Interviste Delinquenti, Parisse: “Con gli All Blacks botte vere. Come quelle di Stoica e Favaro…”

Il capitano azzurro si racconta ai Delinquenti prestati al mondo della palla ovale nella nuova rubrica di OnRugby: le Interviste Delinquenti

sergio parisse delinquenti ovali
Una nuova rubrica in collaborazione con i Delinquenti prestati al mondo della palla ovale: le Interviste Delinquenti proveranno a mettere in risalto il lato umano e delinquenziale dei nostri beniamini della Nazionale Italiana di Rugby. Non le solite domande: andiamo a scoprire chi sono veramente i ragazzi che indossano la maglia azzurra.

 

C’è o c’è stato un avversario che non ti fa o faceva chiudere occhio sapendo che il giorno dopo lo avresti incontrato?
Bah, non chiudere occhio no. Devo dire che ho avuto la fortuna di giocare diverse volte contro gli All Blacks e la vigilia di una partita contro di loro non è mai semplice. Non è una partita come tutte le altre. Credo personalmente che sia la squadra che a livello fisico, a livello di botte, nelle ruck e nelle maul, proprio nel contatto fisico, più dura in assoluto. Prima di una partita con gli All Blacks sei consapevole che il giorno dopo sono botte, non quelle che ci diamo di solito, sono le botte vere. Devo dire che comunque ci divertiamo: alla fine le riceviamo ma bisogna anche darle, quindi…

 

Meglio un terzo tempo super alcolico in Irlanda o una rissa alle Fiji?
Non è male come paragone… Non ho mai presenziato a una rissa nelle Fiji ma i figiani li ho visti molte volte belli carichi. Ho avuto però la possibilità di fare un terzo tempo in Irlanda e devo dire che se possibile preferisco un bel terzo tempo lì da loro.

 

Segreti di spogliatoio: chi è il compagno di nazionale più esuberante nel post gara (compreso il terzo tempo)?
Potrei dirti Castrogiovanni ma è un po’ scontato, lo conosciamo un po’ tutti e a lui piace essere allegro dopo le partite. In nazionale c’è un ragazzo di nome Simone Favaro, non so se lo conoscete (ride ndr). Anche lui in campo si dà da fare, è un gran bel giocatore, ma anche nel terzo tempo non è male. Soprattutto nell’approccio con le ragazze… pensa che al mio matrimonio è venuto con il kilt. Giocando a Glasgow crede di essere scozzese: è arrivato a Roma con 35 gradi, con il kilt… puoi immaginare alle 5 della mattina come è finita. Poi ovviamente sotto il kilt niente, da vero scozzese…

 

Insomma, un grande spettacolo…
Eh… (ride ndr)

 

Il compagno di Nazionale che non vorresti mai dover placcare è quello da cui non vorresti mai ricevere un placcaggio.
Mai dover placcare… ovviamente io ti parlo della mia storia e dei diversi anni in cui ho fatto parte della nazionale. Mi ricordo che all’epoca Stoica da placcare era durissimo. Quando ti veniva incontro in velocità erano cazzi. E’ quello che in questi anni mi ha impressionato di più. Ricevere un placcaggio: ultimamente sicuro Simone Favaro. A vederlo così uno dice che ha un fisico da sfigato, noi lo prendiamo sempre in giro… ma è uno che si fa sentire, si sul placcaggio si fa sentire.

 

Sottomano: tu sei un portatore sano di questa meravigliosa malattia. Ci spieghi come è avvenuto il contagio?
Diciamo che è più una predisposizione genetica… Fin da piccolo ho sempre avuto la palla da rugby in mano, facevo i passaggi con mia sorella e cercavo di inventarmene di nuovi, andavo dal classico, al sottomano, a quelli dietro la schiena. Fin da bambino mi è sempre piaciuto giocare con il pallone. Poi ovviamente fare certi gesti in allenamento è un conto: quando ci alleniamo facciamo tutti i tipi di passaggi, poi in partita è più difficile, si corre un rischio. Sai bene che in queste situazioni se fai un buon sottomano sono tutti li a dirti bravo, al contrario ti dicono: ‘Guarda questo cretino poteva fare un passaggio più semplice’. Diciamo che tecnicamente è un gesto che alcune volte è necessario fare, come lo scorso anno in semifinale contro Toulon: ero in sprint verso la bandierina, avevo due avversari che mi venivano incontro e l’unico modo che avevo per dare la palla al sostegno era attraverso il passaggio dietro la schiena. Partiamo dal presupposto che tutti i gesti che faccio in campo li faccio perché ho fiducia nelle mie capacità. Poi ovviamente la cosa importante è riuscire a essere efficaci. Non bisogna mai esagerare con questi gesti, ma diciamo che fanno parte del mio bagaglio tecnico.

 

Per molti appassionati di rugby tu sei un eroe. Ma gli eroi, hanno bisogno a loro volta di eroi? Se si, quale è il tuo?
Non so… già parlare di me come ‘eroe’ è un gran complimento. Non so se sono un eroe. Sicuramente più che eroi ho avuto grandi punti di riferimento per la mia vita e per la mia carriera. Fin da piccolo, di certo, il mio esempio è stato mio papà. Ovviamente quando ho iniziato a giocare a rugby, mio padre essendo ex rugbista non poteva che essere un punto di riferimento. Non ho mai cercato di mitarlo, bensì di renderlo fiero di me. Quando ero bambino vedevo gli All Blacks come tutti i ragazzini e ammiravi tantissimo Zinzan Brooke, che all’epoca era il loro numero 8. E’ stato il giocatore a cui aspiravo. Poi sono dell’idea che non bisogna cercare di imitare un altro giocatore, bisogna migliorarsi e avere dei punti di riferimento, ma mai copiare.

 

Se Parisse non fosse stato un rugbista, cosa sarebbe stato?
Che domanda… non lo so. Fin da piccolo mi sono sempre piaciuti gli sport. Ho avuto la fortuna di trasformare questa passione in lavoro già a 18 anni. Forse avrei continuato a giocare a rugby, iniziando a lavorare. Mio padre aveva un’azienda in Argentina. Magari avrei iniziato a lavorare con lui in fabbrica, dandogli una mano. Sicuramente avrei continuato a studiare, mi sarei specializzato in ingegneria. Ma ho focalizzato tutte le mie energie sul rugby, sulla mia passione: oggi posso dire che non me ne pento.

 

A cosa saresti disposto a rinunciare purché l’Italia vinca il Sei Nazioni?
Oufh… rinunciare…

 

Mi raccomando per questa risposta lasciamo perdere amori e mogli eh…
(interviene la moglie Silvia)

No anche perché attenzione: se risponde male… anche tu, attento alle domande che fai (ride ndr)
(torna a parlare Sergio)

Dobbiamo fare attenzione, il padrone di casa è qui a fianco a me… (ride, ndr). Non lo so, sicuramente rinuncerei ad un anno di stipendio con il club per vincere il Sei Nazioni. Questa è la prima cosa che mi viene in mente. Rinuncerei a vacanze, a tante cose, ai privilegi. Rinuncerei a tante cose. Alla fine vincere il Sei Nazioni è un po’ il sogno di tutti. Sogno spesso di vincere questo torneo: so che magari dirlo può sembrare stupido, irreale o arrogante. Ovviamente non vado a dire in giro che vinceremo il Sei Nazioni, ma è quello che ho sempre desiderato e ancora oggi sogno di vincerlo.

 

Anche perché senza quel sogno…
Io credo che nella vita di qualsiasi persona ci siano dei sogni. Chi nell’ambito sportivo, chi nel lavoro. Sono quelli che ci danno lo stimolo per andare avanti.

 

Va bene Sergio, abbiamo finito. Aspetta che faccio un ultimo screenshot come foto ricordo…
Aspetta un attimo che mi pettino… (ride, ndr)

 

Andrea Papale

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