Alla Women’s Rugby World Cup per competere: parola di coach Di Giandomenico

Abbiamo intervistato il tecnico della Nazionale Femminile. Che presenta un 2017 importantissimo

italia femminile nazionale rugby

ph. Sebastiano Pessina

I prossimi otto mesi saranno davvero importanti per il rugby italiano femminile, con la Nazionale che affronterà prima il Sei Nazioni di categoria ma soprattutto la Women’s Rugby World Cup, in calendario ad agosto in Irlanda. Una manifestazione prestigiosa e a cui la squadra allenata da coach Di Giandomenico è arrivata grazie al risultato combinato nelle ultime due edizioni del Sei Nazioni. Ad un mese dall’esordio nel torneo, abbiamo intervistato il tecnico della selezione azzurra.

 

 

Quanto sono importanti i prossimi otto mesi per il movimento Italia femminile?
Il 2017 ha un’importanza per noi incredibile. Il Mondiale è un obiettivo che inseguivamo da molti anni, basta pensare che l’ultima partecipazione dell’Italia risale all’edizione del 2002. Ma in tutti questi anni abbiamo dimostrato che possiamo stare nel gruppo delle grandi: la mancata qualificazione del 2014 è stata davvero un colpo duro per tutti, ma come si dice a volte le sconfitte aiutano più delle vittorie. Abbiamo preso consapevolezza del lavoro che avremmo dovuto fare, ci siamo messi sotto e abbiamo raggiunto il nostro obiettivo. Ma ora viene il bello: non ci basta partecipare, vogliamo esprimere il nostro rugby e competere.

 

 

Il Sei Nazioni è un momento fondamentale anche per preparare il Mondiale…
Ci muoveremo su un doppio binario. Uno sguardo sarà concentrato sul torneo, perché è prestigioso e perché ogni volta scendiamo in campo per vincere e migliorare la nostra prestazione. Contemporaneamente però guarderemo all’impegno iridato: questo Sei Nazioni è una parte fondamentale nella preparazione della Coppa del Mondo e la volontà è anche quella di allargare la rosa per arrivare ad agosto con il maggior numero possibile di atlete tra cui scegliere per affrontare la manifestazione.

 

 

Quali altri tappe prevede la preparazione iridata?
Nel corso dell’estate c’è un calendario di raduni e lavoro presso le strutture delle Accademie, per ottimizzare la nostra preparazione. Stiamo anche lavorando per organizzare le amichevoli, cosa che logisticamente non potevamo fare prima dell’estrazione dei Gironi.

 

 

A proposito dei Gironi, poteva andare peggio…
Se ragioniamo per fasce, nella prima ci sono squadre molto forti e una vale più o meno l’altra. L’Inghilterra si presenta da detentrice del torneo, ma con gli anni abbiamo dimostrato di poter confrontarci quasi alla pari, come lo scorso anno ad Ivrea. Anche se poi quando arriva il Mondiale l’Inghilterra aumenta la solidità della propria squadra…Per quanto riguarda la seconda fascia, potevano capitare l’Irlanda padrona di casa o Nuova Zelanda e devo dire che con gli Stati Uniti siamo stati fortunati: le statunitense sono fisiche ma a livello di gioco e organizzazione possiamo dire la nostra. La Spagna infine è una squadra veloce anche per l’esperienza del Seven, ma non siamo preoccupati. Anche gli altri devono fare i conti con noi, in questi anni al Sei Nazioni abbiamo dimostrato cose importanti. Dovremo essere bravi a gestire la competizione nel corso della fase a Gironi, ma per il resto noi tecnici siamo consapevoli dei nostri mezzi, così come lo sono le ragazze.

 

 

Evitare la fascia 9-12 è un obiettivo?
Non ci vogliamo accontentare e dobbiamo avere l’obiettivo più alto possibile. Non facciamo calcoli, sappiamo che dobbiamo alzare il livello della nostra prestazione e poi i risultati arrivano di conseguenza.

 

 

Anche perché a gennaio siete la settima forza del ranking…
Dà molta soddisfazione. Poi certo, i ranking lasciano il tempo che trovano ma questo è il riconoscimento del lavoro che le ragazze hanno portato avanti. Le vere protagoniste sono loro: quando si parla dei risultati della Femminile, si parla di un gruppo motivato di atlete che hanno lavorato duramente per arrivate al settimo posto del ranking. Non è un exploit ma un cammino costante in cui sono stati fondamentali la consapevolezza dei propri mezzi, gli obiettivi e i comportamenti. Ci sono stati momenti alti e bassi, come la non qualificazione agli scorsi Mondiali. Ma abbiamo saputo reagire.

 

 

Parlava di allargare la base. In questo senso che risultati danno i tornei domestici?
Ho la fortuna di girare nei club del Campionato a 15 e della Coppa Italia. I numeri sono in fortissima crescita e si è creato un circolo virtuoso: i successi della Nazionale chiamano ragazze al campo, più atlete significa che la base e il livello aumentano in quantità e qualità. Tra i club c’è sempre più attenzione per la gestione del settore femminile, con investimenti per tecnici e preparatori atletici. I club investono nel femminile, i tecnici federali lavorano per lo sviluppo nel territorio e c’è un obiettivo comune a più livelli della piramide, di cui la Nazionale rappresenta la punta.

 

 

Alla Serie A partecipano sempre nuove squadre. Che all’inizio faticano e non poco…
E’ il prezzo da pagare. Però per esempio anche il Valsugana è partito così (un’unica vittoria all’esordio nel 2009, ndr) ed è arrivata al titolo nel giro di sei stagioni. E andare avanti nonostante i passivi pesanti, evidenzia la fortissima motivazione delle squadre. Lavorando bene gli obiettivi si raggiungono.

 

 

A livello giovanile dove si stanno concentrando gli sforzi?
La categoria su cui si punta è l’Under14, una fascia d’età importante da coinvolgere perché è la categoria che manca tra il minirugby in cui si gioca a squadre miste e l’Under16.

 

 

Tre ragazze in orbita nazionale sono andate all’estero per vivere a Londra e giocare con le Harlequins Ladies. Da tecnico come valuta questa scelta?
Stanno arricchendo la propria vita non solo dal punto di vista rugbistico e una persona più ricca è un atleta più ricco. Per questo non posso che essere contento, anche perché si stanno confrontando con metodologie di lavoro e allenamento diverse. Però una cosa tengo a sottolineare, che anche con le squadre italiane si raggiunge un alto livello di gioco. Complessivamente considerata l’esperienza all’estero è importante, ma se considerata solo per motivi rugbistici non è fondamentale per raggiungere l’alto livello. Penso a Silvia Gaudino, Sara Barattin ed Elisa Cucchiella, che hanno sempre militato in Italia raggiungendo altissimi livelli internazionali.

 

 

Per quanto riguarda invece il rugby Seven come si sta lavorando?
Personalmente sto seguendo l’Under18 Femminile, il cui obiettivo è anche quello di anticipare l’attività internazionale in modo che le ragazze capiscano le esigenze personali e collettive del rugby internazionale. In generale penso che serva grande attenzione nel portare avanti Seven e quindici: per chi non ha i numeri per fare gruppi separati è una questione di potenzialità e scelta. Ci sono esempi diversi in giro per l’Europa: dall’Irlanda maschile che non punta troppo sul Seven, all’Olanda che ha abbandonato quasi completamente il XV non centrando però la qualificazione ad Olimpiadi e World Series e che ora si trova in grande difficoltà su entrambi i fronti. Serve una via ottimale per lo sviluppo e un’adeguata programmazione.

 

 

Mischiare i gruppi è una soluzione?
Dipende da caso a caso. Non possiamo permetterci di abbandonare il XV: se mettiamo le nostre migliori giocatrici tutte nel Seven, sicuramente formiamo una squadra molto forte e competitiva. Ma al prezzo di levare forze importanti al XV, che va in campo al Sei Nazioni e al Mondiale. E’ una discussione strategica e la stiamo facendo: sappiamo che il programma Seven va valorizzato, ma bisogna capire qual è il modo migliore per farlo.

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