La rivoluzione francese, quella del 1979

Era il 14 luglio quella volta della prima vittoria dei Bleus contro gli All Blacks in terra neozelandese

francia

ph. Sebastiano Pessina

Quel 14 luglio Patrick Salas lo avrebbe passato lontano da Narbonne, ma sarebbe stato il giorno più memorabile della sua carriera sportiva.

Non lo avrebbe detto l’allora 25enne avanti, al quale già sembrava abbastanza l’essere stato convocato con la Francia per il tour in Nuova Zelanda. Aveva debuttato 7 giorni prima in quella che tutto sommato era stata poco meno di una disfatta per i Bleus, un 23 a 9 a Christchurch che lo aveva visto indossare la maglia numero 5 di una nazionale con ben sei esordienti.

Le cose non erano andate benissimo, e pertanto era stato messo fuori squadra per il secondo test, da giocarsi ad Auckland nel giorno della Presa della Bastiglia. Un giorno che i francesi festeggiano alla grande, tradizione da non dimenticare neanche agli antipodi: ed ecco allora che Salas e gli altri giocatori non selezionati per l’incontro decidono di uscire la sera prima della partita, tornando in albergo a tarda notte, svegliandosi con la bocca felpata e in testa lo stesso rumore di un treno merci che passa in stazione.

Lo aspetta al varco, in sala colazioni, Toto Desclaux, il commissario tecnico. La faccia è dura, ma non ci sono rimproveri in arrivo: “Patrick, oggi pomeriggio giochi numero 8.”

Né più né meno di un lancio di dadi, per la formazione francese, ma non c’è molta altra scelta: la coperta in terza linea è già molto corta a causa di una serie d’infortuni e, in più, quella mattina è caduta una ulteriore tegola. Quando il terza centro titolare Christian Bèguerie è sceso per fare le petit dejeuner, coach Desclaux lo ha incrociato e gli ha stretto la mano per salutarlo. Bèguerie, che voleva giocare nonostante un infortunio proprio alla mano, si contorce improvvisamente dal dolore: la stretta gli ha fatto saltare i punti, ha visto le stelle e del pus giallo è uscito dalla ferita. C’è solo da rassegnarsi, il numero 8 di Agen non può giocare.

Al suo posto è stato scelto Salas, che fino a quel momento aveva giocato più che altro in seconda linea, con alcune escursioni come pilone, in caso di necessità. Sebbene la sua scelta fosse la più estrema, non era l’unica a cui era stato costretto lo staff: Daniel Dubroca esordiva a pilone destro, mentre Robert Paparemborde si trovava ad adattarsi in qualche modo a sinistra; i due centri Codorniou e Mesny erano alla seconda presenza. C’erano insomma, tutti gli ingredienti per una seconda, pesante sconfitta.

Nel 1979, grazie alle prime trasmissioni satellitari, era possibile per la televisione francese mandare in diretta le immagini della partita, ma la convenienza di mandare in onda alle cinque del mattino una partita di rugby dall’altra parte del mondo, per di più una sconfitta annunciata, aveva convinto Antenne 2 a mettere in onda solo la differita del match.

Furono quindi le radio ad informare i francesi che nel primissimo mattino era successo l’impensabile: l’Equipe de France aveva vinto in Nuova Zelanda, con una squadra di fortuna, con soli 4 giocatori reduci dal Grande Slam di due anni prima. Una partita conquistata con la caparbia tipica di una squadra francese restia ad arrendersi, capace di giocare un bel rugby, anche al di sopra del proprio livello.

Patrick Salas disputò un incontro di tutto rispetto, dandosi da fare come una seconda linea sapeva fare: con il lavoro oscuro, i placcaggi, la presenza costante. Racconta Jerome Gallion, il mediano di mischia: “Patrick non aveva mai giocato in quel ruolo. L’ho rassicurato, gli ho spiegato un paio di semplici combinazioni, tipo 8-9, per non confonderlo. Gli ho spiegato dove mettersi in touche, e dove in difesa sulle mischie. Gli ho detto: io prendo il primo portatore di palla, tu prendi il secondo. Era il contrario di quello che facevamo di solito, ma per un terza centro debuttante non abituato ad alzarsi rapidamente dalla mischia, mi pareva più semplice. Gli ho chiesto solo una cosa: quando vedi un All Black, placcalo. E lui li ha placcati.”

Gallion è il primo a suonare la carica: dopo la meta in apertura di Stu Wilson, i francesi riescono a riportarsi sotto nel punteggio grazie all’intercetto del numero 9 su un calcio di liberazione avversario. Quindi, gli All Blacks si fanno sorprendere quando la chioma bionda del capitano Jean-Pierre Rives crea abbastanza confusione da consentire un pallone di recupero per la Francia nella propria metà campo. Il contrattacco è fulminante, e sul calcetto a seguire di Jean-Michel Aguirre piomba per primo, a tutta velocità, il numero 10 Alain Caussade.

E’ una partita caotica, il rugby degli anni Settanta è un caos di palloni impazziti, gesti tecnici eccezionali in un vortice di confusione, corse in spazi che sembrano infiniti.

Un’altra grande corsa di Caussade, su una splendida azione offensiva, stravolge l’assetto difensivo neozelandese e consente al numero 11 Jean-Luc Averous di andare a marcare la terza meta, quella del provvisorio 15 a 10 per la Francia, dovuto anche alla pessima prestazione dalla piazzola di Aguirre, che non riesce a trasformare nessuna delle marcature dei compagni.

Sarà ancora il mediano di apertura a ergersi come migliore in campo, prima con un drop e poi raccogliendo un pallone vagante per servire Cordoniou, dando alla Francia la quarta meta e ben 14 lunghezze di vantaggio.

Gli All Blacks non si danno per vinti e tornano sotto grazie al piede dell’estremo Bev Wilson e alla meta del capitano Graham Mourie, bravo a raccogliere l’offload di uno scatenato Murray Taylor, l’apertura kiwi. E’ così che si arriva all’ultima azione con i francesi in debito d’ossigeno e la Nuova Zelanda sotto di appena cinque punti, sul 24 a 19.

Da una mischia a centrocampo l’azione si allarga fino all’ala, guadagnando grosse porzioni di campo. Stu Wilson fugge sull’out di destra, e calcia in avanti verso il centro quando vede la difesa rinvenire su di lui. La palla gravita in aria per qualche interminabile secondo mentre, come segugi, vi si avventano due maglie nere, in vantaggio sugli avversari. E’ in quel momento che si materializza Frederic Costes, che raccoglie il pallone al volo e lo calcia fuori dal campo, consentendo a tutti i compagni di saltare per aria, festanti.

Un manipolo di improbabili francesi, nel loro piccolo, avevano fatto la storia (del gioco) e una rivoluzione: all’Eden Park di Auckland, Patrick Salas può alzare le braccia al cielo in quel 14 luglio del 1979.

 

Lorenzo Calamai

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