Sei Nazioni 2018, Italia: il cuore non basta, vince l’Inghilterra

Mi scuso se mi “attacco” al suo commento per affermare idee già trite e ritrite che per di più so di non essere condivise dalla maggioranza di chi con passione e competenza maggiori delle mie commenta abitualmente. L’ispirazione viene dal suo riferimento al cucchiaio di legno: magari prendessimo il semplice cucchiaio (ultimo posto)! Sarà accompagnato dal bianco candeggio (tutte sconfitte) e temo proprio che si dovrà inventare un nuovo “premio” per chi terminerà a 0 punti pur avendo la possibilità di conquistare qualche punticino realizzando il bonus difensivo. La mia idea resta sempre uguale: il periodo migliore della nostra Nazionale coincise con l’innesto di nuove forze “speciali” (gli oriundi argentini, quando ancora giocare qui in Italia rappresentava un vantaggio per loro) che andarono a concimare una pianta solida e ben radicata che era il nostro movimento nazionale, storicamente basato sulle rivalità campanilistiche che spronavano chiunque (giocatori, allenatori, dirigenti di società) a dare il meglio di sè per superare le rivali. Il meglio del meglio finiva in Nazionale ed i risultati, finché giocò quella generazione, pur non strepitosi, non mancavano, con la prospettiva di crescere e migliorare anno dopo anno. Toccammo l’apice nel 2013. Da allora molti di quei senatori hanno chiuso i paradenti nel cassetto e si sono ritirati. Oggi il gioco della (multi)nazionale deve essere sostenuto dalle sole forze di chi gioca in due squadre che vivono, o vivacchiano, vampirizzando le altre: chi glielo fà fare agli allenatori ed ai dirigenti delle squadre dall’eccellenza in giù di sputare sangue se tanto si sa che al momento buono sarà loro preclusa ogni ascesa verso i piani alti rappresentati dalle due franchigie celtiche? Ed in un certo modo anche i giocatori vengono penalizzati perché le ribalte da cui mettersi in lizza per la maglia azzurra sono necessariamente solo due, a numero chiuso molto ridotto. Fuori da quelle un giovane di buone speranze ha nullo interesse a lottare per migliorare sè stesso e la sua squadra che, tanto, sa che ben che gli vada potrà attribuirsi un titolo farlocco di campione d’Italia.
So che non è un pensiero condiviso ma lo riaffermo: la rivalità campanilistica è il terreno su cui far sviluppare forti radici ad un movimento che altrimenti sarà sempre come quegli ulivi centenari che vengono strappati alla terra d’origine per essere costretti in grossi vasi, le cui chiome all’inizio sembrano più rigogliose perché l’apparato radicale spinge tutta la linfa in alto (non avendo spazio per allungarsi in basso) ma poi finiscono col rinsecchirsi e morire. Certo è che ci vorranno decine di anni per ricreare tutto quanto distrutto in questi ultimi dieci, ma più tardi si comincerà e tanto peggio sarà.