La parabola di Luca Bigi: intervista al tallonatore di Benetton e Nazionale

Con il reggiano abbiamo parlato delle nuove regole in mischia, i miglioramenti di Treviso e il suo percorso di crescita

ph. Benetton Rugby

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Se il Benetton Treviso può contare su delle fasi statiche di notevole qualità, il merito è anche di Luca Bigi. Tallonatore classe 1991, passo dopo passo il reggiano ha scalato le gerarchie all’interno del club biancoverde e si è piazzato sul gradino più alto, ripetendo questo percorso anche in Nazionale nonostante la compresenza di un certo Leonardo Ghiraldini. Contro Fiji, Argentina e Sudafrica, infatti, era Bigi a vestire la maglia numero 2, a conferma dei grandi progressi compiuti negli anni dal 26enne.

 

La nostra intervista con lui, tuttavia, non poteva non partire dall’ultima partita contro gli Scarlets del Benetton, in cui i Leoni hanno offerto forse la miglior prestazione della stagione per confidenza e qualità del gioco, considerando anche l’espulsione di Minto arrivata nel primo tempo. “A livello caratteriale è stata veramente una partita esemplare, anche per l’impegno messo in campo – ci dice Bigi – È stata una prestazione positiva contro una squadra di altissimo livello, contro cui siamo riusciti a imporci fisicamente, a non subire gli impatti, e ad avere la lucidità di controllare bene le fasi di gioco. Soprattutto siamo riusciti a segnare quattro mete, che non è poco contro una squadra come gli Scarlets”.

 

 

Non è poco soprattutto per una squadra come Treviso, spesso in difficoltà nel concretizzare.

A volte è capitato di avere un po’ di difficoltà, in base anche alle partite. Siamo in grado di creare molte occasioni, ma spesso senza finalizzarle. Invece sabato abbiamo concretizzato anche con delle belle mete, come quella di Hayward.

 

 

Nell’analisi post partita su cosa vi siete concentrati? Avete parlato di quei cinque minuti iniziali in cui non sembravate calati a pieno nel match?

Ci eravamo prefissati l’obiettivo di entrare in campo con l’intenzione di imporci e di far capire subito cosa eravamo andati a fare lì. Questo non è successo, anche per un susseguirsi di vicende. La prima meta è venuta da un errore, poi siamo andati un po’ nel pallone e c’è stata subito la seconda, anche se poi è arrivata immediatamente la nostra reazione. Ci sono stati degli errori anche nella gestione del finale. Abbiamo preso due mete in quattro minuti, cosa che sembra impossibile, ma abbiamo giocato 55’ in 14 ed è stato davvero stremante per i ragazzi che hanno giocato per 60-70 minuti. Sono stati momenti davvero difficili da gestire, viste le tante energie sprecate. Ovviamente si rosica, perché siamo arrivati ad un passo dal vincere una partita in Champions Cup contro i campioni del Pro14. È stata un’impresa sfiorata, come lo erano state quelle contro Tolone e Ulster. Iniziamo a competere con tutte le squadre, siamo ad un passo dal vincere questo genere di partite.

 

 

Spesso sembra essere una questione di dettagli.

Sì, dettagli che però diventano fondamentali, perché poi perdiamo le partite. Parlando solo della partita di sabato, l’aver giocato in 14 per tanto tempo ci ha penalizzato sul lungo termine. Ma è stata anche la scintilla che ha fatto accendere tutti noi e farci dire “Se non ci svegliamo sarà una lunga giornata”. Loro forse si sono sentiti un po’ appagati, e intanto è venuto fuori il carattere che questa squadra sta iniziando a trasmettere.

 

 

Dando uno sguardo complessivo alla vostra Champions, è evidente il segnale che state trasmettendo anche alle altre squadre, ovvero che contro il Benetton non ci sono più cinque punti facili assicurati.

A metà torneo possiamo dire di essere soddisfatti, ma non possiamo certamente accontentarci. Abbiamo reso difficile la vita a tutte e tre le squadre, perché nonostante il punteggio più pesante a Bath (23-0, ndr) abbiamo dominato in mischia, con una meta tecnica non data. Contro Tolone abbiamo gestito bene la partita su tutti i fronti, perdendola poi per un fallo in mischia. D’altronde questo è lo sport. È un ciclo. Stiamo iniziando a capire come lavorare sotto pressione e come gestire questi momenti con la giusta attenzione, ed essere focalizzati sul nostro lavoro senza strafare. Siamo lì comunque, ora possiamo dire davvero di essere ad un passo dal competere davvero con le grandi.

 

 

ph. Sebastiano Pessina

Da fuori spesso si fa fatica a comprendere la portata di questo processo di rinnovamento in corso tra franchigie e Nazionale. Dall’interno, quali sono i cambiamenti più evidenti che notate voi giocatori?

Non so com’era prima, se non per sentito dire, quindi a livello personale non ti posso dare dei feedback. Quello che ho notato in quei 6-7 mesi prima dell’arrivo di Conor O’Shea era una totale sinergia tra lo staff della Nazionale e le franchigie. Si lavora nella stessa direzione. Da parte delle franchigie i risultati stanno arrivando. A Treviso è frutto del lavoro del nuovo staff arrivato l’anno scorso, con cui siamo passati anche per momenti bui e partite negative. Ci sono tante piccole cose che stanno portando noi e le Zebre a fare un discreto campionato. I prossimi due derby saranno due sfide competitive, di spessore e importanti. È bello per tutto il movimento italiano.

 

 

Forse potrebbero essere i derby più belli dell’era celtica, visti i miglioramenti di tutte e due le squadre.

Spero di sì, per tutti noi. Ovviamente sperando di portare a casa il risultato (ride, ndr). Mi auguro di sì comunque.

 

 

A proposito di Nazionale: ti aspettavi di rubare il posto a Ghiraldini? Com’è stato il rapporto con lui in quelle settimane di ritiro?

Beh, rubare il posto, dai (ride, ndr)… Sinceramente no, non me l’aspettavo, sono ovviamente grato della scelta fatta dall’allenatore. Sono rimasto veramente onorato di queste opportunità. Con Leo ci siamo confrontati più e più volte in modo professionale, e sono rimasto contento del suo appoggio.

 

 

Passando alla mischia, invece, come ti stai trovando con le nuove regole che obbligano a tallonare? È cambiato qualcosa nel tuo stile?

Ci sono sensazioni diverse. Sia con Manuel Ferrari che in Eccellenza ero abituato a controllare il pallone ma soprattutto a spingere, non a tallonare e poi provare una seconda spinta per vincere la mischia ordinata. Con l’aiuto di Fabio Ongaro e con la conoscenza del proprio corpo, quindi con i movimenti e la dissociazione tra arto superiore e inferiore, sono riuscito ad arrivare a un controllo con cui mi viene più facile rispetto a prima.

 

 

È un lavoro molto più tecnico ora.

Sì. Puoi essere nettamente più forte della squadra avversaria, ma il pallone deve essere tallonato. Se l’altra squadra esercita una pressione, al momento del tallonaggio è come se ci fosse una persona in meno in mischia. Bisogna essere in grado di trovare l’attimo giusto per tallonare e la posizione ideale, per poi scaricare bene il peso sui piloni. A Treviso abbiamo una buona sinergia, la mischia sta andando abbastanza bene anche a livello di percentuali.

 

 

Da giovane hai trascorso otto mesi a Richmond, in Inghilterra. Qual è il tuo ricordo di quell’esperienza?

A Richmond ho lasciato un pezzo di cuore. È stata un’esperienza incredibile, ho giocato con grandi rugbisti, perché essendo un club storico da lì sono passati sia giocatori a fine carriera che giovani in rampa di lancio, tipo la terza linea dei Wasps Guy Thompson. Ero appena uscito dalla scuola, è stata un’esperienza di vita. Aiutavo un po’ il club, mi alternavo giocando tra seconda e prima squadra. Avevo come punto di riferimento un ragazzo italiano, anche lui rugbista, di Parma. Ho un bel ricordo dell’amicizia che mi ha legato a lui, del gruppo e dell’allenatore che è ancora attualmente a Richmond. Son tornato al club due anni e mezzo fa per vedere una partita. Con i ragazzi capita di sentirci su Facebook. È stata sicuramente un’esperienza indimenticabile.

 

 

Sei arrivato nel Pro12 a 24 anni: è stato un salto arrivato troppo tardi secondo te? O è avvenuto al momento giusto?

Secondo me è arrivato al momento giusto, perché arrivavo da un buon minutaggio in Eccellenza, prima con Viadana e poi con il Petrarca. A Treviso ho avuto un periodo di adattamento di più o meno quattro mesi, in cui non ho giocato tantissimo. Poi sono riuscito a ritagliarmi il mio spazio e ad avere continuità fino a oggi. Sono contento del percorso che ho fatto, non penso che il salto sia arrivato troppo tardi né che sia stato troppo prematuro.

 

 

Ora per te qual è il prossimo step?

Devo e voglio migliorare nell’esplosività, che non vuol dire essere più mobile ma proprio essere esplosivo nel contatto, sia in attacco che in difesa, mantenendo comunque i pregi del giocatore che sono. È la cosa su cui voglio lavorare di più.

 

 

Daniele Pansardi

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