeno questi soldi (come nazione), perché non contribuiamo proporzionatamente al business del Sei Nazioni (pubblico, telespettatori, merchandising, eccetera): in pratica siamo regolarmente sconfitti sia sul campo che fuori dal campo.
        Chi va in campo si preoccupi a migliorare le prestazioni in campo, ma chi non va in campo si preoccupi con altrettanta passione a migliorare le prestazioni fuori dal campo.

  3. Toto 9 Dicembre 2020, 16:23

    Grazie, Carlo, bellissimo articolo.

  4. Maggicopinti 9 Dicembre 2020, 16:24

    L’articolo dice tante cose interessanti, cui forse se ne potrebbe aggiungere qualcuna. Il rapporto praticanti popolazione per esempio non dice tutto, perché diluisce una realtà che non è affatto omogenea. E se certamente è vero che in Italia quel rapporto è 0.1% (50-60.000 su 60 milioni, più o meno) è anche vero che parliamo di regioni in cui il rugby è sconosciuto, e aree in cui quelle percentuali salgono all’1%, e nelle quali il rugby è storia, passione, competenza. D’altra parte anche la Francia, fatte le dovute proporzioni di numeri e percentuali, gioca a Rugby quasi solo nel sud e quasi solo nei paesi baschi.
    Tutto bene allora? No, perché ci sono altri elementi -storici e culturali- che si innestano, e che aiutano a fare del rugby uno sport con la massa critica necessaria per crescere in altri paesi, ma non in Italia. In alcuni dei paesi sopra di noi, il rugby è lo sport delle elite, e come tale è praticato. Possiamo discutere su quanto possa essere un limite o meno per lo sviluppo della disciplina, ma resta un fatto: c’è uno spazio – che non è fisico ma di censo o di identità “etnica” – nel quale tutti respirano rugby e nel quale il rugby è lo sport di cui si parla nell’articolo, lo sport di tutta la comunità. Che sia la comunità afrikaner della Rainbow nation, o l’upper middle class inglese, o i ricchi argentini – italiani che parlano spagnolo e sono convinti di essere inglesi. Sono comunità che concentrano la cultura rugbistica, e non la diluiscono in uno spazio così grande da rendere impossibile la formazione di quel bagaglio culturale condiviso che serve per costruire nuove competenze su basi già solide, e non dover ricominciare ogni volta tutto daccapo.

  5. Mr Ian 9 Dicembre 2020, 16:32

    l articolo omette le vagonate di milioni di euro presi in questi anni a differenza di diversi che ci stanno davanti nel rugby. I soldi servirebbero per acquistare quel know how che culturalmente ci manca.

    • Winchester 10 Dicembre 2020, 19:55

      I soldi dell’Italia del rugby vengono quasi tutti dal Sei Nazioni. La “torta” dei soldi del Sei Nazioni viene spartita in percentuali variabili che dipendono strettamente dai risultati. Siccome i nostri risultati sono quasi sempre pessimi, la conseguenza e’ che i nostri concorrenti del Sei nazioni hanno preso molti più soldi di noi.
      Detto questo, si può discutere se i nostri soldi li abbiamo spesi al meglio o no, ma comunque partiamo svantaggiati anche sul piano economico.

  6. mamo 9 Dicembre 2020, 16:33

    Galimberti dimentica un aspetto fondamentale ed è quello che non sono stati i “giornalisti” a creare aspettative al di fuori o al di sopra della nostra (misera) realtà rugbista.

    Chi se non la Federazione e gli allenatori che si sono succeduti (a parte note eccezioni) ha proclamato un futuro via via migliore ?
    Chi ha promesso, di volta in volta, i migliori sei nazione di sempre ?
    Chi ha ribadito più e più volte che “noi” siamo rispettati in tutto il mondo ?
    Wilhelm ?
    Numero ?
    Malfatto ?

    Non credo. Loro le promesse non sarebbero nemmeno in grado di farle e il proclami non hanno il ruolo per farli.
    Ho fatto i nomi dei giornalisti a cui possa essere attribuito il disdoro con cui si contestano le sconfitte attribuendone una presunta responsabilità ai dirigenti f.i.r. .
    Credo che Galimberti si riferisse a loro e non ai Consiglieri f.i.r. di opposizione o a noi forumisti.

    I numeri e le percentuali di praticanti.
    Sul punto Galimberti ha perfettamente ragione ma dovrebbe anche tarare gli “zero virgola” con la moltitudine di tesserati “farlocchi” ossia da quel zero virgola zero detrarre i numeri che portano quei ragazzini dei vari Progetti Scuola che, per motivi assicurativi, debbono tesserarsi per una sola partita o un mini torneo.

    Insomma credo che Galimberti abbia fatto un’analisi che mi permetto di definire, senza disdoro e senza offesa, truccata. Involontariamente truccata.

    • mamo 9 Dicembre 2020, 16:35

      Fumero, non Numero.

      • Mr Ian 9 Dicembre 2020, 17:10

        Per un attimo pensavo fossi finito su fratelli di rugby…
        Non si vuole attaccare l’autore della lettera che tra l altro dice anche diverse cose vere, però tutti questi alibi non sono ammissibili soprattutto se si parla di sport professionistico. 30 anni fa l avrei pure accettata

      • Toto 9 Dicembre 2020, 19:35

        Ahahah, tentavo di decifrarlo, quel “Numero” ma non ci riuscivo, tanto mi si sono occluse le arterie cerebrali con la vecchiaia!

    • nickso 9 Dicembre 2020, 16:43

      Ci ricordiamo che Brunel (o Cos, ora non ricordo) al momento del suo insediamento promise la vittoria del Sei Nazioni nel giro di 2-3 anni? Mi vien solo da ridere…o piangere

  7. narodnik 9 Dicembre 2020, 16:47

    Non condivido neanche una virgola,fa sorridere pensare che uno in buonafede non veda carenze e regressi negli ultimi 10 anni di gestione,i fatti citati,alcuni oggettivi alcuni luoghi comuni,non hanno connessione coi concetti di lavoro e sviluppo..

  8. nickso 9 Dicembre 2020, 17:09

    Non sono d’accordo con questo articolo volutamente o inconsapevolmente filo-federale. L’Italia che da 5 anni perde costantemente con tutte le squadre del 6n, nei 10 anni prima(dal 2005 al 2015) aveva (forse) qualche equiparato o oriundo in più, ma si parla di 3/4 elementi al massimo, non di più. E come eravamo zeppi di argentini prima, ora abbiamo sudafricani, australiani e inglesi… Eppure qualche partita qua e là veniva vinta, pur con tutte le casistiche del caso che nell’articolo vengono ben descritte. Abbiamo mancato i quarti di finale della World Cup 2007 per un drop…Tutto condito da dichiarazioni roboanti a mezzo stampa. Faccio notare che in paesi come Argentina e Giappone, nei quali il rugby non è certo il primo sport nazionale(in Argentina nascono praticamente con una palla da calcio in mano) ci sono stati miglioramenti significativi negli ultimi anni. Erano nazionali che se la giocavano con noi fino a 5/6 anni fa. Ora li guardiamo con il binocolo. Dire che non è vero che siamo peggiorati è decisamente sbagliato e chi lo pensa ha gli occhi foderati di prosciutto.
    Ciò che è la vera colpa federale è stato il non promuovere il rugby dalla base e la cultura rugbystica sia nelle regioni in cui il rugby non esiste ma anche in quelle in cui il rugby esiste, utilizzando le vagonate di milioni di euro che sono arrivate dal Sei Nazioni(utilizzate invece per quel gran carrozzone inutile di nome Zebre).
    Riducendo via via il tutto da evento mediatico con un grande seguito nelle competizioni importanti(come in genere vale per gli sport di squadra come basket e pallavolo) a evento di nicchia per pochi, con il terzo tempo e bla bla bla. Riducendo via via l’interesse degli imprenditori italiani che investono nello sport, che si contano ormai sulle dita di una mano e di certo non vanno dietro al rugby. E scusate se è poco.
    E non vado avanti perchè potrei scrivere per ore, con situazioni peraltro ben documentate da parecchi giornalisti del settore.

    • roff 9 Dicembre 2020, 20:34

      Non è vero. Ho visto sul tubo un Italia-Australia del 2006 (sconfitta onorevole) e l’Italia aveva: Castro, Dallapé, Parisse, Griffen, Pez, Canavosio, Canale, Peens. Ma gli Italiani erano Bortolami, Lo Cicero, Zanni, Festuccia/Ongaro e i F.lli Bergamasco. Quelli di oggi possono solo lustrare le scarpe ai sovracitati.

    • Winchester 10 Dicembre 2020, 19:59

      Sono d’accordo con te che la vera (e profondissima) colpa federale e’ stata quella di destinare solo gli spiccioli al rugby di base.
      Quello che mi perline, leggendo altri commenti, e’ che in molti siano convinti che sia necessario spendere i pochi soldi che abbiamo per avere ancora più stranieri formati, invocando più equiparati in nazionale. Secondo me questo non porterà da nessuna parte perché, essendo noi di gran lunga i più “poveri” del Sei Nazioni, potremo solo ambire ad equiparare per la nostra nazionale le terze scelte o le scommesse che nessun altro vuole.

  9. rapa 9 Dicembre 2020, 17:09

    secondo me non dobbiamo prendere come riferimento i paesi anglosassoni, il nostro faro deve essere l’ Argentina, dovremmo cercare di copiare loro, anche loro sono un paese di pallonari, eppure hanno vinto con gli All blacks, agli anglosassoni o alla Francia non ci avvicineremo mai !!!

    • western-province 9 Dicembre 2020, 17:44

      La realtà argentina parla di club, spesso polisportivi, con decine di giocatori.
      Quando si affrontano arrivano ad avere anche 5 squadre che si affrontano.
      In questo modo giocano tutti e i migliori affrontano i migliori.
      Non so in che parte d’Italia questo modello sia proponibile

      • mamo 9 Dicembre 2020, 18:04

        Forse nel nord-est, di certo non nel nord-ovest.

        • Winchester 10 Dicembre 2020, 23:01

          Nel nord est ci possono essere varie societa’ che hanno due squadre, negli anni buoni anche tre… ma non cinque…

  10. mistral 9 Dicembre 2020, 17:11

    …bell’articolo, che però sfiora (anzi, non tocca minimanente) un altro concetto che è fortissimo nei paesi del rugby (e qui mi attirerò uno strale di attacchi): il concetto di “nazione”… in parole povere, e secondo il mio (ma non solo mio) sentire, l’italia è repubblica, stato, paese ma quasi mai “nazione”, men che meno “patria”, a partire dal dettato costituzionale, quasi che, culturalmente, tali termini possano far intravedere altri tipi di stao o di governo che non siano la repubblica e la democrazia parlamentare… ed é logico che sia così, da settant’anni a questa parte (nella costituzione repubblicana il termine Patria è utilizzato 2 volte, il termine Nazione o nazionale forse 3, mentre Stato e Repubblica trovano decine di citazioni) il terrore dei rigurgiti nazionalisti (oggi volgarmente definiti populisti) e (dio ce ne scampi) patriottici ha fatto si che ciò che in altre Nazioni rugbistiche è la norma (riconoscersi in una lingua, una cultura, una storia, una bandiera) da noi sia un pericoloso aprire la porta a chissà quali terribili pericoli… se poi passiamo a analizzare il rapporto praticanti/popolazione a livello “nazionale-statale” è vero che è bassino, ma livello “nazionale-regionale” forse i dati un po’ cambiano… esistono realtà locali regionali (Veneto e Lombardia, una parte dell’Emilia) dove il rugby è molto presente, altre (in particolare nel centro-nord) dove non è proprio sconosciuto, ed altre ancora in cui le singole realtà cittadine (penso all’aquila, a Napoli, a Catania, ma ce ne sono altre) sembrano atolli polinesiani persi nell’oceanio della indifferenza “culturale” verso un gioco-sport basato sul rigore, sul sacrificio, sul rispetto, dove barare è difficilissimo e dove il risultato sul campo è quanto mai problematico “realizzarlo” a tavolino… mi si dirà che esulo dal tema, ma personalmente ritengo che se si vuole affrontare in chiave culturale il tema questo si un asse di riflessione (non il solo, per carità) sul quale soffermarsi… altro tema il “alssismo” morale ed etico che pervade la società italiana nel suo insieme, un lassismo certo favorito da una inerzia di sanzionamento, ma anche da una cultura permeata di “buonismo” pseudo-cattolico, dove il rigore e la responsabilità personale (altro asse portante del rugby, ritengo) si perde nei meandri del “perdonismo” e di un falso collettivismo che porta sempre, o comunque molto spesso, ad indicare in “altri” i responsabili, molto spesso addirittura imputando tali carenze allo “stato”, quali che lo stato non sia in definitiva che l’insieme organizzato (!) di molteplici individualità…

  11. jacoponitti 9 Dicembre 2020, 17:31

    Articolo interessante.
    Su un aspetto mi sento di dover insistere un po’ di più rispetto all’autore: l’utilizzo di giocatori di formazione straniera.
    Negli ultimi cinque anni il numero di giocatori non formati in Italia che giocano nella nostra nazionale è ai minimi storici.
    L’Italia ha sempre sovrautilizzato oriundi ed equiparati. In epoca Mallett siamo addirittura arrivati ad avere il 50% dei giocatori in campo formati in altre nazioni. Questo ci ha portati molto più in alto di quanto meritassimo come movimento.
    In particolare, senza gli oriundi argentini, la storia della nostra nazionale maggiore sarebbe stata profondamente diversa da quella che ci raccontiamo oggi. Provate a pensare alle nostre nazionali senza i vari Parisse, Dominguez, Castrogiovanni, Dellapè, Canale, Orquera, Canavosio, Nieto etc.
    Oggi, in parte nostro malgrado, ne stiamo facendo a meno. E abbiamo ridotto drasticamente anche il numero di oriundi ed equiparati provenienti da altre nazioni.
    Da qualche anno la nazionale è diventata il reale specchio del nostro movimento, come mai lo era stata prima, quando era “dopata” dal sovrautilizzo di giocatori non avevamo formato noi.
    Inevitabile, quindi, che i risultati non siano più gli stessi.

  12. johnny 9 Dicembre 2020, 17:48

    Con tutto il rispetto mi pare che l’articolo voglia assolvere tutti: todos caballeros.
    Ma come ha detto qualcun altro così non si spiegano fenomeni come il Giappone o l’Argentina, che evidentemente hanno trovato una via diversa per migliorare così drasticamente, l’individuazione di questa via dovrebbe essere una prerogativa della Federazione.

  13. madmax 9 Dicembre 2020, 18:17

    Condivido l’articolo. Mi ricordo ancora la metà di Kirwan contro l’Italia, da un capo all’altro del campo, travolgendo gli avversari come birilli o girandoli come fossero segnali stradali. Oggi impensabile per fortuna.
    Aggiungo che la popolazione di Veneto, aree rugbistiche lombarde e emiliane comprese è ben oltre i 10 milioni, poi di ogni paese GB tranne l’Inghiterra. Anche molto più ricca del Galles, per esempio. Se il Benetton non è come il Leinster o Padova / Calvisano come il Munster non è certo colpa della FIR

  14. fido 9 Dicembre 2020, 19:00

    Mi dispiace ma non condivido e spiego il perché.
    Se guardiamo i dati degli sportivi sulla popolazione allora non ci spieghiamo perché in certi sport di squadra siamo eccellenza, vedi pallanuoto e palla a volo mentre nei primi due per praticanti, calcio e basket, non ci siamo qualificati al mondiale e non partecipiamo alle olimpiadi col basket da anni. Forze perché abbiamo i soliti dirigenti incapaci da anni? Petrucci è l’emblema italico. Beh, allora possiamo dire che nel rugby, quando nell’articolo si dice che eravamo analfabeti e aggiungo io senza una lira abbiamo fatto la storia vincendo partite che ci hanno fatto ammettere nel 6 nazioni. Ora abbiamo soldi e strutture e andiamo indietro, non è colpa di nessuno? Aggiungo poi che condivido il fatto che manchi il rugby nelle scuole e sia poco diffuso tra i giovani, verissimo e quindi? Non spetta alla federazione investire sullo sviluppo? Altrimenti secondo questa logica uno sport minore sarà sempre minore e invece non è così. Il tennis italiano è significativo, era sprofondato nel baratro, poi politiche di sviluppo, attenzioni ai giovani e marketing (internazionali di Roma evento bellissimo e tennis gratuito in TV tramite super tennis) hanno risollevato un movimento che ora sta dando grandi risultati.
    Quindi se ci rassegniamo che il rugby italiano è mediocre e non è colpa di nessuno sprofondera’ nell’anonimato.
    Basta dare alibi a chi governa il rugby italiano.

    • try 9 Dicembre 2020, 22:54
    • Winchester 10 Dicembre 2020, 19:39

      Negli anni ’90 in Italia NON eravamo senza una lira, ma imbrogliavamo: gli sponsor foraggiavano anche il rugby (anche se dal rugby non hanno mai avuto alcun ritorno economico) perché all’epoca le leggi italiane permettevano facilmente di evadere le tasse dichiarando sponsorizzazioni (detraibili) ben superiori ai reali pagamenti, mentre le società sportive avevano (e in part hanno ancora) degli obblighi di contabilità “semplificati”. Con quei (pochi) soldi le squadre italiane erano comunque le più ricche del mondo e aggiravano le leggi del rugby internazionale fornendo “borse di studio” farlocche agli stranieri più forti del mondo quando il rugby a XV era strettissimamente amatoriale.
      Cosi’ per esempio Toni Green, capitano della Nuova Zelanda che faceva di giorno il muratore (e doveva lavorare per vivere, perché con il rugby al massimo ci guadagnava una birra o un paio di scarpe), e’ venuto in Italia con una borsa di studio finta (inutile dire che non si e’ laureato con i soldi di quella borsa di studio: era solo un modo per aggirare le regole che tutti gli altri all’epoca rispettavano) assieme ai migliori giocatori del mondo.
      In questo modo, quando in tutto il mondo del rugby era amatoriale, noi, imbrogliando, abbiamo cominciato a fare il professionismo “straccione”. Poi il rugby, nel mondo e’ diventato professionista sotto tutti i punti di vista e noi siamo ancora al professionismo “straccione”, tristi tristi perché non possiamo più imbrogliare più di tanto per evadere le tasse, per cui gli sponsor ci evitano e ancora non ci capacitiamo di quello che ci e’ successo.

  15. Pierre 9 Dicembre 2020, 19:02

    L’articolo è fin troppo benevolo verso la realtà italiana.
    Cosa dovremmo aspettarci quindi? Di pazientare 50 – 80 anni (le famose 5 generazioni del ragazzino gallese) prima di essere competitivi?
    E quando finalmente il ragazzino italiano avrà le 5 generazioni rugbistiche alle spalle, basteranno oppure gli altri ne avranno 12 o 15 e quindi saremo sempre indietro?
    Non scherziamo dai, questo poteva valere 20 anni fa, quando giocavo io e in tutta la regione c’era solo un negozietto dove comprare le maglie e i pantaloncini d’allenamento o i paradenti (delle scarpe specifiche per avanti neanche a parlarne, ne arrivava un paio tramite il club e tante grazie). Oppure il rugby in TV si vedeva ogni 6 mesi.
    Ma ora basta un giro al Decathlon e si vede pure la Mitre Cup….

    I punti dell’arretratezza italiana nel rugby sono altri e diversi, non tutti risolvibili nel breve.
    – Il problema non è nei numeri assoluti di praticanti (probabilmente già ora superiori a Galles, Figi e forse anche Scozia). Sta nel valore atletico degli atleti. Per alcuni il rugby è la scelta numero 5 o 6 dopo calcio, basket, pallavolo, forse tennis o sci (per chi lo ha vicino, ovvero quasi tutto il Nord Italia). Di fatto te la giochi con pallamano e altri sport minori. E quindi il talento a disposizione, così come coordinazione e atletismo sono di secondo livello.
    – Il rugby è uno sport complesso, difficile, tecnico, iperspecialistico e di grossi numeri di giocatori (quindi costoso).. In aggiunta non bastano alcuni giocatori fuoriclasse (Parisse ad esempio), da soli non si vince. Se Messi va alla Lucchese, la porta quanto meno in una Serie B alta e vince il 50% delle partite da solo. Carter recentemente ha giocato in campionato provinciale NZ, ha fatto il suo ma la squadra ha vinto all’ultimo…
    Per altri sport bastano pochi giocatori per emergere, a basket si gioca in 5 a volley 6. Prova a trovare 15 (che poi mica bastano, causa infortuni) giocatori dello stesso livello medio-alto.
    Non solo, se un difensore di calcio si fa male, può essere sostituito da un terzino o da un centrocampista.
    Alla fine nel calcio l’unico ruolo insostituibile è il portiere. Nel rugby praticamente ogni ruolo è specialistico.
    Magari hai 6 o7 fenomeni in terza linea ma fai mediamente schifo nei trequarti (all’Italia è capitato molte volte purtroppo).
    – Il rugby rarissime volte finisce in pareggio e chi vince è sempre stato il più forte almeno in quella partita. Nel calcio una volta il Pontedera ha battuto la Nazionale in amichevole, tutto può succedere.

    Insomma la strada per l’Italia del rugby è in salita, ma per nessuno o quasi dei motivi che ha elencato l’autore della lettera.

    • JV 9 Dicembre 2020, 22:52

      Non sono d’accordo, la differenza culturale, c’è si puo’ toccare con mano.
      Ho allenato per anni ragazzini dalla 6 alla 10. Nel 90% dei casi i bambini e i loro genitori sono totalmente analfabeti rugbysticamente. Questa cosa la differenza la fa, eccome. Se a un U14 devi spiegare che sottopressione e’ il caso che valuti come ultima opzione quella di passare la palla o se a un u16 devi indicare da che parte mettere la testa in mischia… sembrano banalità, ma significa che quando si arriva al campo da neofiti in Galles si parte da 0, in Italia da -10. La differenza c’è ed è abissale.
      Si vede nei gesti tecnici in campo, negli automatismi, nel pensare rugbysticamente.
      I commenti che ho letto e che non colgono quanto sia pesante e profondo questo gap culturale o sono scritti essi stessi da neofiti o da miopi, oppure da gente che pur amando il rugby non si è più avvicinata a un campo negli ultimi 10 anni e questo dinamiche non ha potute coglierle.
      Cio’non toglie che ci sono, criticità di natura politica, gestionale e quant’altro, ma rimane che l’articolo ricordi correttamente, che in Italia scontiamo questo gap e lo sconteremo ancora per qualche anno.

      • faurest 10 Dicembre 2020, 10:01

        92 minuti di applausi…

      • mamo 10 Dicembre 2020, 11:03

        La F.i.r. ti correggerebbe: i ragazzini dai 6 ai 10 anni non li hai allenati ma educati (e già questa distinzione è radicalmente sbagliata).
        Sono certo che tu non abbia solo un primo o secondo livello, perché da come scrivi immagino tu sia andato ben oltre.
        Prima di definire neofita chi ha criticato l’opinione di Galimberti dovresti essere certo di quanto affermi.
        Umiltà.

  16. Interza 9 Dicembre 2020, 19:22

    Un articolo che dice cose già lette e rilette. Tante cose non le condivido per nulla. Una su tutte che siamo saliti nel 6 nazioni per gli equiparati di allora. Una bufala enorme che ora di smetterla di raccontarcela. Certo viva il grandissimo Dominguez ma se permettete viva anche l’altrettanto grandissimo Vaccari. E così via con una serie di banalità ed ovvietà. Mi dispiace ma non ho bisogno di farmi spiegare le cose ne di farmi convincere. Ho le mie opinioni e convinzioni e non sarà certo questa analisi ad illuminarmi….

    • Interza 9 Dicembre 2020, 19:23

      tanto più che già il titolo non lo condivido. io il ranking nè lo considero nè ritengo debba esistere o farne una malattia

      • fabrio13H 9 Dicembre 2020, 19:43

        …puoi anche aver ragione ma quali sono le tue idee?

    • fabrio13H 9 Dicembre 2020, 19:41

      …piu’ che “tante cose” mi pare che non condividi proprio nulla dell’articolo 😀

    • Toto 9 Dicembre 2020, 19:58

      Scusa Interza, Dominguez segnava 20 punti in una partita e ci teneva in gioco, piazzava e metteva dentro drop da ogni posizione, il che dava anche sicurezza. Oggi quanti punti lasciamo nei calci sbagliati? Quanti drop hai visto fare ai nostri? Ricordo che, ai tempi di Dominguez, pensavo che quando si sarebbe ritirato sarebbero stati guai…

      • mistral 9 Dicembre 2020, 20:19

        …l’ultimo che ha tentato un drop decisivo é Parisse, e si é visto come lo hanno massacrato, ed é tutto detto!… 🙂

      • Interza 9 Dicembre 2020, 20:42

        Toto anche un certo Bettarello, giusto per citarne solo uno, aveva i numeri che stai dicendo. Parlava e parla veneto. Con me se vuoi parlare della miopia di non avere mai puntato su un gioco e la ricerca di aperture in un paese di calciofili ma di ostinarsi a pensare di poter equiparare il gioco degli allblacks sfondi una porta aperta. E a fabrio13H dico che abbiamo svenduto il nostro campionato per i soldi della celtic che ci hanno fatto divertire più perchè vedevamo in Italia campioni degli altri paesi che per far crescere i nostri e costruire un nostro gioco. Ok i soldi fanno bene e vanno bene, ma almeno reinseriamoli anche per fare crescere un campionato. Guarda caso le nazioni più forti Inghilterra e Francia hanno un signor campionato. Abbiamo seguito l’idea delle franchigie che non hanno prodotto nulla. Non siamo neanche stati capaci di costruire uno stadio ad hoc per il rugby con tutti i soldi che girano. Stiamo sempre a frignare che dobbiamo avere uno staff fatto di 15 tecnici che devono seguire difesa, attacco, punti di incontro, calli e unghie dei giocatori. Ma chi l’ha detto ?? Il professionismo sta uccidendo inesorabilmete questo sport. E quando siamo entrati nel 6 Nazioni era uno spettacolo anche vedere le lotte Milano, Treviso, Aquila ecc… E per il resto delle mie idee basta leggere i commenti che faccio quando mi ritaglio il tempo dal mio lavoro. Certo non mi metto a scrivere articoli che raccontano storielle…

        • mamo 10 Dicembre 2020, 15:40

          .. e oltre a Bettarello c’era anche Oscar Collodo …… . Per aggiungerne un’altro

          • Winchester 10 Dicembre 2020, 19:43

            Li ho visti in campo anch’io e, se vogliamo essere veramente onesti e sinceri, non erano al livello del Cinque Nazioni e nemmeno al livello di Dominguez, visto che di questo livello stiamo parlando.

          • mamo 10 Dicembre 2020, 20:01

            Visti da molto vicino e passati decenni, i capelli ormai quasi del tutto bianchi, senza mai aver smesso di andare al campo o allo stadio di tante città o cittadine, visti (ahimé non più da vicino) decine di 10, rimango convinto che quei due sono stati e.lo sarebbero ancora due grandi sia per talento che intelligenza di gioco.
            Un difetto: non erano grandi difensori.

      • Ovale 10 Dicembre 2020, 15:13

        Il Giappone è pieno di equiparati, la Scozia (essendo poi un piccolo paese) oltre agli equiparati ha diversi ragazzi scozzesi nati e/o cresciuti all’estero. Non mi sembra che qualcuno metta in dubbio la competitività della Scozia o la crescita del movimento giapponese.

        • Winchester 10 Dicembre 2020, 22:47

          Vedremo quanto dureranno.

          • Winchester 10 Dicembre 2020, 23:13

            Secondo me fare equiparazioni a manetta può essere solo un salvagente a brevissimo termine. Magari mi sbaglio…

        • Winchester 10 Dicembre 2020, 23:00

          Ti faccio due esempi per farti capire la consistenza dei movimenti alle spalle di Scozia e Giappone.
          Scozia: subito prima dell’ultimo mondiale di Mauro Bergamasco, Italia e Scozia fanno due amichevoli pre-mondiali nel giro di pochi giorni. La Scozia organizza l’amichevole (che l’Italia ha giocato malissimo, anche se Benvenuti ha segnato una bellissima meta) al Murrayfield e lo riempie quasi tutto (solo un settore dello stadio era incompleto, in un “angolo”, me lo ricordo perché c’ero quasi solo io, li’… ma il resto era tutto esaurito), poi la “riperduta” della squadra guidata da Brunel viene giocata in Italia (a Torino, se ben ricordo) e sono andati allo stadio in quattro gatti. Mi sono un po’ vergognato.
          Giappone: sono andato a vedere Italia Namibia ai mondiali, partita con molto poco da dire e sicuramente poco appeal. Lo stadio era strapieno di Giapponesi (e i biglietti erano cari) che sono rimasti a guardare la partita anche sotto la pioggia battente. In Italia non avremmo mai e poi mai avuto uno stadio come quello pieno di decine di migliaia di spettatori per un Giappone-Namibia! In Italia non avremmo avuto cosi’ tanti spettatori nemmeno per Italia-Australia o Italia-Argentina (sicuramente per Italia-Scozia, vedi sopra…) e anche questa volta sono rimasto parecchio interdetto.
          Questi sono piccoli esempi personali della differenza tra i movimenti. Se in Italia nessuno va allo stadio o guarda le poche partite in TV, e siamo cosi’ schifiltosi che non c’e’ niente che possa soddisfare i nostri palati super-raffinati da nobili decaduti (anche se non abbiamo mai frequentato i piani nobili del rugby mondiale) non possiamo aspettarci di attirare l’interesse degli sponsor.

  17. fabrio13H 9 Dicembre 2020, 19:49

    L’articolo mi pare che in sostanza dica: il rugby italiano è molto piu’ in basso delle “livello 1” (sono d’accordo); non si poteva fare di piu’ (non sono d’accordo: era sicuramente difficile ma si sono scelti molti percorsi discutibili e soprattutto, non si accetta di rivederli anche radicalmente e, mi tocca dirlo, anche da parte del “popolo rugbystico”); si vede una luce costituita dai risultati delle giovanili e dal fatto che si utilizzino meno giocatori di formazione non italiana (troppo poco e sono curioso di vedere per quanto tempo dureranno entrambe le cose).

    • jacoponitti 9 Dicembre 2020, 20:24

      Anch’io sono curioso di vedere se Smith continuerà a chiamare così pochi equiparati e oriundi.
      Durante la sua gestione COS ne ha convocati via via sempre di più, pur restando ampiamente al di sotto della media raggiunta dai suoi predecessori.
      Purtroppo credo che la nazionale negli ultimi 5 anni si sia ritrovata a metà di un guado.
      Da un lato si era esaurito l’afflusso di azzurrabili provenienti dall’Argentina (e al momento abbiamo il solo Brex, che, comunque, non è un giocatore in grado di fare una la differenza rispetto ai pariruolo di formazione). Dall’altra le Accademie non avevano ancora prodotto una sufficiente quantità di buoni prospetti (cosa che, invece, è avvenuta nelle ultime due/tre annate).
      Se le nostre giovanili continueranno a essere ricche di talenti come quelle degli ultimi anni, allora fra non molto credo che usciremo dal tunnel

    • narodnik 9 Dicembre 2020, 20:35

      E’ piuttosto fatalista,in genere chi scrive qua invece attribuisce scarsi risultati in rapporto alle risorse utilizzate ,prospettiva positiva in caso di alternative politiche dirigenziali.Un fattore limitante per la crescita e’ la scarsita’ di investimenti privati visto che si parla di professionismo e si sa senza soldi non si cantano messe..

  18. Toto 9 Dicembre 2020, 20:01

    Di certo una strategia diversa, sfruttando l’ingresso nel 6N, si poteva fare. Tutto si è mosso a rilento, invece che anticipare.

    • Winchester 10 Dicembre 2020, 23:17

      Su questo sono d’accordissimo: dopo il treno del Sei Nazioni, sul quale siamo saliti con i tempi quasi giusti, abbiamo perso diversi altri treni…. e ne sono passati… 🙁

  19. roff 9 Dicembre 2020, 20:26

    Articolo giusto. Il ranking rispecchia la dimensione dell’Italia, al netto delle regole del gioco (leggi giocatori eleggibili). Il rugby è sport antico ma “giovane” (Pro solo dal 1995) poco diffuso fuori dal Commonwealth esclusa la Francia tra le nazioni influenti. Quindi noi abbiamo tutte le attenuanti perché “loro” in fondo sanno che hanno bisogno di noi, piccoli partecipanti al banchetto. Soldi ne girano pochi rispetto ad altri sport, e noi in fondo siamo ricchi, diciamocelo. Io credo che la Georgia o la Romania con 4-5 oriundi/equiparati ci batterebbero alla grande. La nostra dimensione è stata “drogata” dai giocatori di formazione argentina. Perché io credo che quelli di formazione “anglo” non si amalgamino molto nel nostro spogliatoio. Quindi finiti gli argentini per me me i sogni da Tier1 sono finiti. Triste verità.

  20. Ghigno di Bacco 9 Dicembre 2020, 20:29

    Mi scuso se forse scrivo cose già dette ma sono veramente tanti i commenti.
    Ma ci tenevo comunque a dire la mia dopo tanto tempo su questo sito.
    Io penso che il paragone con le home Union sia fuorviante e, peraltro, non si incarica di dare alcuna prospettiva.
    Più calzante sarebbe paragonare il rugby con gli altri sport di squadra in Italia che non siano il calcio.
    Quando il campionato italiano di basket era il più importante d’Europa, eravamo competitivi a livello di club europeo, lo eravamo anche con la nazionale. Questo ragionamento è valido anche per la pallavolo.
    Noi siamo riusciti ad agganciare il treno del 5 nazioni perché negli anni 80 abbiamo finto di essere dilettanti, ma eravamo professionisti con le astuzie fiscali che noi italiani ben conosciamo.
    Appena anche gli altri hanno fatto i professionisti, il divario si è allargato a dismisura.
    Quindi cosa serve all’Italia per essere competitivo? Serve il migliore campionato di club del mondo.
    Cosa serve per avere il migliore campionato nazionale del mondo? Servono i migliori giocatori (specialmente stranieri). Come si possono avere? Con i soldi e con i dirigenti DI CLUB competenti.
    Noi non abbiamo né gli uni, né gli altri.

    • Interza 9 Dicembre 2020, 20:46

      Bravo (in parte) ! Il campionato deve essere la base di ogni movimento anche per attirare giocatori in tutto il territorio che può esserci. Non due franchigie fatte da Inter e Milan oppure Juventus e Torino, piuttosto che Roma e Napoli. Immaginiamoci cosa sarebbe il campionato di calcio senza una Benetton Treviso !

    • Winchester 10 Dicembre 2020, 19:49

      Come si possono portare i soldi ai club? Con molto, moltissimo pubblico.
      I soldi non vengono dai pozzi di petrolio sotto i campi, ma dal pubblico, dall’interesse generale.
      Se vogliamo cambiare l’andazzo, bisogna che andiamo allo stadio, compriamo le magliette, guardiamo il rugby in TV, eccetera eccetera… ma in tanti.

  21. western-province 9 Dicembre 2020, 20:42

    Il ranking dice che siamo dietro a Giappone, Tonga, Argentina, Fiji e Georgia, con le isole Samoa ad un passo.
    Non so di che storia state parlando

    • Interza 9 Dicembre 2020, 20:54

      il ranking è un baraccone, una damigiana ora vuota ora piena. il primo campionato del mondo fu fatto ad inviti. rappresentava un rankig ? probabile. ma non si può basare tutto su una classifica. il ranking migliore e veritiero è quello dei praticanti ! Non so dove siamo, saremo in basso anche li. Ma è per sottolineare che non si può basare su una classifica e un meccanismo matematico per lo piu incomprensibile e anche ingiusto stante che se giocassimo con squadre minori vinceremmo sempre. Io dico signori ma chissenefrega del ranking !! e chissenefrega di suddividere le squadre per categorie. baggianate. conta solo quanti giocano e come giocano. nel nostro caso se giochiamo come potremmo saper giocare non se ci ostiniamo a paragonarci e voler simulare sqaudre che con noi non hanno nulla a che vedere. non saremo mai gli All Blacks neppure se impariamo a memoria e come dei grulli tutte le tecniche dei punti d’incontro, anche quelle sporche. o se mangiamo kiwi invece di pastaasciutta o se ci vestiamo di nero e ci tatuiamo.

      • faurest 10 Dicembre 2020, 10:30

        Il ranking e’ per definizione imperfetto, ma cmq una fotografia indicativa del valore attuale delle nazionali. Come negli altri sport, serve solo a definire i sorteggi dei tornei.
        Ovvio che non puo’ essere lo specchio dello stato di salute di un movimento. Pero’ su un arco temporale lungo (es. 10 anni), visto che la nazionale e’ la massima espressione di un movimento, se una nazione rimane ancorata tra le prime 5, o oltre la decima posizione, beh diventa difficile sostenere che il valore del movimento sia molto diverso.
        Il numero di praticanti e’ ancora piu’ fallace del ranking, altrimenti Cina e Usa sarebbero nazioni top nel calcio, o la Slovenia campione Europea non sarebbe tra le prime 30 nazioni al mondo…
        L’articolo non dice “il ranking e’ la sintesi perfetta di tutto”, quanto piuttosto “non stupiamoci del ranking”…
        Se hai idee migliori di come rappresentare il valore attuale delle nazionali proponile pure! ne discuterei volentieri. Saluti

  22. maxsavo 9 Dicembre 2020, 21:34

    Mah condivido ma non del tutto. Direi che il divario c’è sempre stato, ma che si è visto pure poco progresso nell’era del professionismo rispetto alle altre con le quali negli anni prima ce la siamo pure giocata qualche volta (vedi Argentina)

  23. Fabio1982 9 Dicembre 2020, 22:53

    Per me l’Italia è migliorata, ma non abbastanza. Io non dimentico gli anni in cui non mettevamo 2 (dico 2) passaggi in fila, perdevamo il pallone in avanti a ogni contatto, e così via… Io non ho mai visto l’Italia passeggiare su un’avversaria più debole come nella partita contro il Canada.
    Il fatto è che le altre 5 nazioni sono migliorate molto più di noi, e quindi si è creato un divario ancora maggiore.
    Come ho scritto altre volte, vivo in Scozia da più di 5 anni e seguo tanto il rugby lì, principalmente Edimburgo e nazionale ma ogni tanto mi sono trovato a finali del campionato nazionale. Beh, non è che sia tutto questo livello… E, almeno in Scozia, il rugby non è certamente lo sport più popolare…

  24. tifoso ignorante 9 Dicembre 2020, 23:06

    A mio giudizio l’articolo è viziato da una contraddizione di fondo.
    Da un lato punta sulla carenza di humus rugbystico e su un deficit ambientale che richiede generazioni per essere colmato e che di fatto renderebbe impossibile immaginare una crescita di questo sport a livello nazionale in un arco generazionale, dall’altro ipotizza uno spiraglio di luce già nelle nuove leve giovanili che iniziano a farsi apprezzare rispetto al passato.
    Tutti i commenti che ne sono seguiti contengono delle indiscutibili verità, tuttavia occorre cercare un modello di sviluppo che prescinda da una utopistica creazione di un “ambiente” su scala intergenerazionale.
    La grande pecca dell’attuale dirigenza FIR è quella di non aver saputo utilizzare adeguatamente la grande somma di denaro apportata dall’ingresso nel 6Nazioni, perché (piaccia o no) è solamente attraverso un investimento ben indirizzato che si può trainare uno sport che non può essere spinto dalla base.
    Lo sviluppo “dall’alto” in teoria poteva andare bene (creo interesse mediatico attraverso la nazionale, in funzione della quale creo le franchigie, e allargo la base di appassionati e poi di praticanti) ma il vertice doveva essere affiancato da una programmazione con obiettivi chiari, misurabili e verificati nel tempo relativa al coinvolgimento e allo sviluppo della base.
    Perché parallelamente all’accademia per i giocatori non si è creata un’accademia di formazione per gli allenatori (tipo il calcio a Coverciano)? Perché non si è imposta da subito una regola che obbligasse l’iscrizione a referto di un certo numero di giovani come accade ad es. nel basket? Perché non si è creata una tv tematica come accaduto nel tennis, senza costringere gli appassionati a vagare tra abbonamenti a questa o quella tv o piattaforma internet? Perché non si sono coinvolti gli insegnanti di educazione fisica nelle scuole nello sviluppo e nella pratica di uno sport universamente ritenuto formativo, come è stato fatto dalla pallavolo?
    Consideriamo la pluralità di altri sport praticati nel nostro paese un ostacolo allo sviluppo del rugby e non abbiamo l’umiltà di imparare da loro.
    In Italia creare un futuro per il rugby è possibile, ma dobbiamo farlo finché abbiamo le risorse sufficienti grazie al 6 nazioni, poi sarà tutto più difficile. Parafrasando un quotidiano economico viene da dire FATE PRESTO!

  25. TheTexanProp 9 Dicembre 2020, 23:20

    Cioe un articolo filo-federale che non tocca cose importantissime e non fa comparazione con altri sport. Se consideriamo altri sport, molto più minori rispetto al rugby ma dove abbiamo investito decentemente, capirai che questo discorso % di popolazione lascia il tempo che trova, sia a livello statistico che concettuale.

    Lo specchio di questo ranking sono le lacune di una federazione che ha preso soldi, gli ha investiti male, e non ha mai sviluppato il rugby come altre nazionali hanno fatto.
    La cultura rugbystica non è scritta nei geni, non è un tratto complesso che erediti come l’altezza. La cultura le devi sviluppare, se sei in grado di svilupparla e se ne hai i mezzi. Qui i mezzi c erano ma gli insegnanti e i dirigenti fatto pietà.

    Articolo senza senso a mio modesto parere.

  26. Passamano 9 Dicembre 2020, 23:44

    Bellissimo articolo, pieno di verità fattuali che ognuno di noi, per la troppa passione ed attaccamento al movimento nazionale, non vorrebbe sentirsi dire, per non pensare al tempo, tanto, che ci vorrà per vedere toglierci qualche soddisfazione.

  27. Dusty 10 Dicembre 2020, 09:48

    La mia proposta è molto semplice: individuare un’area geograficamente limitata e formata da tre macro zone Friuli e Veneto- Lombardia e Piemonte – Emilia e Toscana. In queste aree far convergere la grande quantità di denaro che arriva per far decollare un rugby professionistico per un vero campionato di qualità. Fare in modo che qui si concentrino le migliori risorse tecniche ed economiche senza disperderle in rivoli improduttivi. Qualcuno dirà: ma la crescita e la promozione del rugby come strumento di crescita e sviluppo territoriale e sociale ? Semplice, per il momento lo accantoniamo e lo riprendiamo in un secondo tempo tipo 5-10 anni ossia dopo che abbiamo creato le condizioni e constatato la presenza di un rugby efficiente e forte nelle aree di cui sopra. Solo quando si è creato un rugby di questo tipo potremo pensare di estenderlo anche alle altre regioni italiane e solo se esse dimostreranno di saper stare al passo senza drenare fondi per usi improduttive. Per fare questo serve ovviamente una federazione che non sia ostaggio dei vari comitati e quindi si può proporre una sorta di commissariamento ad acta. Insomma io credo che quello dia adesso sia un momento di non ritorno ovvero o invertiamo la rotta o altrimenti ci dovremo rassegnare a competere con le squadre di Tier 2 o, finchè ci lasciano, come sparring partner delle Tier 1.

  28. faurest 10 Dicembre 2020, 10:11

    Chi critica l’articolo sembra guardi al dito e non alla luna… Sicuramente le colpe della federazione sono molteplici e i soldi del 6N si sarebbero potuti spendere meglio, ma non saremmo comunque arrivati ad essere – STABILMENTE (non 2 o 3 anni su 10) – al livello di Scozia, Argentina, Fiji.

    Secondo voi se la Scozia avesse vertici FIR farebbe 6 anni di 6N senza vittorie? No, perche’ il movimento e’ talmente radicato a tutti i livelli da avere degli anticorpi a politiche e dirigenti fallimentari. E un movimento cosi’ non si costruisce (solo) coi soldi o con 20 anni di 6 Nazioni.

    • mistral 10 Dicembre 2020, 12:27

      …e quindi, secondo te, le concause responsabili della attuale situazione dove si dovrebbero ricercare (se ne esistono altre/oltre alla insipienza dirigenziale, se ho ben capito)… ?

  29. Parvus 10 Dicembre 2020, 12:27

    sono molto più interessanti i post apparsi che l’articolo stesso che gli ha giustamente scatenati.

    massimiliano e moltissimi altri colgono nel segno!

    bell’articolo, fatto da un filo governativo, che osa molto perché pensa che i forumisti siano scemi…, ma scemi non sono!!!!!!

    parlate delle elezioni in europa che ci hanno visti piallati!
    di minozzi buttato in partita di peso anche se stava male!
    degli arbitri che ci prendono in giro…….
    insomma parlate di rugby e non di aria fritta!
    con le percentuali non si va da nessuna parte.
    quel santo uomo che lo ha scritto (l’articolo) comunque, gli va dato il merito che si è esercitato in un difficilissimo equilibrismo dialettico……., roba da salotti bene con il the e pasticcini.

  30. Giorgio Brera 10 Dicembre 2020, 13:31

    Grazie per l’articolo, con spunti interessanti ma discutibili.
    Il salto culturale che servirebbe all’Italia per poter competere con le potenze più blasonate non è che arriva per volontà divina. Bisogna costruirselo. Lo stesso salto culturale l’hanno fatto diverse nazioni in altri sport e ci sono un sacco di esempi: la Gran Bretagna nel ciclismo, la Norvegia nello sci alpino, gli USA in una marea di sport (penso alla ginnastica artistica femminile) per citarne alcuni. Sempre con qualche aiutinio famacologico forse, ma questo è. L’Italia riugbistica ha avuto tutti gli strumenti per crescere e creare un substrato generazionale su cui costruire per il futuro. I soldi c’erano e ci sono., l’interesse mediatico in qualche momento c’è stato. In più siamo partiti con un vantaggio innegabile persino rispetto alle nazioni storicamente più avanzate. Quando è nato il professionsimo a metà degli anni ’90 da noi, sia pur in piccola misura, c’era già. Avevamo un campionato dignitosamente benestante, con giocatori stranieri che venivano da noi, qualche sponsor dignitoso e addirittura due sponsoroni di peso che avevano deciso di investire pesantemente nello sport. Uno vinceva campionati di Formula 1 l’atro Coppe Campioni di pallatonda. Da quel modesto e rudimentale movimento pro, o se vogliamo semi-pro, si sarebbe dovuto costruire e crescere. Era l’occasaione per far aumentare quello zero-virgola di cui si parla nell’articolo. Due sport per certi versi analoghi per seguito e importanza in Italia come basket e pallavolo sono riusciti, con millemila difficoltà e problemi, a restare a galla e ancora oggi riescono a offrire uno spettacolo più che buono in termini sportivi.
    Il rugby no, ha perso tutti i treni possibili; il 6N, la Celtic, le coppe europee, le molte viste di AB, AUS e SAF in autunno nei nostri stadi pieni, i volti riconoscibili anche dal pubblico mainstream di Sergione e Castro, ecc.
    Di chi è la colpa? Non lo so, ma di solito il problema è il manico. Con tutto il rispetto, ma se la capitale rugbistica italiana è Calvisano non siamo messi benissimo. Per crescere, posti come Padova, Rovigo, Treviso, Parma e l’Aquila erano e sono troppo piccoli. Siamo finiti a Calvisano, 8.471 abitanti. Anche se giocassero tutti a rugby lo zero-virgola si sposterebbe impercettibilmente. Serviva e serve investire per approdare in mercati più interessanti. Non è per simpatia verso i milanesi o i romani, ma è evidente che la crescita deve passare per le grandi città, dove è necessario scalfire il calciocentrismo almeno di quel che serve per rendersi un po’ più visibili.
    A tutto ciò si deve aggiungere che, per forma mentis, per certi versi apprezzabile, ai rugbisti va benissimo restare con quello zero-virgola che li rende orgogliosi di far parte di una catagoria privilegiata: i rugbisti.
    Talmente rugbisti da accettare che non esista una Lega dei club, da accettare che il campionato italiano si chiami TopNumero in sostituzione di un già irricevibile Eccellenza, che sia continuamente messa in discussione la partecipazione al Pro14 e al 6N, che i bilanci federali siano una barzelletta, ecc., ecc.
    Il nostro ranking è lo specchio della nostra storia: vero. Soprattutto della storia degli ultimi 20 anni, perché le occasioni per cambiare la storia, a nostro favore, le abbiamo sprecate. Ah, in primo luogo la FIR e i dirigenti.

    • mistral 10 Dicembre 2020, 14:08

      …condivido in tutto, salvo nel punto (ancora) di addossare quasi esclusivamente ai vertici FIR la attuale situazione deficitaria del movimento… un vecchio adagio politico (cito a memoria di Calamandrei) sempre attuale recita: il 10% dei politici è migliore del popolo, il 10% è peggiore, la rimanenza é’ il popolo… ora, se in 20 e più anni si è passati dalla gestione che oggi si direbbe quasi “illuminata” di Dondi &C. alla attuale, la responsabilità é forse di qualcuno in più del solo Gavazzi & C. … così come in generale siamo passati da una scuola politica che, nel e nel male, ci manteneva a galla nella top-ten mondiale, alla attuale con cui (a partire dal capo del governo, omen-nome) siamo ricaduti in pieno nella italietta dei signorotti locali, baroni, conti, marchesi etc… ma, ancora una volta, la responsabilità non è “solo” di chi governa (che poverino, fa quel che può e sicuramente il meglio di quello che “sa” fare!) ma anche e soprattutto dei governati, governati dico, non sudditi…

      • Giorgio Brera 10 Dicembre 2020, 15:18

        Giustissimo. La FIR è ovviamente l’espressione del “popolo” che governa, mica è germinata da sola 🙂

    • Winchester 10 Dicembre 2020, 23:09

      Non sono sicuro che la ricerca della popolarità nei grandi centri abitati sia la strada migliore per il rugby. Per esempio in Francia non ha funzionato granché, anche con grossissimi investimenti a Parigi e importanti investimenti anche a Marsiglia. Tuttora il cuore ovale della Francia batte nelle cittadine e nei paesini del sud della Francia.
      Alla volte forse bisogna partire dai punti di forza che ci sono e rinforzarli, più che cercare nuovi lidi…

  31. Ovale 10 Dicembre 2020, 14:57

    Mah…nessuno nega che l’Italia si confronta con movimenti rugbystici molto più sviluppati, anzi proprio non paragonabili.
    Nè che è difficile pensare di arrivare un giorno a giocarsela per davvero con Inghilterra e AllBlacks (anche se qualche anno fa gli inglesi se la fecero sotto a Twickenham contro l’Italia).
    Però provare a diventare una mina vagante, contro cui te la devi sudare e ogni tanto capace di qualche exploit non mi sembra un obiettivo utopico, vista la quantità di soldi arrivati e spesi negli ultimi anni. Accettare che vada bene fare da sparring partner perchè ci fanno la gentile concessione di farci sedere a tavola coi grandi anche no, grazie.

    • Winchester 10 Dicembre 2020, 23:26

      A parte che, come detto, in Italia sono arrivati molti meno soldi che negli altri paesi del Sei Nazioni (ma sempre troppi rispetto al pubblico…), sono d’accordo con te che si dovrebbe tornare al tipo di risultati che c’erano prima di COS, quando si vinceva una partita del Sei Nazioni almeno un anno si e uno no… non e’ tanto, ma gia’ meglio di questo digiuno terribile… 🙁

  32. Unforgiven79 11 Dicembre 2020, 10:15

    Ottimo pezzo.
    Dobbiamo infatti ricordare che una Nazione come la Germania (dicesi, la Germania) sa benissimo cos’è il rugby, che ci sarebbe una fetta di mercato importante, sa benissimo di avere 80 milioni di persone e volendo le risorse per far nascere una culla di questo sport, per il quale secondo me sarebbero fisicamente e mentalmente ben predisposti, eppure… niente.

  33. tony 13 Dicembre 2020, 09:59

    Credo che il rugby sia lo specchio di chi siamo vero , ma anche di quello che abbiamo fatto, niente in questo mondo è inalterabile , per cui con un adeguato percorso possiamo e dobbiamo migliorare , a breve certi movimenti sono per noi lontani vedi Inghilterra, Nuova Zelanda , Sudafrica la stessa Francia , ma dobbiamo muoverci con le nostre peculiarità per raggiungerne altri, certo in alcuni ruoli il materiale è carente ci manca l’esplosività degli Isolani , o la potenza dei Sudafricani, cercheremo di integrare con naturalizzazioni ma dobbiamo crearci una solidità tecnica e di senso di appartenenza che non abbiamo , noi abbiamo perso un momento storico negli anni novanta quando al nostro vertice federale c’era Dondi e ai vertiti societari c’erano i vari Gavazzi, Munari, Manghi in quel momento hanno chiuso gli occhi e hanno pensato all’immediato anzichè investire in promozione, sviluppo e creare basi tecniche,…..ripeto si può e si deve migliorare, le basi di reclutamento di paesi come Galles e Scozia non sono tanto diverse dalle nostre e il loro rugby domestico neppure , però hanno lavorato meglio nella formazione anche se ora il divario si è ridotto, e nella gestione dell’alto livello, poi loro appartengono all’elite decisionale che li favorisce .

    • Toto 13 Dicembre 2020, 14:28

      Quel che dice Galimberti, in parte, lo pensavo anch’io, per esperienza indiretta. Alcuni anni fa (parecchi, sigh!) avevo degli amici che praticavano il football americano (ovviamente cercavo di “convertirli” al rugby), giocavano in serie A e appresi che nella squadra c’era un giocatore americano, un ragazzo in Italia non ricordo se per lavoro o studio. Mi dissero anche che la cosa era frequente e in diverse squadre vicine a basi NATO giocavano americani che vi prestavano servizio. è chiaro il perché, un qualsiasi ragazzo americano che in patria poteva aspirare alla serie Z, poteva giocare agevolmente nella nostra serie A. Un ragazzino delle elementary, aveva, all’epoca sicuramente, una “footballcultura” che probabilmente non avevano neppure i ns praticanti, con tutto il rispetto. Ma come giustamente tu e altri rilevate, e umilmente condivido, c’è stata una programmazione errata e un marketing disastroso, che non hanno saputo sfruttare l’eccezionale opportunità dell’ingresso nel 5N. Punto.

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