Un break dal Sei Nazioni con Andrea Di Giandomenico. A 360° sul movimento rosa

L’allenatore della nazionale femminile ci ha parlato del torneo in corso, della fiducia nel gruppo e del futuro dell’Italia

sei nazioni femminile

ph. Sebastiano Pessina

La seconda ed ultima settimana di pausa dal Sei Nazioni rappresentava l’occasione ideale per fare il punto della situazione con Andrea Di Giandomenico, l’allenatore dell’Italia femminile che ci ha offerto le sue valutazioni sulle prime tre partite disputate dalle azzurre, con un occhio naturalmente anche ai prossimi impegni, alla Coppa del Mondo e al futuro del movimento italico. Contro Galles, Irlanda e Inghilterra sono arrivate tre sconfitte, ma anche alcuni segnali positivi che fanno ben sperare il coach per il prosieguo del cammino nel torneo, in particolare dopo la prova di Londra: “Nonostante tutto, se ci pensi, con una meta nel finale rischiavamo di portare a casa due punti (la partita sarebbe finita 29-20 o 29-22 e sarebbe stata la quarta marcatura azzurra, ndr). Della prestazione siamo tutti soddisfatti, staff e atlete”. La parola d’ordine, insomma, è fiducia: “Stiamo crescendo in confidenza e siamo ottimisti”.

 

 

Partiamo da un bilancio di queste prime tre partite di un Sei Nazioni che per forza di cose quest’anno è da approcciare in maniera un po’ diversa, visto che ad agosto ci sarà la Coppa del Mondo. Da quali certezze può ripartire questa Italia e su cosa deve concentrarsi per migliorare nelle prossime settimane?

Abbiamo sicuramente visto un’ottima attitudine difensiva. Non è soltanto una questione di tecnica, ma di approccio mentale. Le ragazze si battono fino alla fine, anche sulla nostra linea di meta. Credo che lo spirito difensivo sia una certezza dalla quale partire. In attacco, soprattutto contro l’Inghilterra (meno con Galles e Irlanda) abbiamo visto che quando riusciamo a mettere sul piede avanzante la squadra abbiamo delle qualità che riescono a far male a chiunque.

 

 

Sono arrivate tre sconfitte in parte l’una diversa dall’altra nella forma e per come si sono sviluppate, ma mi è sembrato di vedere un filo conduttore che le ha unite: un gap fisico e strutturale piuttosto importante che ha fatto la differenza, a dispetto di valori tecnici invece più equilibrati

Sono d’accordo con la tua valutazione. Strutturalmente abbiamo ragazze diverse, si nota, per cui dobbiamo fare ancora più affidamento sulla nostra velocità, sul nostro giocare insieme, sull’organizzazione di squadra, sull’anticipare l’avversario sia in attacco che in difesa. Quella è la nostra forza, non lo sfidare da un punto di vista fisico le altre squadre anche se manteniamo una certa consistenza. Dobbiamo puntare sul fare bene le cose e sulla nostra velocità, perché quando lo facciamo riusciamo ad essere efficaci.

 

 

La sconfitta con il Galles è stata un po’ più inattesa se vogliamo, anche perché l’Italia vinceva gli scontri diretti da tre edizioni. Si aspettava una partita diversa?

Sicuramente. Nonostante tutto abbiamo visto che potevamo riuscire ad ottenere un risultato migliore. Sappiamo che fatichiamo sempre un po’ nel prendere confidenza con il livello del Sei Nazioni nelle prime partite, negli anni è sempre stato un punto debole. Con il Galles non siamo riusciti ad avere quella consistenza lungo tutti gli ottanta minuti che ci avrebbe comunque permesso di portare a casa la partita, quindi sicuramente siamo rimasti un po’ amareggiati. Abbiamo visto quelle cose che non sono andate nel verso giusto, ci stiamo lavorando. E c’è una cosa positiva che mi sento sempre di sostenere sulla nostra squadra.

 

 

Quale?

La nostra unica strada è appunto sempre il lavoro: metterci a guardare le cose andate bene e le cose andate male e cercare di lavorare su quelle. Poi i risultati arrivano e in quest’ottica rientra la partita con l’Inghilterra. Come sempre la risposta delle ragazze è grandiosa quando si tratta di mettersi a lavorare e di migliorare le cose che ci sono da migliorare. Questo ci dà fiducia anche in prospettiva Coppa del Mondo, perché la stagione quest’anno si allunga e guardiamo anche più lontano. Non che non ci interessi il Sei Nazioni o che non ci siamo rimasti male per la mancanza di risultati fin qui, perché la fiducia non viene meno e siamo sempre fiduciosi del nostro lavoro.

 

 

Prima hai parlato di mancata consistenza ed efficacia lungo gli ottanta minuti contro il Galles, magari dovuta anche al fatto che loro hanno giocato ben quattro partite prima del Sei Nazioni, mentre l’Italia nessuna. Vista da fuori, non aver giocato test match è sembrato influire sulla fluidità del gioco, sulla coralità della manovra e sull’organizzazione in campo…

Ovviamente non posso che darti ragione. Va da sé che più opportunità hai di misurarti ad un livello internazionale, più sei confidente con il gioco. È normale. La situazione è questa, ora è inutile concentrarci su quello che non è stato ma su quello che abbiamo. Più si gioca e meglio è, e nel corso degli anni la crescita della squadra è avvenuta attraverso l’esperienza fatta durante le partite. Più degli allenamenti sono state le partite che hanno costruito questa squadra. Il vero momento di verifica è sempre stato la partita, quindi è normale che ci sia necessità di giocare. Ma questo lo vediamo a tutti i livelli.

 

 

Tra due settimane c’è la Francia, poi la Scozia: quali aspettative ha per questo finale di torneo e quanto ha intenzione di sperimentare, sempre in ottica Mondiale, sia a livello di formazione da schierare in campo che a livello di strategie?

Dei cambi già ci sono stati, continuano ad esserci e alterniamo i minutaggi delle ragazze. L’approccio sarà questo, per quanto riguarda l’allargamento della rosa e per far fare più esperienza possibile a tutte. Sicuramente la partita con l’Inghilterra ci ha rincuorato, perché abbiamo dato la dimostrazione a noi stessi che siamo in grado di fare bene determinate cose. Ora l’obiettivo è quello di concretizzare anche con un risultato il lavoro che stiamo facendo. La Francia è già a quota due sconfitte in tre giornate, ma è una squadra fortissima, al pari dell’Inghilterra e anche di più perché alla fisicità aggiunge anche una capacità di gioco superiore rispetto alle inglesi. Non sarà facile. La Scozia lavora bene da anni, ha vinto con il Galles e sappiamo che lì sarà una partita molto dura, però anche noi stiamo crescendo in confidenza e siamo ottimisti. Noi per primi vogliamo che arrivi anche qualche risultato.

 

 

Galles e Scozia sono le due nazionali a cui l’Italia guarda principalmente in ottica vittorie nel torneo: entrambe hanno dimostrato di essere in crescita (soprattutto la Scozia), ma anche tutte le altre sembrano aver alzato l’asticella. L’Italia invece a che punto è nel suo percorso?

Noi abbiamo già fatto quell’importante passo in avanti che ora sta facendo la Scozia. All’inizio i passetti sono molto più grandi, poi per migliorare di poco ci serve uno sforzo maggiore. In questi anni abbiamo legittimato la nostra crescita. Tra le nazionali di seconda fascia siamo riusciti ad avere una posizione rilevante ed è già un ottimo progresso. Dobbiamo consolidare questa posizione dietro alle migliori, e fare quei piccoli sforzi in più per cercare di agganciare addirittura le squadre di prima fascia. La partita di Londra ha dimostrato che purtroppo c’è questo gap fisico, perché si è visto quando l’Inghilterra ha accelerato nella seconda parte del primo tempo, però credo sia molto positiva la reazione e la determinazione nel restare attaccati alla partita e al risultato. È un po’ lo specchio della situazione e ne siamo perfettamente consapevoli, ma – ti ripeto – siamo anche consapevoli della nostra forza e andiamo avanti con fiducia nel nostro lavoro.

 

 

In generale, l’impressione però è che le altre nazioni abbiano più mezzi per crescere più velocemente. Può essere una preoccupazione per il futuro?

Sicuro. Sono corsi e ricorsi storici dei quali dobbiamo fare tesoro. Nella formazione, il viaggio non si conclude mai. Bisogna sempre aggiungere e avere la capacità di continuare a lavorare per la crescita. Nel momento in cui pensi di aver raggiunto un traguardo, avere l’idea di essere arrivati e di poterci fermare è un errore. È un qualcosa su cui bisogna riflettere e per cui trovare la strategia migliore, anche perché non c’è una sola strada per farlo. Bisogna continuare a lavorare e ad incrementare il lavoro, perché tutti lavorano e tutti crescono e noi non possiamo permetterci di essere arrivati al traguardo. Questo penso sia alla base di ogni cosa.

 

 

In campo si sono visti alcuni volti nuovi, anche in vista della Coppa del Mondo: quanto è difficile per le ragazze esordienti adattarsi ad un contesto di più alto livello rispetto alla Serie A?

C’è un inserimento graduale, perché è normale che ci siano ritmi e pressioni diverse. Però ho sempre sostenuto che una delle grandi forze di questo gruppo sia quella di saper accogliere in maniera splendida le nuove, di farle sentire subito a suo agio e di far avere confidenza con il lavoro che stiamo facendo. Siamo molto soddisfatte delle ragazze che cominciano a mettere minuti nel loro bagaglio. Anche con qualche errore e con qualche incertezza stanno rispondendo bene. Ovviamente avere ragazze di esperienza internazionale è importante. Noi abbiamo una buona miscela di giovani ed esperte, poi ripeto che le nuove si integrano bene e in campo si vede.

 

 

Cosa possono portare invece le ragazze che giocano all’estero?

Aggiungono esperienza. Si arricchiscono anche come persone e persone più ricche fanno anche giocatrici migliori, questo l’ho sempre sostenuto. Mi sento anche di difendere però anche le giocatrici che sono sempre rimaste in Italia, come Sara Barattin e tante altre, perché anche se giochi in Italia puoi raggiungere grandissimi livelli internazionali. Sono il primo che incentiva le esperienze internazionali, però allo stesso tempo sostengo molto le ragazze che giocano in Italia e soprattutto i club, che pur con grandi sforzi permettono alle ragazze di allenarsi bene; c’è una maggiore attenzione nella proposta tecnica e nella preparazione fisica, il campionato italiano sta innalzando il suo livello e questo è merito di tutto il movimento femminile. Noi siamo molto orgogliosi di poter essere i portavoci di quella parte oscura che dà vita al nostro movimento.

 

 

Hai citato Sara Barattin: credo stia disputando un Sei Nazioni fantastico a livello di ritmo, presenza in campo e anche per quel lead by example che viene sempre associato a Sergio Parisse per gli uomini. Nel secondo tempo contro l’Inghilterra lanciava anche le touche…

Nel momento in cui Silvia Gaudino, il capitano precedente, per via della maternità ha momentaneamente abbandonato la squadra, la scelta è caduta su Sara proprio per la sua capacità di essere un leader proprio per quello che fa in campo, per come è trascinante quando gioca. Ho sempre cercato di non parlare dei singoli, perché sono fermamente convinto che la vera forza della nostra squadra sia il gruppo. Poi al suo interno ci sono delle individualità che ci aiutano a fare la differenza: Sara Barattin è una di queste, ma la lista è lunga e siamo sicuri che non possiamo fare a meno di nessuna delle nostre ragazze. Poi è ovvio che se mi parli di Sara Barattin, per me è la più forte ma non solo in Italia… Sta a suo agio su un campo da rugby. Credo che sia l’atleta che ogni allenatore vorrebbe.

 

 

A proposito di Coppa del Mondo: nell’ultima intervista rilasciata a On Rugby a gennaio hai detto che stavate lavorando per alcuni test pre-Mondiale, che sarebbero fondamentali. A che punto è l’organizzazione, avete già prestabilito un numero di partite da giocare?

Non so ancora risponderti. So che i nostri capi settore sono attivi sul cercare la migliore organizzazione possibile, ma non ho ancora notizie certe.

 

 

Sia a Jesi che a L’Aquila ci sono state delle belle cornici di pubblico, con spalti quasi pieni a testimoniare l’interesse crescente verso la nazionale. L’Alto Livello può essere davvero un traino per tutto il movimento, o rischia solo di distogliere l’attenzione dalla base e quindi dai campionati nazionali?

In parte credo di averti risposto prima. Vediamo l’affetto, la partecipazione e anche la curiosità, perché per tanti molto spesso può essere la prima volta che si avvicinano allo sport e dicono “oh, non me l’aspettavo” (ride, nda). Ovviamente si combatte anche con un minimo di pregiudizio, che non vuole essere neanche cattivo ma che è normale per chi non conosce all’inizio. Ci va piacere che queste persone rimangano piacevolmente sorpresi. Per tornare alla tua domanda, sicuramente il vertice è trainante e ribadisco quanto noi siamo orgogliosi di essere l’espressione di tutto il movimento, ma sappiamo bene che non possiamo scollegare Alto Livello e base.

 

 

di Daniele Pansardi

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