Top14 (ed Espoirs), Premiership, Pro12, Sei Nazioni…Tutto con Leonardo Ghiraldini

Lunga intervista con il tallonatore padovano. E i temi toccati sono davvero tanti

ghiraldini italia sei nazioni

ph. Sebastiano Pessina

84 caps lo rendono di fatto uno dei senatori dello spogliatoio azzurro. E dopo gli anni alla Benetton e le stagioni a Leicester, Leonardo Ghiraldini ha riattraversato la manica per fermarsi a Tolosa, nuova tappa di una carriera in cui si è da sempre distinto per professionalità ed etica del lavoro. In questa lunga chiacchierata (realizzata alla vigilia di Inghilterra-Italia che ha saltato causa infortunio al piede dell’ultimo minuto), facciamo un giro per Ovalia assieme al tallonatore padovano toccando tantissimi argomenti: la differenza tra i tornei dell’Emisfero Nord, il dopo Novès a Tolosa e il rapporto del club con i giovani Espoirs, per poi arrivare al capitolo Nazionale e Sei Nazioni.

 

 

Partiamo da Tolosa. Come sta andando l’esperienza in Top 14?

Mi sto trovando molto bene. Purtroppo in classifica dopo le ultime sconfitte contro Pau e Montpellier siamo scivolati in ottava posizione, ma anche quest’anno il Top14 si sta confermando molto equilibrato, con sei/sette squadre molto vicine e vincere una partita o perderla determina anche quattro posizioni in più o in meno in graduatoria. Per dire, con una vittoria contro Pau saremmo quinti ora…

 

 

Quali differenze hai notato rispetto a Pro12 e Premiership?

Tolosa cerca di avere un gioco in un certo senso ancora vecchio stile, spumeggiante, tenendo il pallone vivo evitando di passare per la ruck, cercando l’offload: un gioco molto imprevedibile e in cui attacca spesso anche dalla propria metà campo. In generale il campionato francese richiede grande fisicità e una presenza in touche e mischia che definirei enorme: sempre nel rugby le fasi statiche sono il punto di partenza, ma in Top14 se possibile ancora di più. C’è davvero tantissimo focus e anche a Tolosa facciamo grande affidamento su di esse: ciò ha permesso anche di giocare partite di grande spessore in Europa. In generale poi, in Premiership il gioco è più strutturato, le squadre adottano stili di gioco in cui c’è più struttura e che valorizzano l’organizzazione collettiva più che l’iniziativa individuale fuori dagli schemi. E se in Francia ho trovato maggiore fisicità, in Inghilterra forse c’erano maggiore intensità e velocità. Poi certo, ogni partita è un caso a sé, sono tendenze generali. Contro Clermont e Tolone, l’intensità è molto alta…

 

 

In Champions vi aspetta un quarto davvero tosto…

Contro Munster fuori casa non sarà facile, ma l’obiettivo è andare a Limerick e fare il possibile per portare a casa il match. Anche se il rammarico per le partite non vinte contro Wasps e Connacht è grande. Poi c’è il campionato, che dopo la pausa riprenderà contro La Rochelle. Altra partita combattuta.

 

 

Il Top14 si sta confermando un campionato combattutissimo. C’è un maggior livellamento tra le squadre?

Anche in Inghilterra negli ultimi anni c’è stata grande concorrenza portata da squadre diciamo meno blasonate. Basta pensare alla crescita di Exeter, che qualche anno fa non era una squadra da semifinali. In Francia però è incredibile: puoi perdere contro una delle ultime in classifica e vincere subito dopo contro la prima, come ci è capitato con Grenoble e Clermont. In generale c’è meno differenza, fino all’ultimo ci sarà anche quest’anno grande battaglia e tutto ciò rende il campionato affascinante. Poi c’è da dire che alla lunga incide molto la profondità della rosa: considerati i primi 15/23 giocatori, ogni squadra in Francia può ambire a posizioni alte. Poi infortuni e profondità aiutano a non avere cali e hanno un ruolo importante nel determinare i rapporti di forza.

 

 

Come sta vivendo e organizzando Tolosa il dopo Novès?

In tutti i club ci sono dei cicli. Tolosa ha vinto tutto, in Europa e in Francia, con giocatori enormi e un tecnico come Novès capace di vincere e confermarsi per tantissimi anni. Ora c’è un cambio generazionale in corso, se ne sono andati giocatori come Picamoles o Clerk, e Servat è passato nello staff tecnico, anche se qualcuno della vecchia guardia c’è ancora come Dusautoir, Albacete o Census Johnston. Certo è che la società può contare su giovani di grandissimo livello e una delle cose che più mi ha impressionato è la capacità di guardare al lungo termine, lavorando molto anche per progettare una squadra che sia competitiva negli anni a venire.

 

 

Che dialogo vi è tra Espoirs e Prima Squadra?

Il rapporto è costante. Ci si allena insieme, i giocatori sono progressivamente inseriti e c’è un continuo confronto. Per un giocatore di 19/20 anni, potersi allenare quotidianamente con la Prima Squadra, è un’occasione unica e un grande stimolo. Penso per esempio ad un giovane pilone che prova gli ingaggi con giocatori internazionali di fronte a lui, ma ci sono anche allenamenti collettivi contrapposti. Penso ad un giovane pilone come Baille, per esempio, passato in pochi anni dagli Espoirs ad una maglia da titolare nel Sei Nazioni, che dimostra la capacità di formare un giocatore.

 

 

Tolosa in passato ha vinto tantissimo in Europa e in Francia, e un blocco forte rossonero con la maglia della Francia vinceva il Sei Nazioni 2010 e arrivava in finale al Mondiale 2011. La stessa cosa succede ora con Glasgow e la Scozia, i Saracens e l’Inghilterra, Leinster e Munster con l’Irlanda…E’ una cosa automatica?

Di più, è una cosa necessaria. Tanto più per noi, che abbiamo giocatori provenienti per la grande maggioranza da due franchigie. I giocatori inglesi si distribuiscono in 12 club, noi in due squadre appena, quindi è fondamentale. Ricordo il Sei Nazioni 2013, con due vittorie e una prestazione importante proprio a Twickenham; era anche l’anno in cui la Benetton arrivò settima in Pro12 con una percentuale altissima di vittorie casalinghe oltre ai successi esterni di Edimburgo e Llanelli e il pareggio a Belfast. Se un giocatore è abituato a vincere o comunque a competere, a livello fisico e mentale, allora in Nazionale riuscirà ad esprimersi a certi livelli. Poi chiaro che c’è un surplus, dato dal lavoro degli allenatori a dal loro stile di gioco, ma dieci partite internazionali si allenano in dieci settimane: tutto il resto dell’anno si trascorre al club e la crescita deve avvenire lì e completarsi in Nazionale. Non basta che un giocatori cambi una maglia perché si trasformi, anche perché il livello internazionale è un gradino più in alto e serve ancora maggiore preparazione.

 

 

Dopo quasi tre anni lontano dall’Italia, cosa ti sta dando l’esperienza in due club come Leicester e Tolosa?

Personalmente molto. Già prima ci sarebbe stata l’opportunità ma per vari motivi non ho scelto la strada dell’estero. Diciamo che sono arrivato a Leicester in un momento della mia carriera in cui come persona e giocatore ero già relativamente formato, anche se ovviamente in Inghilterra prima e in Francia ora sono maturato molto e non si smette mai di imparare. Mi ha dato la possibilità di confrontarmi con realtà professionali e attente, che impostano il proprio lavoro per vincere e in cui respiri successo, in cui si sa cosa bisogna fare per vincere. Ai Tigers in particolare ho capito quanto sacrificio devi fare per raggiungere i risultati: ricordo che certi allenamenti erano più intensi e duri della partita, l’attenzione verso i dettagli incredibile e la ricerca della perfezione costante. Credo che una delle chiavi degli attuali successi dell’Inghilterra siano proprio gli altissimi standard che i club si impongono nel lavoro quotidiano. E tutto ciò ti permette di giocare al meglio a livello internazionale.

 

 

E’ anche in quest’ottica che vanno lette le due sconfitte dell’Italia nelle prime due giornate del torneo, soprattutto quella contro l’Irlanda?

Loro sono stati bravi a spingere da subito, con 25 minuti a tutta. Noi in alcune situazioni non siamo riusciti a toglierci di dosso la pressione. Ci sono partite che possono iniziare anche in quel modo, ma poi devi essere bravo a sfruttare quei momenti che possono bloccare o cambiare l’inerzia. La nostra meta con giallo era uno di quelli, invece poi dal restart abbiamo perso palla e ricominciato a subire. Ma anche altri piccoli momenti possono aiutare a scrollarsi di dosso la pressione: una mischia, una touche da vincere nella loro metà campo…Tutte cose che possono cambiare l’inerzia di un match. Poi certo, non dico che avremmo potuto vincere noi di 50 punti, ma in qualche modo restare più vicini e in partita.

 

 

E’ più difficile riconoscere questi momenti o giocarli al meglio senza percepirne pressione e importanza?

E’ un mix di cose. Ci sono giocatori che per ruolo di leadership li capiscono, ma comunque è un fatto che riguarda la responsabilità e la capacità di performare di tutti, indipendentemente dal fatto che prima vi sia stato un errore, che sia una touche particolarmente importante, che una mischia sia a metà campo o ai 5 metri…E’ importante che l’intensità del gioco non cambi e non venga influenzata.

 

 

 

La sensazione era che l’Irlanda fosse proprio di un altro livello…

Certamente alla lunga sono mancate delle cose, loro erano più preparati e noi siamo arrivati alla fine più stanchi…Però non ci sono differenze tali da giustificare un simile passivo. Tutti noi, anche i più giovani e anche chi arriva magari da situazioni di club più difficili, dobbiamo capire che una partita è fatta di momenti, e tutti esigono la medesima intensità fisica e mentale. Questo è un punto su cui coach O’Shea insiste molto, mantenere una costanza nella nostra prestazione e non subire gli errori. Spesso dopo un nostro errore ne seguono altri, poi arrivano le punizioni e subiamo la pressione fino a che il pallino del gioco passa agli avversari, un po’ come successo nel secondo tempo contro il Galles.

 

 

Un errore ha un peso specifico maggiore nell’economia della nostra partita, rispetto allo stesso errore fatto dall’avversario?

Spesso all’errore, soprattutto quello più grande ed evidente, si arriva perché prima ve ne sono stati altri più piccoli. Un placcaggio sbagliato si nota di più, ma può essere forzato da un’uscita dai 22 non ottimale, una rete che sale in modo approssimativo fino ad un 1 contro 1 deficitario. Dobbiamo essere esigenti con noi stessi a partire da questi errori minori che poi ne evidenziano altri superiori. Conor e lo staff stanno trasmettendo questa esigenza che è enorme, anche grazie ad allenamenti di intensità molto elevata. Questo è ciò che richiede l’alto livello e ciò a cui dobbiamo prepararci. Purtroppo le sconfitte pesanti fanno veramente male, ma stiamo costruendo qualcosa di importante per il futuro e tutto ciò deve essere uno stimolo ulteriore.

 

 

di Roberto Avesani

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